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Le monete digitali delle banche centrali potrebbero mettere fine al sistema bancario come lo conosciamo

Le monete digitali delle banche centrali potrebbero mettere fine al sistema bancario come lo conosciamo

Fonte: Contropiano.org (Caricato da Monica Origgi) Una Central Bank Digital Currency (CBDC) può essere definita come la rappresentazione digitale di

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Fonte: Contropiano.org (Caricato da Monica Origgi)

Una Central Bank Digital Currency (CBDC) può essere definita come la rappresentazione digitale di una moneta fiat nazionale, intesa come moneta a corso legale, emessa e gestita da un’istituzione sovrana (cioè, una banca centrale).

Si tratta quindi di una passività bancaria denominata in un’unità di conto esistente, accessibile a tutti, che funge sia da mezzo di scambio sia da riserva di valore. In pratica, la versione «virtuale» di una banconota.

La differenza principale tra una CBDC e il denaro che tutti noi abbiamo nel conto corrente o nel conto deposito (la cosiddetta «moneta-debito») è che, mentre la prima è sostenuta direttamente dalla banca centrale e, proprio come una banconota, è esente da rischi di credito o di mercato, la seconda è nei fatti generata dal sistema bancario e dipende da questo per la sua circolazione.

Di conseguenza, l’attuale moneta elettronica è legata alla fallibilità delle istituzioni finanziarie che la gestiscono e, in un clima di sfiducia generalizzata nei confronti del sistema bancario, la più classica delle corse agli sportelli può compromettere seriamente il funzionamento dei sistemi di pagamento.

È questo il «frutto avvelenato» del sistema bancario a riserva frazionaria, ovvero il regime monetario in vigore praticamente in tutto il mondo. La centralità strategica del settore bancario nelle moderne economie capitaliste ha generato l’orribile moloch che è l’attuale sistema del credito, ovvero un sistema «progettato per fallire».

Un sistema che, da un lato, genera profitti sfruttando una regolamentazione ampiamente insufficiente, cavalcando bolle speculative e favorendo l’indebitamento del settore pubblico e delle famiglie. Dall’altro, socializza le perdite chiedendo bail out a gran voce quando, una volta ogni dieci o quindici anni, il giochino si rompe e c’è bisogno di togliere le castagne dal fuoco.

Il problema è che, ad oggi, non esiste alternativa: il sistema delle banche private ha monopolizzato la creazione e la circolazione della moneta. Una delle principali motivazioni alla base dello sviluppo delle CBDC è proprio quella di affrontare l’instabilità finanziaria e diversi articoli hanno esplorato questo tema di recente, alla luce della difficoltà in cui stanno incorrendo diverse banche su entrambi i lati dell’Atlantico.

Già nel 2012, in un working paper dell’FMI intitolato “The Chicago Plan Revisited”, Jaromir Benes e Michael Kumhof (oggi senior research advisor della Banca d’Inghilterra) esplorano una proposta avanzata per la prima volta da Frederick Soddy, Frank Knight, Henry Simons and Irving Fisher negli anni Trenta.

Il “Piano di Chicago” proponeva un sistema bancario a riserva integrale, in cui le banche sarebbero state obbligate a detenere il 100% dei loro depositi in riserva presso la banca centrale. In questo sistema, le banche non sarebbero più state in grado di creare denaro attraverso il processo di prestito, come avviene sotto il sistema a riserva frazionaria.

Invece, sarebbe stata la banca centrale a essere responsabile della creazione di nuovo denaro e della sua iniezione nell’economia. Benes e Kumhof sostengono che un sistema bancario a riserva integrale, unito all’emissione di CBDC, potrebbe fornire numerosi vantaggi:

  • Innanzitutto, impedirebbe alle banche di creare e distruggere i propri fondi durante i boom e i crolli del credito basati sul sentiment, cioè sull’umore dei mercati finanziari, consentirebbe un controllo molto migliore dei cicli economici.

  • In secondo luogo, un sistema di riserva al 100% eliminerebbe completamente la possibilità di instabilità causata dalle corse agli sportelli.

  • In terzo luogo, consentire al governo di emettere denaro direttamente a zero interesse, invece di costringerlo a prendere in prestito lo stesso denaro dalle banche a interessi, porterebbe a una riduzione drammatica del fardello degli interessi sulle finanze governative. Inoltre, il debito netto del governo diventerebbe negativo, perché sotto il Piano di Chicago il governo acquisirebbe una posizione di credito a interesse elevato nei confronti delle banche. Questa posizione sarebbe creata quando le banche prendono in prestito per pagare il backing di riserva precedentemente inesistente.

  • In quarto luogo, dato che la creazione di denaro non richiederebbe più la creazione simultanea di debito, l’economia potrebbe anche assistere a una riduzione drammatica dei debiti privati. Ciò contribuirebbe evidentemente a ridurre la fragilità finanziaria a livello dell’intera economia.

  • In quinto luogo, il “Piano di Chicago” genererebbe grandi guadagni a lungo termine in termini di output, perché un debito inferiore e maggiori ricavi non inflazionistici di signoraggio porterebbero a grandi riduzioni dei tassi di interesse reali, delle tasse distorsive e dei costi di monitoraggio del credito.

  • In sesto luogo, le “trappole di liquidità” sarebbero una cosa del passato, perché il denaro sarebbe direttamente sotto il controllo del governo mentre il tasso di interesse controllato dalla politica non avrebbe un limite inferiore di zero. Ciò renderebbe anche molto più facile ridurre l’inflazione media a zero.

Benes e Kumhof non sono i soli a proporre l’utilizzo delle CBDC: la nuova fase di tensione nel settore bancario aperta dal fallimento di SVB ha fatto tornare all’ordine del giorno questo tipo di dibattito. Sulla rivista online “Project Syndacate” due economisti di rilievo come Jan Eeckhout e Yanis Varoufakis si trovano a sostenere prospettive molto simili a quella delineata nel progetto di Chicago.

Il fil rouge in questi contributi, che provengono da economisti di affiliazione ideologica diversa, è che il sistema della «moneta-debito» che ha dominato l’economia monetaria mondiale almeno sin dai tempi della fine di Bretton Woods (ma in realtà da molto prima) sta diventando rapidamente obsoleto.

Beninteso, ci sono diverse sfide che devono essere superate prima che le CBDC possano diventare realtà. Queste sfide includono questioni tecniche, come garantire la sicurezza e la resilienza dei sistemi CBDC, nonché questioni legali e regolatorie, come garantire che le CBDC non compromettano la stabilità finanziaria o la privacy.

Tuttavia, la strada è aperta: secondo un’indagine effettuata nel 2021 dalla Bank of International Settlements, l’86% delle 66 banche centrali intervistate hanno condotto attivamente ricerche sulle Central Bank Digital Currencies e il 14% si è dichiarato vicino al lancio di una propria valuta digitale.

Nel giugno 2021 l’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano ha mappato 85 progetti CBDC, sviluppati da 65 banche centrali (il 36% del totale delle banche centrali nel mondo). La Cina, che ha recentemente pubblicato un white paper sullo stato di avanzamento dello yuan digitale, è in una fase di sperimentazione relativamente avanzata.

Non è possibile prevedere quali saranno le tempistiche e le modalità con cui le CBDC saranno introdotte nel sistema finanziario mondiale, né tanto meno tutte le implicazioni nel lungo termine.

È difficile pensare che nel breve periodo si possa affermare un sistema a riserva integrale, se non altro perché la classe sociale che ha accumulato una quantità incalcolabile di ricchezza attraverso l’intermediazione finanziaria ha tutto l’interesse a rallentare o fermare questo processo.

Ciò che rileva però è che la possibilità tecnica di un «divorzio» tra la gestione del credito e la capacità di creare moneta – la prima nelle mani del settore bancario privato, la seconda restituita a pieno titolo alle banche centrali – è a portata di mano.

Quante altre crisi bancarie serviranno per trasformarla in una volontà politica?

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