Una domanda che spesso si sente in merito alla geotermia è "perché non sfruttiamo il calore proveniente dai vulcani per generare energia?". In effetti
Una domanda che spesso si sente in merito alla geotermia è “perché non sfruttiamo il calore proveniente dai vulcani per generare energia?“. In effetti i vulcani, vista l’enorme quantità di calore presente al loro interno, potrebbero rappresentare – in teoria – degli obiettivi estremamente interessanti per lo sviluppo della geotermia… E allora perché questa tecnica non viene già applicata in tutto il mondo?
In questo articolo vedremo quali sono le problematiche esistenti e quali sono alcuni tra i casi più emblematici in questo campo.
I limiti della geotermia sui vulcani
Innanzitutto dobbiamo tenere presente che per sviluppare progetti geotermici in zone vulcaniche si deve far fronte a limitazioni di carattere amministrativo e difficoltà nell’ottenimento delle autorizzazioni, visto che la maggior parte delle aree vulcaniche (incluse quelle italiane) ricade in zone protette appartenenti a parchi regionali o nazionali.
Ma anche nel caso in cui si riuscisse a ottenere le autorizzazioni necessarie, andrebbero superati problemi di carattere tecnico come, ad esempio, il reperimento di materiali adatti alla perforazione per operare a temperature estremamente elevate oppure il trattamento dei fluidi per abbattere salinità e gas – sia quelli potenzialmente corrosivi per le infrastrutture di pozzo e di produzione, che quelli nocivi per la salute (idrogeno solforato, mercurio).
Inoltre si dovrebbe affrontare, attraverso opportune analisi di rischio, il pericolo legato alla sismicità.
Anche tralasciando tutti questi aspetti, i principali limiti legati alla geotermia sui vulcani sono quelli riguardanti il rischio di eruzioni vulcaniche e la presenza di condizioni definite “supercritiche”. Andiamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta.
Il rischio di eruzioni vulcaniche
Il fatto che in questo caso non ci siano stati particolari danni non significa che costruire accanto a un vulcano sia sicuro. Infatti, oltre alla possibilità di perdere completamente l’impianto nel caso in cui venisse travolto dalla lava, ci sarebbe il rischio di fuoriuscite rapide e concentrate di gas nocivi dai pozzi geotermici – cosa che, ribadiamo, fortunatamente non è accaduta nel caso della centrale di Puna.
Condizioni supercritiche
Tali fluidi si trovano spesso alle radici dei sistemi idrotermali ospitati dai vulcani e attualmente sono stati perforati più di 25 pozzi in campi geotermici di questo tipo, come ad esempio negli USA, in Giappone, in Islanda e persino in Italia.
Per quale motivo allora si tratta di un tipo di impianto ancora poco diffuso?
Una tra le prime motivazioni è legata alla natura dei fluidi, estremamente corrosivi e abrasivi, capaci quindi di danneggiare la strumentazione. Inoltre, a queste condizioni di pressione e temperatura si attivano processi tali per cui la roccia del serbatoio tende a diventare “plastica”, cioè tende a deformarsi, non permettendo una circolazione ottimale dei fluidi – a differenza di volumi di serbatoio a temperature inferiori che, essendo naturalmente fratturati, permettono l’estrazione del fluido in superficie.
Questo è quello che è stato osservato ad esempio a Larderello nell’ambito del progetto DESCRAMBLE. In questo caso il pozzo coinvolto ha fatto registrare temperature ben superiori ai 500˚C ma la produzione di fluido è risultata essere praticamente inesistente.
Per riuscire a sfruttare appieno questo tipo di risorsa sono quindi in fase di studio tecniche innovative, studiate attraverso progetti di ricerca e innovazione in diverse parti del mondo.
Fonte: Geopop.it