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La prima statua di una donna a Milano: non è solo una statua

L’opera che ritrae Cristina Trivulzio di Belgiojoso rompe con secoli di strade, piazze e monumenti dedicati solo a uomini, rappresentando un primo passo verso la parità

La prima statua di una donna a Milano: non è solo una statua

Il 15 settembre a Milano è stata inaugurata la prima statua dedicata a una donna. Si tratta di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, una figura centrale d

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Il 15 settembre a Milano è stata inaugurata la prima statua dedicata a una donna. Si tratta di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, una figura centrale della storia del Risorgimento italiano. Patriota, amata e rispettata da grandi intellettuali italiani e stranieri, Cristina di Belgiojoso è stata una donna straordinariamente avanti per i tempi in cui è vissuta. Si è sposata a sedici anni e si è separata a venti, ha ospitato nei suoi salotti personalità di spicco delle guerre d’indipendenza e nel 1840 aprì una scuola per bambini poveri a Locate Triulzi, vicino Milano. Pare che Alessandro Manzoni avesse salutato la notizia così: “Ma se facciamo studiare i figli dei contadini, poi chi coltiverà le nostre terre?”. Ed è proprio di fronte a casa dell’autore dei Promessi Sposi che oggi turisti e milanesi possono ammirare la statua di Cristina di Belgiojoso, che si trova nella centralissima piazzetta di Belgiojoso, a pochi passi dal Teatro la Scala e Galleria Vittorio Emanuele.

Più strade e vie intitolate a donne

L’opera, realizzata dallo scultore Giuseppe Bergomi, è a oggi l’unica delle 121 statue presenti in città dedicata a una donna. Arriveranno a breve una statua dedicata all’astrofisica Margherita Hack in occasione dei 100 anni dalla sua nascita e una dedicata ad Anna Kuliscioff, madre del socialismo italiano. Ad oggi Milano rappresenta un’eccezione positiva per quanto riguarda la toponomastica inclusiva. L’amministrazione uscente ha infatti dichiarato di voler fare uno sforzo in tal senso e di voler dedicare sempre più vie e piazze a donne.

Sarà un caso o forse no, dato che lo scorso anno il sindaco Beppe Sala rispose con fermezza a chi chiedeva di rimuovere la statua dedicata a Indro Montanelli dai giardini di Porta Venezia, zona nota per essere aperta, inclusiva e per questo molto amata dalla comunità lgbt+. La risposta avvenne all’indomani di un appello lanciato dall’associazione I Sentinelli che ricordava come “fino alla fine dei suoi giorni [Montanelli, ndr] ha rivendicato con orgoglio il fatto di aver comprato e sposato una bambina eritrea di dodici anni perché gli facesse da schiava sessuale. Riteniamo che sia ora di dire basta a questa offesa alla città e ai suoi valori democratici e antirazzisti”. In un video pubblicato sul suo canale Instagram Sala affermò che “tutti commettiamo degli errori” rispedendo così al mittente la richiesta di ri-intitolare i giardini e di rimuovere la statua puntualmente imbrattata dalle associazioni femministe e anti-razziste.

Che Italia ci rappresenta

Oggi le strade delle nostre città ci restituiscono l’immagine di un’Italia androcentrica in cui è molto raro imbattersi in una statua, in una via o in una piazza dedicata a una donna, soprattutto a una donna laica. Toponomastica femminile, associazione che si occupa di monitorare il gender gap delle città italiane, riporta che a livello nazionale “la percentuale di strade intitolate a donne va dal 3 al 5% (in prevalenza madonne e sante)”.

Lo scopo dell’associazione è solo quello di sensibilizzare al tema dell’inclusività partendo dalle vie e dalle piazze delle nostre città, ma di dare alle donne l’attenzione che meritano all’interno dello spazio pubblico. Sul sito di Toponomastica femminile chiunque può cercare la percentuale esatta di vie, piazze e strade dedicate alle donne nelle città più importanti in Italia e all’estero. Curioso come nel nostro paese, la maggior parte delle vie sia dedicata a madonne, sante e beate, mentre poche a donne laiche e in particolare a scienziate italiane e straniere.

L’urgenza di ripensare la toponomastica alla luce dei grandi cambiamenti sociali che stanno avvenendo anche da noi, è stata ribadita da Maria Pia Ercolini, presidente dell’associazione Toponomastica femminile, in un’intervista a Repubblica: “Noi riteniamo che la memoria sulle strade debba essere quella delle donne che hanno agito non di quelle che hanno subito, perché continuiamo a riproporre un’immagine di donne vittime, martiri, e non è questo l’obiettivo che abbiamo in testa”.

Mentre sembra ancora accesissimo il dibattito sulle statue da abbattere, meno acceso è quello sulle statue da erigere e l’argomento non è stato nemmeno lontanamente toccato durante questa campagna elettorale, nonostante siano chiamate al voto città come Roma, Torino, Napoli, Bologna e la stessa Milano.

Qualora capitasse l’occasione, qualcuno non si farà mancare la possibilità di tirare fuori la tanto famigerata cultura della cancellazione o qualche altra strampalata teoria sul politicamente corretto. Poi ci sono i fatti. E i fatti ci dicono che la parità ad oggi è un miraggio lontanissimo, basta fare un giro per strada e guardare le targhe delle vie e delle piazze. Si dice spesso che le strade sicure le fanno le donne che le attraversano, ma se quelle strade fossero pure intitolate alle tante che hanno tracciato il cammino per tutte noi, certo non guasterebbe.

Fonte: Wired.it

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