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Oltre Maastricht: un nuovo patto in Europa

L’impianto di quel Trattato, con una rigida separazione tra politica monetaria e fiscale, regole uniformi su debito e deficit con limiti che oggi appaiono quanto mai irrealistici e assenza di uno strumento comune di bilancio per far fronte a crisi sistemiche, non è adatto alle mutate circostanze economiche

Oltre Maastricht: un nuovo patto in Europa

La riforma del governo economico europeo è di nuovo sul piatto. Ne ha parlato recentemente il commissario Gentiloni ed è di questi giorni la notizia d

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La riforma del governo economico europeo è di nuovo sul piatto. Ne ha parlato recentemente il commissario Gentiloni ed è di questi giorni la notizia di un documento Draghi-Macron che sarà la base di una proposta riformatrice delle regole economiche che ha l’ambizione di riuscire ad aggregare il consenso del nuovo governo tedesco. Questa è certamente una buona notizia. La domanda che bisogna porsi, però, è se sia possibile attrezzarsi per affrontare le sfide del futuro senza modificare l’impianto dei Trattati europei.

La difficoltà di fondo con cui si scontrano molte proposte di riforma è che l’Unione europea non è uno Stato federale. La sua capacità di cambiare le regole e di dotarsi di nuovi strumenti, necessari a rispondere a mutate circostanze economiche e a sfide che potrebbero anche mettere in pericolo la sua stessa esistenza, è limitata da vincoli legali e politici.

Le riforme degli ultimi anni sono avvenute nel quadro dei Trattati esistenti. Pragmaticamente si sono introdotti nuovi strumenti di politica monetaria, rese più flessibili le regole di bilancio, create nuove istituzioni. Recentemente, in risposta alla pandemia, abbiamo visto molteplici innovazioni, la più importante delle quali è il Next Generation Eu (Ngeu) che ha aperto la possibilità di creare debito comune per sostenere i Paesi più gravemente colpiti dalla crisi.

Queste riforme sono state realizzate grazie alla volontà politica e si sono trovate soluzioni legali in modo sicuramente creativo, mai mettendo in discussione l’impianto dei Trattati, semmai trovando espedienti giuridici, soluzioni tecniche. Ma se oggi vogliamo sostenere un ambizioso slancio riformatore, è ancora possibile procedere con questa logica?

Ormai è chiaro a molti che l’impianto di Maastricht, con una rigida separazione tra politica monetaria e fiscale, regole uniformi su debito e deficit con limiti che oggi appaiono quanto mai irrealistici e assenza di uno strumento comune di bilancio per far fronte a crisi sistemiche, non è adatto alle mutate circostanze economiche. Questo impianto ci ha malamente protetto dalle crisi finanziarie dell’ultimo decennio, costretto a cercare soluzioni creative nel mezzo dell’emergenza Covid e sicuramente non è adeguato alle grandi sfide del futuro. È quasi un’ovvietà concludere che a mutate circostanze economiche, strumenti e regole vadano rivisti.

Tuttavia è opinione comune, che l’Ue debba adattare le regole esistenti a queste nuove necessità senza modificare i Trattati. Questa posizione è certamente comprensibile. Cambiare i Trattati è un processo complesso e pieno di insidie e un saggio pragmatismo è, forse, più promettente che lanciarsi in avventure dagli esiti incerti. Ma più il mondo si allontana dalla situazione degli anni Novanta, quando fu firmato il Trattato di Maastricht, più questo modo di vedere le cose si rivela anch’esso denso di pericoli poiché rende il governo economico dell’Unione vulnerabile a contestazioni politiche e legali. Questo ha effetti sulla credibilità e sulla prevedibilità delle sue politiche intaccandone l’efficacia.

Un modo per reimpostare la discussione sulle riforme dell’Unione è quello di ribaltarne la logica. Invece di partire dai vincoli che ci impone il Trattato, vanno definite chiaramente le riforme necessarie e poi chiedersi quale sia la base giuridica su cui si debbano fondare.

Con un gruppo di economisti e giuristi europei che da tempo seguono la discussione da osservatori o protagonisti abbiamo cercato di fare esattamente questo. Siamo partiti dalle proposte di riforma già in campo su politica monetaria e fiscale, dalla riforma del patto di Stabilità e dall’istituzione di un bilancio comune della Ue e abbiamo cercato di stabilire quale di queste proposte richiedano modifiche radicali della struttura legale dell’Unione. Vista la molteplicità di proposte in circolazione, non ci siamo concentrati su nessuna in particolare, ma su alcuni principi comuni. La nostra conclusione è che molto si può fare modificando la legislazione secondaria senza intaccare i Trattati stessi. L’ostacolo principale alla riforma economica è di natura politica, non giuridica.

Mi focalizzo qui su due temi di riforma che sono cari al dibattito italiano: le regole fiscali e l’obbiettivo di un bilancio comune dell’Unione. Varie riforme sono state proposte per modificare le regole fiscali. Fattore comune di molte di esse è la costatazione che una regola uniforme su deficit (3%) e debito (60%) non ha senso perché è irrilevante per l’analisi della sostenibilità del debito quando dovrebbe essere proprio questa analisi al centro di un sistema che miri a prevenire crisi sovrane all’interno dell’Unione. Tale sistema dovrebbe stabilire obbiettivi diversi per i singoli Paesi, obbiettivi che tengano conto della crescita potenziale, della qualità della spesa e vari altri elementi idiosincratici. Una riforma delle regole fiscali che preveda deviazioni dalle regole uniformi del deficit al 3% e del debito al 60% potrebbe essere adottata cambiando la legislazione secondaria e senza mettere mano ai Trattati.

L’obbiettivo di un bilancio comune è più complesso. Il Ngeu è stato creato per rispondere alla pandemia, ma è uno strumento temporaneo e fuori bilancio. Creare un bilancio comune che possa essere usato ai fini di stabilizzazione ciclica o di supporto a investimenti in aree prioritarie, come per esempio la transizione climatica, non è possibile senza cambiare il Trattato. Ma questo non significa che l’Unione non possa dotarsi di uno strumento da usare in circostanze speciali.

L’esperienza Ngeu e i suoi fondamenti legali potrebbero servire a creare una capacità fiscale contingente permanente. Tale strumento dovrebbe essere attivato solo in circostanze definite ex-ante e attraverso procedure concordate. Queste circostanze, inoltre, dovrebbero essere definite in modo da garantire che questo nuovo strumento non funga da veicolo fuori bilancio, ma che abbia invece le caratteristiche di un meccanismo assicurativo. Sarebbe un grande passo avanti.

La nostra conclusione è stata che molto si può fare. Quello che impedisce all’Europa di attrezzarsi alle sfide di oggi è la mancanza di una comune volontà politica, non certo vincoli giuridici. Non chiarire l’esatto confine dell’impianto giuridico in relazione a ciò che si vuole fare, significa esporsi a rischi di legittimazione che minano l’efficacia delle politiche dell’Unione o, il che forse è anche peggio, significa posare un progetto così ambizioso come quello della costruzione dell’Unione, sulla cinica visione che le regole sono lì per imbrogliare i più sprovveduti, quando i più saggi sanno che è legittimo non rispettarle.

Fortunatamente molte regole possono essere cambiate senza cambiare il Trattato. Ma sfortunatamente l’integrazione europea è ancora immatura politicamente: non si cambiano le regole e ci si nasconde dietro la giustificazione del vincolo giuridico. Da questo punto di vista l’iniziativa Draghi-Macron alla quale si spera si aggreghi anche Scholz, è incoraggiante perché mette nelle mani della politica la leadership del processo di riforma.

Fonte: Corriere della Sera

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