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In Europa tutti Verdi, ma da soli ed al verde

L'accelerazione europea ci metterà tutti contro: Paesi produttori di petrolio e gas, USA e Cina

In Europa tutti Verdi, ma da soli ed al verde

Essere leader: l'ambizione della Commissione europea è quella di essere primi al mondo nella transizione ecologica, nella sfida alla decarbonizzazione

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Essere leader: l’ambizione della Commissione europea è quella di essere primi al mondo nella transizione ecologica, nella sfida alla decarbonizzazione dell’economia, consolidando le nuove tecnologie di produzione di energia senza ricorrere a fonti fossili.

Essere i primi significa creare condizioni di stress significativo in grado di accelerare i processi di cambiamento, per accumulare know-how, brevetti, soluzioni innovative, capacità produttive all’avanguardia. Sarebbe un vantaggio per l’Europa, perché si creerebbero le condizioni di maggiore competitività rispetto ad USA e Cina.

Di converso, sarebbero i consumatori europei a fare da cavie, i lavoratori europei a pagare per primi i costi di questa trasformazione.
Paradossalmente, è l’industria automobilistica ad essere principalmente sotto attacco. E’ nell’occhio del ciclone del cambiamento epocale proprio il fiore all’occhiello dell’industria tedesca: dopo aver tentennato a lungo, la Germania pensa di dover cavalcare l’onda.
Berlino spera di recuperare il tempo perduto e dunque accelera in modo forsennato, e la Commissione europea fa solo da specchio a questa strategia. Dal dieselgate scoppiato in America per colpire le importazioni di auto tedesche al NGUE dell’Unione europea finalizzato a promuovere la transizione ecologica e quella digitale imponendo una ampia quota degli investimenti pubblici nazionali a questo fine, fino al piano appena predisposto dalla Commissione europea in cui si prevede di ridurre del 55% entro il 2030 la emissione di gas nocivi e di vietare la immatricolazione di auto a combustione interna a partire dal 2035.

L’obiettivo dichiarato è raggiungere la neutralità climatica per il 2050, abbattendo le emissioni di CO2 e frenando la tendenza all’aumento della temperatura atmosferica.
Servono incentivi e disincentivi: ma sia gli uni che gli altri comportano un costo, a carico della collettività e per i singoli, consumatori e produttori. Mentre ogni euro di incentivo pubblico deve essere prima pagato dalla collettività con le tasse per poi venire erogato a favore dei singoli che ne beneficiano, i disincentivi rappresentano un costo aggiuntivo che grava sui consumatori o sulle imprese.

Non è un equilibrio semplice da trovare, come dimostra la vicenda francese dei Gilet Jaune: sotto la Presidenza di Emmanuel Macron la prima manovra ecologista del governo di Eduard Philippe comportò un aumento delle accise sui carburanti ed una diminuzione della velocità massima sulle strade nazionali, portandola da 90 ad 80 Km/h. L’obiettivo era quello di disincentivare l’uso delle automobili, aumentando il peso fiscale sul carburante, e di diminuirne i consumi limitando la velocità.

La protesta si infiammò subito, e come simbolo fu adottato il fantasmino rifrangente di colore giallo, da mettere in evidenza sul cruscotto. Cominciarono ad essere boccate le rotonde stradali, fino alla convocazione di cortei in cui si infiltrarono ogni genere di personaggi, dando vita a saccheggi e ad assalti alle forze dell’ordine. Ogni sabato mattina, per settimane e settimane, le strade di Parigi e di altri centri urbani si riempirono di manifestanti, finché il governo dovette fare marcia indietro, sospendendo gli aumenti delle accise e delegando ai Presidenti delle Regioni la facoltà di concedere deroghe al nuovo limite di velocità.

Nonostante ciò, ormai la furia popolare si era scatenata, e le manifestazioni proseguirono fino al “confinement”, il divieto di assembramenti con l’obbligo di distanziamento personale che venne deciso per arginare il proliferare dei contagi di Covid-19. Non appena le misure di cautela vengono sospese, per via del miglioramento della situazione sanitaria, la protesta riprende.

La questione è ancora più complicata dal punto di vista industriale: se vengono messi degli obblighi di riduzione delle emissioni di CO2 agli impianti di produzione, ad esempio ad una acciaieria o ad un cementificio, questo comporta un costo di produzione aggiuntivo per via degli investimenti da fare per usare energia rinnovabile. Si parla di idrogeno blu, da ricavare con l’elettrolisi usando ad esempio l’energia solare o quella eolica: i costi di una tonnellata di acciaio o di cemento arriverebbero a livelli stratosferici, mettendo fuori mercato questa produzione green rispetto a quella che continua ad utilizzare fonti energetiche convenzionali. Lo ha detto anche Roberto Cingolani, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che per riequilibrare questa situazione occorre immaginare una sorta di dazio compensativo.

Ed infatti, la Commissione europea ipotizza un “border adjustment“, una sorta di dazio che sarebbe fatto pagare alle merci importate in Europa e prodotte con l’utilizzo di fonti fossili. E’ facile solo a dirsi: ci troveremmo contro anche gli USA e la Cina, dopo aver averlo fatto con i Paesi produttori di petrolio e di gas, visto che penalizziamo questi consumi disincentivandoli fino a bandirli completamente.

La scelta europea è una scommessa: se non riesce a riequilibrare i prezzi delle merci importate, le sue industrie falliranno.
Cingolani ha avvertito tutti dei rischi che si corrono, affermando che se: “scegliamo l’ambizione, la transizione non è un pranzo di gala”. In altre occasioni, Cingolani avrebbe usato parole assai più preoccupate: “La transizione ecologica potrebbe essere un bagno di sangue”. Infatti, “Per cambiare il nostro sistema e ridurre il suo impatto ambientale bisogna fare cambiamenti radicali che hanno un prezzo”.

Sulla stessa linea si è espresso anche il Ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, secondo cui: “La svolta Green dell’Ue è troppo rapida. Frenare il piano verde o sarà crisi“.

La questione è assai delicata, visto che il PNRR che è stato varato dall’Italia ha seguito per filo e per segno i parametri di spesa e gli obiettivi indicati dalla Commissione europea.

Ora si tratta di capire non solo se l’accelerazione del Piano al 2030/2035 verrà accettata dal Parlamento europeo, ma quale sarà la posizione dei Verdi tedeschi, visto non solo che ci sono le elezioni politiche a settembre prossimo, ma che già in passato i Verdi hanno condizionato pesantemente le scelte della Germania in materia energetica, spingendo per la chiusura anticipata delle centrali nucleari a per l’utilizzo del gas che proviene dalla Russia. Il North Stream sta per essere raddoppiato, proprio mentre si decide di fare a meno delle fonti energetiche di origine fossile: è un problema in più, per la Germania. Dopo le piogge disastrose della scorsa settimana, che hanno provocato allagamenti con centinaia di morti e migliaia di dispersi, la cui violenza è stata attribuita alle variazioni climatiche, anche la CDU della Cancelliera Angela Merkel, che non si ricandida, non potrà che sostenere una rapida transizione ecologica.

Ci sono anche le Presidenziali e poi le Legislative in Francia, nella primavera del 2022: se il movimento EELV (Ecologiste Europeiste-LeVerte) sosterrà questa accelerazione, di certo il partito del Presidente Macron, LREM (La Republique en Marche) non potrà che fare altrettanto, visto che tutto parte dall’Accordo di Parigi sul clima. I Gilet Jaune sono senza rappresentanza politica, ma per loro sarebbe un controsenso approvare questa accelerazione.

Per ragioni diverse, in Francia ed in Germania ci sono molte forze politiche favorevoli alla accelerazione della transizione ecologica proposta dalla Commissione europea, anche se nessuno ne ha stimato i costi economici e sociali.

La prudenza dei Ministri italiani non peserà molto in Europa, anche se la nostra produzione manifatturiera rischia di essere travolta da questa trasformazione accelerata: perderemo il ruolo che ci siamo ritagliati finora, come fornitori della industria tedesca, e avremo pochissimo spazio nelle nuove tecnologie.

L’Italia rischia di fare la fine del grillo parlante, che petulante venne schiacciato con un martello sul muro da Pinocchio, per zittirlo.

Il rischio è la tenuta sociale dell’Europa: la reazione dei Gilet Jaune, politicamente incontrollabile, è già sotto gli occhi di tutti.

La accelerazione europea ci metterà tutti contro: Paesi produttori di petrolio e gas, Usa e Cina

In Europa tutti Verdi, ma da soli ed al verde.

Fonte: Teleborsa

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