Oltre dieci milioni di persone in tutto il mondo convivono con il Parkinson, malattia neurodegenerativa ad evoluzione lenta, ma progressiva, che coinvolge funzioni quali il controllo del movimento e l’equilibrio. Non esiste una cura, ma se i sintomi vengono intercettati in modo precoce la malattia può essere controllata. «I sintomi precoci non motori possono manifestarsi fino a dieci anni prima della diagnosi della malattia. Quando compaiono i sintomi caratteristici del Parkinson come i tremori o la rigidità, la metà dei neuroni che producono dopamina sono già morti» sottolinea Gianni Pezzoli, neurologo, presidente dell’Associazione Italiana Parkinsoniani e della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson.
Difficoltà nella parola
Uno di questi sintomi è caratterizzato dalla difficoltà nel pronunciare le parole. La voce diventa via via più flebile, spesso monotona, con difficoltà nel pronunciare le parole e talvolta ad aprire la bocca. In genere il paziente parla in modo meno espressivo, più lento, più frammentato e non è sempre semplice rendersene conto a orecchio nudo. Con il progredire della malattia la raucedine, la balbuzie, la pronuncia confusa delle parole e la perdita delle pause fra una parola e l’altra diventano più evidenti. Chi ascolta si trova spesso a dover chiedere di alzare il tono perché non sente.
In futuro un’app
Per ora l’algoritmo creato (lo studio è pubblicato su Applied Sciences) è stato testato solo su pazienti con diagnosi di Parkinson. «Il nostro sistema è in grado di distinguere le persone con Parkinson da persone sane utilizzando un campione vocale» spiega Kipras Pribuišis, docente di Otorinolaringoiatria e tra gli autori dello studio. In una cabina insonorizzata è stato utilizzato un microfono per registrare un discorso pronunciato da persone con Parkinson e persone sane. Un algoritmo di intelligenza artificiale ha «imparato» ad elaborare il segnale valutando le registrazioni. I ricercatori sottolineano che l’algoritmo non richiede un hardware particolarmente potente e in futuro potrebbe funzionare anche con un’app. «I nostri risultati hanno un potenziale scientifico molto elevato, anche se la strada è ancora lunga per poter applicare il sistema nella pratica quotidiana» affermano i ricercatori. I prossimi passi saranno di ampliare la platea di pazienti per raccogliere più dati possibile e sarà anche necessario verificare se l’algoritmo funziona bene non solo in ambienti di laboratorio ma anche in uno studio medico o addirittura a casa del paziente.