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La Grande Muraglia verde: la sfida ecologica del nostro tempo

Per far fronte alla grave crisi legata alla desertificazione che attanaglia molte aree del continente africano è stato ideato un piano audace e rivoluzionario: creare una vera e propria “cerniera” di vegetazione che separi il deserto del Sahara dalla savana saheliana. È la Great Green Wall – la Grande Muraglia Verde – una barriera di alberi lunga quasi ottomila chilometri e larga quindici che attraversa in largo il continente africano, dal Senegal fino all’Oceano Indiano. Teorizzato fin dal lontano 1952 dal biologo inglese Richard St. Barbe Baker, si tratta di un progetto che attualmente vede coinvolti ben undici Paesi africani e che potrebbe riconvertire circa cento milioni di arido deserto in terreni coltivabili.

La Grande Muraglia verde: la sfida ecologica del nostro tempo

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La desertificazione, ovvero l’ampliamento dei deserti esistenti e la formazione, espansione o peggioramento della sterilità e aridità di vaste zone terrestri, è un serio problema che riguarda tutti gli esseri viventi. Uomini e animali sono direttamente coinvolti dal peggioramento delle condizioni ambientali dovute all’aumento della desertificazione. Inoltre, sotto il profilo economico-produttivo, la trasformazione di terreno fertile in deserto rappresenta un enorme danno per moltissime aziende che si trovano, nel giro di poco tempo, ad operare in regioni inospitali e improduttive. Nel 1994 è stata siglata una convenzione internazionale (UNCCD, Convenzione contro la desertificazione) per cercare di contrastare questo preoccupante fenomeno. Tale Convenzione definisce la desertificazione come «il degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali variazioni climatiche e attività umane». Tra le principali cause della desertificazione, in parte naturali e in parte dovute all’opera dell’uomo, si segnalano: la siccità, gli incendi, la deforestazione, l’urbanizzazione, l’inquinamento, lo sfruttamento agricolo troppo intenso, l’erosione provocata dalle piogge intense, lo sfruttamento eccessivo dei bacini acquiferi superficiali e sotterranei. La Grande Muraglia Verde rappresenta un tentativo per arginare e, nel tempo, arrestare quella che è diventata a tutti gli effetti una delle principali piaghe ecologiche del nostro tempo.

Teorizzazione, storia e costo della Grande Muraglia Verde

La storia di questo ambizioso progetto risale al 1952, quando il biologo inglese Richard St. Barbe Baker teorizzò per la prima volta la necessità di costruire una barriera verde per impedire al deserto del Sahara di estendersi. Stando allo studioso britannico, vero e proprio guru delle teorie legate alla riforestazione nel Novecento, occorreva realizzare una lunga fascia alberata larga 50 km per contenere il deserto, che già negli anni Cinquanta del secolo scorso veniva percepito come una potenziale minaccia ambientale.  Tuttavia, l’idea di Barbe Baker divenne realtà solo nel 2007, ben 55 anni dopo la sua iniziale teorizzazione. Lanciato dall’Unione Africana, il progetto venne sostenuto fin da subito dall’Onu e finanziato dalla Banca Mondiale e da altre organizzazioni locali e internazionali con un esborso iniziale di circa tre miliardi di dollari. Attualmente, l’iniziativa sta ispirando sempre più Paesi africani, anche quelli non direttamente coinvolti, a far parte di un progetto ambizioso e potenzialmente rivoluzionario.

L’aumento dell’interesse da parte di altri Stati africani si inserisce nel contesto della grande opportunità sociale e produttiva che la Grande Muraglia Verde potrebbe essere in grado di offrire. Nel corso dell’One Planet Summit per la biodiversità, che si è tenuto a Parigi l’11 gennaio 2021, sono stati stanziati circa 14.3 miliardi di dollari al fine di accelerare gli sforzi per ripristinare la terra degradata, salvare la diversità biologica, creare posti di lavoro verdi e rafforzare la resilienza della popolazione saheliana. L’investimento di una cifra di questo genere ha attratto molti attori – statali e non – desiderosi di inserirsi in un filone che si prospetta oltremodo dinamico e vantaggioso. La riforestazione di milioni di ettari, infatti, oltre a rappresentare una strategia ecologia imponente, è una grande opportunità economica per molte comunità africane che basano gran parte del proprio sostentamento su aree rurali. Nel concreto, infatti, stando ad alcune stime, i milioni di alberi che verrebbero piantati potrebbero catturare circa 250 milioni di tonnellate di carbonio e creare 10 milioni di posti di lavoro “verdi”.

Lo stato attuale dei lavori 

I lavori di riforestazione inquadrati nella costruzione della Great Green Wall sono iniziati nel 2008.  Il Senegal, secondo il New York Times, è diventato uno dei Paesi leader del progetto, avendo piantato una quantità notevole di alberi lungo una striscia di più di 530 chilometri, a nord del Paese, per un costo di 6 milioni di dollari. Si tratta di un risultato molto significativo, in linea con la politica green alla base del Grande Muraglia Verde. Stando ai dati, il tempo a disposizione per apportare un impatto significativo da un punto di vista ambientale in quella lunghissima e stretta fascia di territorio non è molto. Entro il 2025, secondo la FAO, due terzi delle terre coltivabili africane potrebbero andare incontro ad un inesorabile processo di desertificazione. Ciò comprometterebbe gravemente la vita delle popolazioni che vivono lungo la prima fascia di terre subsahariane – la regione del Sahel – che stanno già sperimentando le prime conseguenze dell’avanzamento del deserto a sud dell’Africa.

Nel momento in cui si scrive, il Sahara è il più grande deserto subtropicale al mondo, con un’estensione di circa nove milioni di chilometri quadrati, in cui vivono 232 milioni di persone. Numeri molto grandi, che certificano quanto la desertificazione abbia un impatto sociale oltre che nel contesto ambientale. Per avere un effetto positivo, la Grande Muraglia Verde deve essere completata – o almeno in larga parte realizzata – entro il 2030. Questo è il limite temporale fissato dall’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile. Secondo alcuni report presentati dalla FAO, per arrestare il degrado del suolo è necessario riqualificare dieci milioni di ettari all’anno. È un ritmo certamente serrato, ma che sarebbe in grado – secondo vari studiosi – di modificare in positivo la vita di decine di milioni di persone, oltre che di arrestare una delle più gravi crisi ambientali odierne.

Conclusione 

Nonostante i numerosi benefici che un progetto del genere sarebbe in grado di apportare ad intere regioni e comunità, le incognite non mancano. La prima riguarda il grande numero di Paesi coinvolti. Come accennato, la Grande Muraglia Verde vede protagoniste ben undici nazioni africane. Nel dettaglio, si tratta di: Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan, Etiopia, Eritrea e Gibuti. Tanti, forse troppi, se si vuole realizzare obiettivi così ambiziosi in breve tempo. Se, infatti, alcune nazioni hanno realizzato fino a questo momento degli importanti progressi in ottica di riforestazione (Senegal), ve ne sono degli altri in cui i lavori sono andati molto a rilento. È il caso, ad esempio, del Mali, importante Stato saheliano che, a causa di recenti gravi instabilità politiche, non ha portato a casa i progressi sperati. Tutta la regione del Sahel, in realtà, è attraversata spesso da periodi di forti conflitti di varia natura, in cui l’instabilità politica è purtroppo una spiacevole tradizione.

Oltre a ciò, si consideri che molte delle aree in cui dovrebbe sorgere questa imponente “cerniera” verde sono disabitate. La stretta linea saheliana che separa la savana dal deserto è storicamente poco densamente popolata, soprattutto a causa delle difficili condizioni ambientali e sociali riscontabili in quelle aree. Dunque, per provvedere alla grande opera di riforestazione si dovrebbe prima facilitare il trasferimento di un ingente numero di persone, le quali dovrebbero essere tecnicamente impiegate nei lavori di rimboschimento massivo necessario a raggiungere gli ambiziosi piani dell’Agenda 2030.

La Grande Muraglia Verde rappresenta certamente una sfida ostica, per certi aspetti epocale. Le difficoltà, sotto il profilo organizzativo e tecnico, sono davvero ingenti. Nondimeno, la lotta alla desertificazione è in cima alle priorità della Comunità Internazionale sotto il profilo ambientale. Oltre all’importante ruolo nella cattura di emissioni di CO2 – documentato ormai da moltissimi lavori accademici – il rimboschimento massiccio potrebbe contribuire a risolvere un altro grave problema che attanaglia i nostri ecosistemi: la crisi idrica. Secondo un crescente numero di report scientifici, infatti, le foreste “attrarrebbero” umidità atmosferica e faciliterebbero le precipitazioni. In sostanza, dunque, piantare milioni di alberi potrebbe essere un significativo viatico per incentivare il ciclo dell’acqua. Questo aspetto è a dir poco rilevante anche in chiave europea, visto che le crisi di approvvigionamento idrico non riguardano solo lontane lande africane ma, come testimoniato dalla recente attualità, anche il territorio del Vecchio Continente.

Fonte: Geopolitica.info

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