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Un gemello digitale della Terra per salvare il clima

Una sfera di cristallo per prevedere il clima? È quello a cui di primo acchito fa pensare Destination Earth, il gemello digitale della Terra a cui sta lavorando la Commissione Europea.

Un gemello digitale della Terra per salvare il clima

Una replica virtuale interattiva del pianeta che dovrebbe permettere di individuare tendenze generali e regionali, testare scenari alternativi, consen

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Una replica virtuale interattiva del pianeta che dovrebbe permettere di individuare tendenze generali e regionali, testare scenari alternativi, consentire a politici e amministratori locali di prendere decisioni basate su complessi modelli matematici e un’immensa quantità di dati.

Per non farsi trovare impreparati di fronte ai cambiamenti del pianeta, che possono purtroppo dar vita a fenomeni calamitosi e inaspettati, come le alluvioni dell’anno scorso in Germania o gli incendi in Siberia e California.

Annunciato ufficialmente a fine marzo, Destination Earth è in cantiere dal 2020, ma il progetto negli ultimi tempi ha subito un’accelerazione con l’attenuarsi della pandemia.

Fioccano le inserzioni per comporre una task force di scienziati e ricercatori che verranno dislocati nell’ufficio di Bonn, in Germania, del Centro europeo di previsioni meteo a medio termine (Ecmwf), uno dei partner chiave dell’iniziativa, assieme all’Agenzia spaziale europea e all’Organizzazione per l’esercizio dei satelliti meteorologici.

Il piano è quello di creare entro il 2024 due gemelli digitali (o digital twin): il primo per monitorare gli eventi climatici estremi (terremoti, tsunami, siccità eruzioni) e capire come porvi rimedio e il secondo per sperimentare virtualmente gli effetti di politiche di adattamento al cambiamento climatico.

Entro il 2027, dovrebbero essere realizzate altre simulazioni virtuali dedicate ad aspetti o ambienti specifici (per es, un digital twin degli oceani, o dell’Artico); per poi arrivare, entro il 2030 a una replica digitale completa del pianeta.

Non si tratta, come accennato, di un’idea nuova: Destination Earth, che nella prima fase avrà un budget di 150 milioni di euro, nasce sulle ceneri di un progetto europeo ancor più ambizioso, Extreme Earth, che era stato poi accantonato.

Non si tratta nemmeno di un obiettivo esclusivo dell’Unione Europea: l’azienda americana Nvidia ha annunciato che intende realizzare anch’essa un gemello digitale della Terra, Earth 2, sfruttando un super computer dedicato appositamente alla previsione del cambiamento climatico.

Digital Twin a confronto

Sebbene il progetto di Nvidia si concentri al momento soprattutto sull’aspetto hardware e quello europeo sia più sfaccettato, entrambi dovranno dedicare grande attenzione a un aspetto chiave: come reperire sufficiente capacità di calcolo per poter analizzare velocemente enormi

quantità di dati a un livello di precisione finora impensabile.

Le griglie utilizzate per studiare i cambiamenti climatici hanno in genere una dimensione di cinquanta o cento chilometri quadrati, quelle più accurate eseguite dall’Ecmwf, arrivano a un livello di dettaglio di circa dieci chilometri quadrati.

Più piccola la griglia, maggiore la risoluzione e di conseguenza la capacità di monitorare e predire con precisione l’andamento del clima su scala locale.

Destination Earth punta a utilizzare per il proprio modello una risoluzione di un chilometro quadrato, sufficiente per rendere con precisione i moti convettivi dell’atmosfera o i vortici d’acqua negli oceani.

Per far questo servono i dati, e quelli l’Europa li ha: provengono per lo più dalle osservazioni dallo spazio dei satelliti del programma Copernicus, e in parte da sensori terrestri.

Il ruolo dei supercomputer

Servono però anche i super computer, come quello che intende costruire Nvidia o come quelli che sta finanziando l’Ue con gli otto miliardi dell’iniziativa EuroHPC (European High-Performance Computing). Al momento si punta su Lumi, ospitato in Finlandia e sul “collega” Leonardo, in arrivo a luglio Bologna. Lumi è uno dei super computer più veloci al mondo, in grado di effettuare 552 petaflops, o milioni di miliardi di operazioni al secondo.

Numeri difficili persino da concepire, che però potrebbero non bastare: si stima che per poter ricavare in maniera efficace dati utili prodotti dai gemelli digitali della Terra, servirebbero computer in grado di gestire perlomeno migliaia di petaflop.

Altrimenti le simulazioni si potrebbero anche fare, ma con tempi ingestibili. Per rendere l’idea, per estrarre col super computer giapponese K informazioni utili da un paio di giorni di osservazioni alla risoluzione di un chilometro, sono occorsi diversi mesi.

Una scorciatoia, a cui ha accennato di recente l’amministratore delegato di Nvidia, potrebbe essere quella di utilizzare modelli di deep learning e intelligenza artificiale per velocizzare l’analisi dei dati, senza dover replicare passo passo le equazioni fisiche che descrivono i fenomeni.

Sinergie e differenze di approccio

Sono in discussione possibili sinergie fra i team di Destination Earth e Earth 2, ma qualsiasi collaborazione dovrà tener conto della diversità di approccio.

Nel caso di Destination Earth, trattandosi di un progetto finanziato dai cittadini europei, si prevede che la maggior parte dei dati prodotti siano liberi e accessibili a tutti.

I risultati basati su deep learning e intelligenza artificiale devono inoltre scontrarsi spesso col problema della “scatola nera”: si nota che i programmi arrivano a conclusioni corrette, ma non è ben chiaro in base a quale processo.

Il che potrebbe essere un problema, dato che lo scopo ultimo di questi progetti è quello di offrire alle autorità pubbliche dei resoconti sui quali basare le proprie decisioni in maniera trasparente.

Dubbi e limitazioni

Creare un vero e proprio gemello digitale della Terra è in ogni caso, allo stato attuale delle conoscenze, un’impresa estremamente ambiziosa e non tutti gli esperti ritengono che possa essere realizzata nei prossimi decenni.

Compreso proprio colui che ha coniato il termine “digital twin”, il professor Michael Grieves dell’Università di Oakland. “Non vedo come questo possa accadere, avere un digital twin coeso della Terra.

Mi sembra così lontano che non riesco a concepirlo. Non lo vedo realizzarsi in questo millennio”, aveva dichiarato un paio di anni fa in un’intervista, quando il progetto era ancora embrionale.

Scetticismo in parte dovuto a limiti intrinseci nelle osservazioni satellitari.

“Non consentono di vedere le correnti oceaniche, le placche tettoniche, niente del genere. Soltanto le caratteristiche di superficie, da cui poi cercare di ricavare delle conclusioni”, spiegava. Sarà importante perciò attingere anche ad altre fonti di dati, compresi quelli antropici, legati ai movimenti delle popolazioni, tracciati grazie ai telefoni cellulari.

In ogni caso, un gemello digitale non è quasi mai una replica perfetta dell’oggetto fisico di partenza. Per poter simulare in digitale una propria vettura, Tesla non ha bisogno di conoscere la tinta della carrozzeria o il numero di targa; si estrapolano le caratteristiche rilevanti. In questo modo si alleggerisce anche il carico computazionale.

Nel caso di un organismo vivente complesso come la Terra, ci si dovrà probabilmente accontentare per lungo tempo di piccoli gemelli digitali di zone limitate o fenomeni specifici. Sempre un grande passo avanti, comunque, che ci regalerà squarci preziosi sul nostro futuro.

Fonte: Repubblica.it

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