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Aducanumab: primo farmaco per combattere l’alzheimer

Con una decisione storica e non scontata, la FDA ha approvato l'aducanumab, un farmaco che contrasta il processo degenerativo nell'Alzheimer: 9 domande e risposte per saperne di più.

Aducanumab: primo farmaco per combattere l’alzheimer

Lunedì 7 giugno 2021 la Food and Drug Administration statunitense ha approvato il primo trattamento farmacologico contro la malattia di Alzheimer 

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Lunedì 7 giugno 2021 la Food and Drug Administration statunitense ha approvato il primo trattamento farmacologico contro la malattia di Alzheimer in quasi due decenni, una decisione di portata storica che ha restituito un po’ di speranza a milioni di pazienti e ai loro familiari, ma da interpretare correttamente e senza facili semplificazioni. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza in quanto è accaduto: in sintesi
UN FARMACO PER L’ALZHEIMER: DI CHE COSA SI TRATTA?

La terapia approvata è un anticorpo monoclonale sviluppato dalla multinazionale di biotecnologie Biogen, l’Aduhelm (meglio conosciuto con il suo nome generico, aducanumab). Agisce eliminando gli accumuli di proteina beta-amiloide che soffocano e distruggono i neuroni nel cervello delle persone con malattia di Alzheimer. Serve quindi a contrastare la progressione della malattia e non soltanto i suoi sintomi, come fanno altri farmaci usati finora. Nelle ultime fasi della sperimentazione (trial di fase 3), dopo 78 settimane dall’inizio del trattamento, nei pazienti trattati con l’aducanumab le placche amiloidi si sono ridotte del 30% rispetto al gruppo di controllo, come si è visto dagli esami strumentali (PET).

COME SI SOMMINISTRA?
Con un’infusione intravenosa della durata di un’ora circa, una volta ogni 4 settimane, in uno studio medico, in un centro specializzato o in ospedale (non a domicilio).

PER QUALI PAZIENTI È INDICATO?
Il farmaco è stato sviluppato per pazienti con lieve declino cognitivo, agli esordi della malattia – sempre che questa sia stata correttamente diagnosticata – e non per le persone in fase più avanzata della patologia, interessate da forme gravi di demenza. Arrivare a una diagnosi univoca e precoce tuttavia non è affatto scontato.

L’Alzheimer si manifesta in modo subdolo e ci sono evidenze del fatto che gli accumuli di proteina amiloide inizino la loro aggregazione nel cervello già a partire da una ventina di anni prima dei primi campanelli d’allarme, che si manifestano come alterazioni della memoria, della personalità e della capacità di espressione della persona. La speranza è che somministrare il farmaco in una fase iniziale permetta di ostacolare la progressione dell’Alzheimer prima che il danno ai neuroni dovuto alle placche amiloidi divenga troppo esteso.

CI SONO EFFETTI COLLATERALI?
Sì e non di poco conto: circa il 40% dei pazienti che hanno provato l’aducanumab nei trial clinici ha avuto tracce di edema cerebrale nell’esame di risonanza magnetica, con sintomi come mal di testa, disorientamento, nausea e vomito, problemi alla vista. Il 17-18% dei pazienti ha presentato microemorragie cerebrali, motivo per cui chi accederà al trattamento dovrà essere periodicamente monitorato con risonanza magnetica.

ABBIAMO TROVATO UNA CURA PER L’ALZHEIMER?
Purtroppo no. L’aducanumab non è una cura perché non impedisce la progressione della malattia né ribalta la sua traiettoria. Anche nella sperimentazione, il successo del farmaco è stato misurato non dai progressi cognitivi, ma dal rallentamento del declino cognitivo e delle capacità fisiche. Per i pazienti e per i loro affetti significa però guadagnare tempo prezioso per accumulare esperienze, per essere indipendenti e per riorganizzare la propria vita prima che la malattia passi agli stadi successivi: considerando questo aspetto del trattamento, la notizia è stata accolta con sollievo e fiducia dalle associazioni a sostegno dei malati di Alzheimer e dei loro familiari.
Se però la capacità del farmaco di demolire le placche amiloidi è ben dimostrata, meno chiari sono i suoi benefici cognitivi. I trial del farmaco sui pazienti in fase iniziale della malattia hanno dato risultati contrastanti (vedi domanda successiva). Inoltre, molti esperti non ritengono che eliminare i depositi di beta-amiloidi aiuti, nelle fasi avanzate della malattia: altri farmaci con lo stesso obiettivo testati in passato su casi moderati o gravi non hanno dato benefici clinici.

CHE COSA È EMERSO DALLE SPERIMENTAZIONI?
I due grandi trial condotti sul farmaco, che hanno coinvolto oltre 3.000 persone, hanno prodotto risultati contrastanti. Nel 2019 la stessa Biogen aveva bloccato entrambi i trial dopo che un’analisi “in corsa” dei dati non era riuscita a dimostrare benefici cognitivi per i pazienti (ne avevamo scritto qui). In seguito, una nuova analisi più estesa dei dati di uno dei due studi aveva mostrato una riduzione del declino cognitivo in un gruppo trattato con un alto dosaggio del farmaco rispetto al gruppo trattato con placebo, anche se gli effetti sembrano essere di entità moderata; per l’altro studio non si erano rilevati benefici. Nel novembre del 2020 il comitato di esperti che consiglia la FDA aveva ritenuto le ultime analisi non convincenti, e si era espresso contro l’approvazione. La decisione di ieri è andata, come raramente accade, contro il parere dei consiglieri.

PERCHÉ ALLORA IL FARMACO È STATO APPROVATO?
Nell’annunciare la sua decisione la FDA ha ammesso che gli studi compiuti finora “hanno lasciato incertezze residue sui benefici clinici”. Ma ha approvato comunque l’aducanumab basandosi sulla sua dimostrata capacità di rimuovere le placche amiloidi, che si accumulano nel cervello dell’Alzheimer e si pensa rechino danno ai neuroni. Ridurre questi depositi “dovrebbe ragionevolmente comportare importanti benefici per i pazienti”.

Chi guarda con scetticismo all’approvazione si basa sul fatto che non è per nulla chiaro se le placche amiloidi o altri accumuli proteici caratteristici dell’Alzheimer siano causa o effetto della malattia. Abbiamo alle spalle 20 anni di trattamenti falliti contro l’una e l’altra proteina, senza contare che si sono trovate placche amiloidi anche in individui sani.

Un’altra perplessità riguarda il disperato bisogno di nuovi trattamenti contro la più diffusa forma di demenza al mondo, che potrebbe aver pesato su questa decisione spingendo i regolatori ad “accontentarsi” e creando di fatto un controverso precedente. D’altronde il disperato bisogno di trattamenti è anche l’argomento di chi saluta con speranza quello che è visto comunque come un passo in avanti importante.

«Un altro anticorpo monoclonale che si unisce ai 79 già approvati dall’FDA contro il cancro, l’AIDS e molte malattie croniche, come l’artrite e la psoriasi: è una bella notizia, che se confermata dagli studi estesi di fase 4 aprirebbe una nuova prospettiva per le malattie degenerative come l’Alzheimer, per la quale oltre 15 anni di studi su modelli animali hanno visto fallite tutte le molecole sperimentali prodotte.»

CHE TIPO DI APPROVAZIONE È STATA DATA?

La FDA ha concesso una “approvazione condizionata”: la Biogen deve condurre un nuovo trial su larga scala, che confermi che rimuovere le placche amiloidi porti a benefici cognitivi. Se il trial dovesse fallire, la FDA avrebbe l’autorità di rescindere il contratto. A sorpresa, la FDA ha approvato il farmaco come terapia generica contro l’Alzheimer senza specificare che è destinato a pazienti in fase precoce. La speranza dei regolatori è che, rimuovendo le placche amiloidi, il farmaco possa dare benefici in tutto lo spettro di gravità della malattia. Tuttavia, il rischio di tale impostazione è quello di dare false speranze alle famiglie con pazienti gravi e provocare una domanda difficilmente gestibile.

Probabilmente criteri più stringenti saranno stabiliti, negli USA, dalle compagnie assicurative. Secondo la Biogen un trattamento di mantenimento calibrato sul peso di un individuo adulto costerà circa 56.000 dollari l’anno, somma che dovrebbe essere in parte coperta dalle assicurazioni sanitarie e in parte a carico del paziente.

COME FUNZIONERÀ IN ITALIA?
Se l’EMA e l’AIFA (le agenzie del farmaco europea e italiana) dovessero approvare il trattamento, i pazienti candidabili in Italia potrebbero essere tra i 100.000 e i 300.000, secondo alcune stime preliminari degli esperti. Come ha spiegato all’agenzia Adnkronos Salute Gioacchino Tedeschi, presidente della Società italiana di neurologia (SIN), l’aducanumab «è indicato per le persone che hanno caratteristiche che predispongono all’Alzheimer, parliamo di over 65 con depositi di proteina amiloide nel cervello, e un’alta probabilità di sviluppare un deficit cognitivo. Il paziente dovrà essere selezionato accuratamente per una terapia mensile che necessita di una risonanza magnetica, per evitare alcuni effetti collaterali che potrebbero verificarsi a danno del sistema nervoso centrale, quindi l’anticorpo monoclonale dovrà essere somministrato solo in centri specializzati».

Sviluppare criteri di selezione è un passo difficile ma necessario per investire le risorse del sistema sanitario nazionale nei pazienti sui quali il farmaco potrebbe portare benefici, e non soltanto rischi a fronte di poche speranze.

Fonte: Focus.it

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