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Lavoro: settimana corta o weekend lungo? Mezza Europa discute la rimodulazione dell’orario e Intesa Sanpaolo la sperimenta

All’ordine del giorno non c’è una riduzione generalizzata dell’orario come avvenne con le fallimentari 35 ore francesi ma la possibilità di riorganizzare gli orari di lavoro e di accorparli in 4 giorni nella settimana prolungando la durata giornaliera: Intesa Sanpaolo fa da apripista con una sperimentazione su base volontaria a parità di salario e di produttività

Lavoro: settimana corta o weekend lungo? Mezza Europa discute la rimodulazione dell’orario e Intesa Sanpaolo la sperimenta

Fonte: Firstonline.it I tempi cambiano. Una volta si diceva ‘’lavorare meno per lavorare tutti’’. Oggi l’obiettivo sembra essere “lavorare meno per

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Fonte: Firstonline.it

I tempi cambiano. Una volta si diceva ‘’lavorare meno per lavorare tutti’’. Oggi l’obiettivo sembra essere “lavorare meno per lavorare, e vivere meglio”. Da qualche mese il fantasma della riduzione dell’orario a parità di salario è tornato a circolare per l’Europa sotto specie di settimana lavorativa di 34 ore. Sotto questa etichetta si raccolgono parecchie variabili che tentano di rispondere ad esigenze diverse. In primo luogo, le differenze riguardano le modalità di attuazione del nuovo calendario. In talune esperienze si tratta solamente di una redistribuzione del normale orario di lavoro su 4 giorni anziché su 5 (giornata più lunga in cambio di settimana più corta).

La “moda” delle dimissioni volontarie ha contagiato anche l’Italia

Di questa narrazione i vari episodi sono stati, dapprima, la Great Resignation, dove si è voluto intravvedere la presenza di una scelta di vita (il ritorno dei ‘’figli dei fiori’’) piuttosto che degli squilibri nel mercato del lavoro prodotti dagli effetti della pandemia e delle modalità che hanno consentito di proseguire nella propria attività attraverso il ricorso allo smart working. Da noi, sicuramente, si è trattato di una reazione ad un blocco degli organici (tramite la sospensione dei licenziamenti per circa 500 giorni) che aveva compresso il mercato del lavoro come una molla che è scattata tutta in volta quando è stata liberata dalla compressione innaturale imposta alla normale quotidianità di un’impresa. L’analisi dei dati si è poi incaricata di smentire queste interpretazioni suggestive ed hanno messo in evidenza che quanti rassegnavano le dimissioni (in misura molto più ampia delle cessazioni per recesso da parte del datore) in realtà si promettevano di vendere meglio la propria professionalità, in un contesto di crisi di un’offerta adeguata.

La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

Persino un sindacalista tra i più radicali come il leader della Cgil, Maurizio Landini, si rende conto che una riduzione d’orario così importante non può avvenire a scapito della produttività e della saturazione degli impianti (incluso l’ammortamento degli investimenti in nuove tecnologie): «Di fronte alla rivoluzione tecnologica, che porta ad un aumento di profitti e produttività, si deve praticare – ha affermato Landini – la ridistribuzione della ricchezza e di come viene accumulata, anche attraverso la riduzione dei tempi di lavoro». E come? «Contrattando – ha ammesso il sindacalista – modelli organizzativi su quattro giorni di lavoro settimanali e per le imprese la possibilità di utilizzare gli impianti sino a sei giorni la settimana. Il tutto, prevedendo il diritto alla formazione e all’aggiornamento per tutta la vita lavorativa». In sostanza può e deve esserci una dissociazione tra l’orario effettivo dei lavoratori e quello della attività produttiva dello stabilimento, attraverso il lavoro su più turni, con una calendarizzazione orientata a tener conto dei picchi e dei flessi, non solo nelle produzioni di carattere stagionale, ma anche nel caso di picchi produttivi transitori legati a particolari commesse, laddove non si ritenga di fare ricorso alla somministrazione, alle assunzioni a termine o più banalmente al lavoro straordinario (sia pure all’interno di massimali giornalieri, settimanali e annui). La sede di questo scambio sta nella contrattazione decentrata e di prossimità, che gode anche di benefici fiscali migliorati nella legge di bilancio.

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Settimana corta: il mito delle 35 ore

È il caso, ad esempio, delle 35 ore settimanali, stabilite in Francia, ai tempi della presidenza del socialista Lionel Jospin, da due leggi nel 1998 e nel 2000, per entrare definitivamente in vigore due anni dopo. Per quanto riguarda gli effetti di questa misura – modificata da Emmanuel Macron durante il suo primo mandato – sull’economia nel suo complesso è in atto da anni un dibattito divisivo per quanto riguarda sia la creazione di posti di lavoro, sia gli incrementi del costo del lavoro e delle sue conseguenze sull’occupazione. In pratica la drastica riduzione d’orario laddove è stata applicata ha finito per trasformare in lavoro straordinario le ore lavorate oltre le 35 settimanali o ad aumentare i giorni di ferie ma non a ridurre gli orari di fatto. Nessun altro paese OCSE ha attuato una politica di riduzione generalizzata dell’orario di lavoro. Anche in Italia il mito delle 35 ore ebbe un momento di gloria, fino al punto di affondare il primo governo Prodi per iniziativa del PRC di Fausto Bertinotti. Poi, da noi, la normativa dell’orario di lavoro è stata innovata dalla legge n. 66 del 2003 nella quale, senza mettere in discussione le classiche 40 ore, si consente ai contratti collettivi di stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (c.d. orario multiperiodale).

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