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Mario Draghi, o il ritorno della vecchia guardia

Mario Draghi, o il ritorno della vecchia guardia

Donato Menichella, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi: la “genealogia episcopale” del potere italiano dell’ultimo settantennio può, in un

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Donato Menichella, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi: la “genealogia episcopale” del potere italiano dell’ultimo settantennio può, in una certa misura, essere riassunto dalla continuità tra quattro figure di elevato peso nella storia contemporanea del Paese. Gli uomini chiave attorno a cui si è costituito un asse di influenza, una rete informale e un consolidato pacchetto di prassi e ritualità che hanno contribuito a regolare la vita delle burocrazie strategiche nazionali, trasformato due di esse, il Tesoro e la Banca d’Italia, nei cuori pulsanti dello Stato profondo nazionale, tessuto assieme al Quirinale le fila del potere duraturo, non sottoposto alla caducità dei cicli politici e alle fortune dei leader. Non si può capire la pervasività dell’influenza di Draghi se non la si inserisce nella costellazione di potere di cui l’ex accademico e banchiere romano è stato parte. E del filo rosso che lo unisce ai personaggi sopra citati.

Menichella, direttore generale dell’Iri in era fascista, fu governatore della Banca d’Italia tra il 1948 e il 1960 e attuò le politiche monetarie di sostegno alla grande fase di programmazione dello sviluppo economico messa in campo dai leader democristiani formati sui principi del “Codice di Camaldoli”, alla cui stesura Sergio Paronetto, allievo di Menichella, contribuì assieme a figure del calibro di Giorgio La Pira. Carli guidò Via Nazionale nei quindici anni successivi, fino al 1975, diresse Confindustria dal 1976 al 1980 e fu ministro del Tesoro nel governo Andreotti VII (1989-1992), e con la sua visione d’insieme ha plasmato buona parte della classe dirigente del mondo economico-finanziario contemporaneo. Draghi ha in lui e in Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia tra il 1979 e il 1993, premier dal 1993 al 1994 e presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, figure chiave per la sua formazione. I tre si trovarono a lavorare in squadra negli ultimi anni di vita di Carli, quando Draghi era appena giunto al Tesoro come direttore generale e Ciampi stava per esser chiamato a Palazzo Chigi. Non a caso quella dei “Carli boys” è stata l’ultima squadra di amministratori pubblici, boiardi di Stato e alti funzionari dotati di un vero spirito di corpo e di una complessa agenda strategica. Figure come Menichella, Carli, Ciampi agirono, presero decisioni cruciali per la vita del Paese, compirono anche errori di valutazione senza mai perdere la bussola dell’interesse nazionale e della necessità di garantire alla fibra dell’amministrazione pubblica solidità e rafforzamento. La fine della Prima Repubblica ha gradualmente fatto evaporare buona parte dei tentativi di creare, dentro o fuori i partiti, esperienze di classi dirigenti trasversali paragonabili.

Draghi ha sempre saputo inserirsi in questa logica operativa e gestionale. Poco prima di entrare nel team dei consulenti di Palazzo Chigi l’analista Alessandro Aresu ha sottolineato come ulteriore capacità politica di Draghi la meticolosità dimostrata nel nominare nelle strutture da lui dirette figure di assoluta fiducia e di comprovata competenza con cui è possibile condividere un idem sentire organizzativo e amministrativo. I “draghiani” di lungo corso nelle istituzioni sono numerosi, rappresentando un partito dislocato in gangli strategici dello Stato e riattivatosi negli ultimi mesi: Daniele Franco, ex Ragioniere generale dello Stato e titolare del ministero dell’Economia, è stato promosso da Draghi quando era governatore al ruolo di capo della ricerca economica della Banca d’Italia, di cui ha ricoperto fino a poco tempo fa la carica di direttore generale; suo predecessore in quest’ultimo ruolo è stato Fabio Panetta, fedelissimo di Draghi scelto dall’attuale premier come membro del board Bce, e il successore designato è stato Luigi Federico Signorini, in Via Nazionale dal 1982 ex assistente del premier all’Università di Firenze. In continuità con Draghi si pone anche Ignazio Visco, che dal 2011 lo ha sostituito alla guida di Palazzo Koch.

I mesi del governo Draghi hanno portato a un sostanziale compattamento di un compatto blocco di potere innervato attorno alle istituzioni chiave della vita economica nazionale, formato da figure oggi presenti nelle burocrazie strategiche o nel governo (come le figure dette), nella cabina di regia di Palazzo Chigi o nell’inner circle dei consiglieri di Draghi (Francesco Giavazzi, Franco Bernabé, Giuliano Amato, Paolo Scaroni, Gianni De Gennaro, Gianni Letta). Dimostrando la solidità della lezione dei predecessori morali e culturali del premier sulla necessità di costruire una continuità operativa in termini di gestione delle istituzioni. Il partito dei draghiani è in tal senso uno degli ultimi capisaldi, e non a caso il metodo inaugurato dal premier sulle nomine mira a selezionare per le burocrazie strategiche e i ruoli chiave figure di assoluta affidabilità, che alle competenze assommino l’esperienza e il cursus honorum di una carriera che ha portato con sé contatti professionali e una cultura di gestione del potere. Quel che è mancato alle classi dirigenti partitiche.

Fonte: Dissipatio.it

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