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Quanta competizione tra moneta virtuale e convenzionale?

La finanza virtuale non è un monolite ma una galassia di strumenti a cui non corrisponde necessariamente un valore “fisico” e che ha un’ampia gamma di servizi finanziari. Il loro successo si deve alla loro capacità di soddisfare le esigenze degli operatori senza l’intervento di intermediari istituzionali, con costi, flessibilità, rapidità, anonimato ed efficienza che il sistema ufficiale non offre

Quanta competizione tra moneta virtuale e convenzionale?

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L’inflazione al consumo nell’area dell’euro ha raggiunto a gennaio il 5,1% su base annua, con quella italiana armonizzata al 5,3%, rinfocolando il dibattito se è tempo che la Bce cominci a tirare i freni all’espansione monetaria in corso da due anni. La Bce non sembra convinta, adducendo a giustificazione che questa fiammata è determinata essenzialmente dall’impennata dei prezzi energetici e degli alimentari e non da pressioni dal lato della domanda, ma è costretta ad ammettere che la fiammata durerà più a lungo di quanto previsto. Si attende, in specie, che appena questa spinta si esaurirà, la dinamica dovrebbe rallentare dal 3,2%, che oltrepassa nettamente il suo obiettivo di medio periodo, e stabilizzarsi al 1,8% nel 2023 e 2024. Forse i suoi modelli previsivi non hanno messo in conto i prevedibili notevoli rialzi di costi dovuti alla transizione verde e agli investimenti nelle nuove tecnologie, costi che sono destinati a persistere per lungo tempo, né stimano possibile la ricorsa dei salari sull’inflazione, entrambi sviluppi probabili.

In ogni caso la futura condotta della politica monetaria dovrà tenere conto della sfida della finanza virtuale o digitale, che sfugge a ogni regolamentazione e risponde solo ad attori di mercato e gestori di piattaforme di emissione e di scambio. La sfida non ha assunto ancora dimensioni ragguardevoli nei portafogli finanziari, ma è in rapida espansione come dimostra il volume delle operazioni in cryptoassets, criptovalute e finanza decentrata (Defi), che si stima abbia raggiunto in appena un quinquennio la cifra di 4 trilioni di dollari nel mondo. Il successo del fenomeno è tale da aver sollecitato le autorità a studiare approfonditamente il fenomeno e da ultimo a emettere avvisi per il pubblico. Banca d’Italia e Consob, ad esempio, ad aprile scorso hanno richiamato l’attenzione del pubblico sui notevoli rischi a cui vanno incontro operando in criptovalute. Si tratta, in particolare, di opacità nella formazione dei prezzi, volatilità dei corsi, mancanza di tutele legali e di supervisione degli operatori, assenza di regole di protezione delle somme impiegate e rischio di perdite dovute a violazioni delle piattaforme, quali frodi informatiche.
La finanza virtuale non è un monolite ma una galassia di strumenti a cui non corrisponde necessariamente un valore “fisico” e che spazia dalle criptovalute, alle stablecoins (in cui tuttavia si fissa un rapporto stabile con un sottostante), i token, gli smart contracts, i sistemi di e-pagamento anche transfrontalieri, e i servizi di emissione, scambio, credito, investimento fino alla finanza decentrata. In breve, si tratta di un’ampia gamma di servizi finanziari e monetari offerti con tecnologie digitali e ampio ricorso al sistema blockchain da enti non bancari, non soggetti alle regolamentazioni e supervisione delle autorità finanziarie. Il loro successo si deve fondamentalmente alla loro capacità di soddisfare le esigenze degli operatori senza l’intervento di intermediari istituzionali, con costi, flessibilità, rapidità, anonimato ed efficienza che il sistema ufficiale non offre.

L’aspetto che più preoccupa le autorità è la capacità di questa finanza alternativa di spiazzare quella ufficiale e di mettere a rischio i meccanismi di trasmissione degli impulsi delle autorità monetarie all’economia reale per il tramite del sistema bancario e finanziario istituzionale. Di riflesso, la stabilità del sistema finanziario è esposta a rischi maggiori che nel passato.

Tra le funzioni svolte con tecnologie digitali quella di particolare interesse per le autorità monetarie è rappresentata dalle criptomonete, come stablecoin, perché in qualche misura entrano in concorrenza diretta con la moneta ufficiale. Le stablecoins si presentano come strumenti per effettuare pagamenti immediati e per detenere liquidità sulla base della dichiarazione del soggetto privato (non bancario) emittente di mantenere un nesso stabile con una o più monete ufficiali o attività finanziarie. Più difficile per loro assolvere la funzione di numerario, o unità di conto, perché il loro valore non è legato a una solida ancora di stabilità in quanto non tutelato da norme giuridiche e da un’autorità di gestione e controllo, né determinato su un mercato ufficiale, quindi esposto a grandi fluttuazioni. Nondimeno, le sue funzioni di mezzo di pagamento di rapida ed efficiente esecuzione, il suo carattere decentrato, l’anonimato sui possessori sono attrattive per molti operatori.

Secondo le autorità, non è conveniente vietarle perché la concorrenza anche tra strumenti di pagamento porta a maggiore efficienza operativa, spinta innovativa ed abbattimento di barriere all’entrata per quanti sono esclusi o insoddisfatti nel loro bisogno di servizi monetari e di finanziamento. D’altronde, una banca centrale potrebbe emettere una moneta ufficiale in forma digitale, che offra i vantaggi di una cripto moneta ma non gli svantaggi o i rischi. Con un simile strumento si verrebbe incontro alla tendenza affermatasi da tempo nel pubblico a eseguire i pagamenti con strumenti digitali, mentre l’uso del circolante nel commercio si è ridotto notevolmente. In Italia più della metà dei pagamenti commerciali sono effettuati con carte di credito, debito e similari, mentre il ricorso al contante è sceso sotto il 20%.

El Salvador si è rivolto direttamente a una cripto asset privata, introducendo il Bitcoin come moneta ufficiale, laddove in altri Paesi come quelli caraibici e la Cina la banca centrale ha affiancato alla moneta fisica una digitale con specifiche caratteristiche. Negli Usa e in Europa le banche centrali hanno elaborato dettagliate analisi dei pro e contro dell’emissione di una propria moneta digitale (CBDC), analisi che servono a chiarire quali obiettivi dovrebbe perseguire, quali rischi dovrebbe evitare e quali vantaggi dovrebbe assicurare. Infatti, anche una moneta della banca centrale in forma digitale accessibile a tutti comporta rischi per il sistema, benché di portata più limitata che per le analoghe di origine privata non-bancaria.

Quali i rischi? Il principale consiste nella capacità di alterare la struttura e il funzionamento del sistema finanziario nonché il ruolo delle attuali istituzioni. Attualmente le banche sono al centro del sistema creditizio e dei pagamenti; pertanto, sono soggette alla vigilanza della banca centrale, di cui sono la cinghia di trasmissione dei suoi interventi sui tassi d’interesse e sulla liquidità del sistema. Uno spostamento della liquidità di imprese e famiglie dai depositi bancari alle cryptoassets non bancarie oppure alla CBDC che offre maggior sicurezza, altera il livello di liquidità nel sistema, sottraendo risorse alle banche e riducendo la loro capacità di fornire credito. Queste potrebbero reagire raccogliendo risorse sui mercati finanziari, ma a un costo maggiore dei depositi del pubblico, con effetti sul costo del credito. Al tempo stesso la banca centrale dovrebbe modificare la sua condotta e i canali di trasmissione dei suoi interventi, in quanto gli spostamenti di imprese e famiglie da oppure verso la CBDC, al pari delle cryptoassets, possono modificare la condizione monetaria dell’economia e i tassi d’interesse rispetto ai valori obiettivo della banca centrale. Quest’ultima dovrebbe quindi intervenire con maggiore frequenza ed impegno nella regolare la liquidità, ampliare il suo bilancio, oppure ricorrere a particolari forme d’intervento.

La presenza di una CBDC potrebbe accentuare le fasi di tensione nel sistema finanziario nel caso in cui i primi segnali di vulnerabilità di istituti bancari provocassero una corsa del pubblico agli sportelli per rifugiarsi rapidamente in una moneta ufficiale esente da rischi, quale la CBDC. Potrebbe anche facilitare i trasferimenti di denaro tra Paesi e quindi assecondare più ampi flussi internazionali di capitali. Ovviamente, al pari dei rilievi mossi alle cryptoassets, una CBDC dovrebbe fronteggiare il rischio di riciclaggio di denaro illecito e di frodi informatiche, di utilizzo per terrorismo o per evasione fiscale, e l’impatto negativo sull’ambiente dovuto al dispendio di energia. Sotto un profilo più generale, in assenza di una CBDC le criptovalute avrebbero spazio per impossessarsi di parte del signoraggio monetario che deriva allo Stato dall’emissione di strumenti di pagamento a corso forzoso.

A fronte di questi rischi andrebbero considerati i benefici dell’emissione di una CBDC. Questa potrebbe offrire un’alternativa migliore e più sicura alle criptovalute, soddisfare la preferenza del pubblico per pagamenti con mezzi digitali, essere esente da costi ed avere esecuzione immediata come un trasferimento di contante. Potrebbe altresì accelerare il progresso verso la digitalizzazione dell’economia e della società, insieme a uno stimolo a trovare servizi innovativi per i pagamenti.

Un aspetto di particolare rilevanza è il ruolo che potrebbe avere nella promozione della concorrenza. I servizi di pagamento hanno offerto a pochi grandi fornitori, soprattutto americani, l’opportunità di realizzare grandi economie di rete e di scopo per conquistare posizioni dominanti sia sui mercati, sia nei servizi di pagamento con rischi di abuso di potere. L’introduzione di una CBDC potrebbe servire a spezzare questa dipendenza in virtù dei suoi maggiori vantaggi, della sicurezza e della caratteristica di moneta legale.

Un’attenta esplorazione di questi aspetti è stata condotta in particolare dalla Fed, dalla Bce e da diverse banche centrali europee, tra cui la Banca d’Italia e la Riksbank svedese. Le loro conclusioni convergono sulle caratteristiche che dovrebbe avere la loro moneta digitale, ma lasciano arguire differenze di atteggiamento circa la possibilità di crearla. La Fed, in un recente rapporto su cui ha aperto una pubblica consultazione, ritiene che tale moneta dovrebbe svolgere tutte le funzioni del dollaro, promuoverne il ruolo internazionale nei pagamenti, comportare l’identificazione del possessore, essere ampiamente trasferibile, servirsi di intermediari per la distribuzione e la detenzione, ed assicurare la protezione della privacy. Tuttavia, non si manifesta alcuna intenzione di crearla.

La Bce è andata oltre: dopo una consultazione pubblica e una sperimentazione ha lanciato una fase biennale (fino al 2023) di investigazione sulle caratteristiche di un possibile euro digitale, pur non impegnandosi alla fine ad emetterlo. Ha piuttosto indicato alcuni requisiti di massima che dovrebbe avere: robustezza, sicurezza, efficienza, protezione della privacy ed osservanza delle norme di contrasto al riciclaggio di proventi illeciti e al terrorismo. Secondo i principi assunti come base, non si tratta di moneta parallela, è convertibile alla pari con il circolante, ampiamente accessibile ai residenti, ma con limitazioni per i non residenti per frenare i movimenti di capitali, soggetta a controlli sul suo volume per evitare ampi spostamenti dalla moneta bancaria all’euro digitale, con caratteristiche di sicurezza, efficienza e cybersecurity. La Bce ritiene possibile riuscire a rendere tutti questi aspetti compatibili tra loro in una soluzione tecnicamente e legalmente valida, ma in realtà non sarà semplice. Riconosce, tra l’altro, che sono necessarie una nuova infrastruttura di sistema e una fase di sperimentazione.

La Banca d’Italia, ad opera di un gruppo di suoi esperti, ha già sviluppato e pubblicato nel luglio scorso un notevole studio sulle possibili soluzioni tecniche, che permetterebbero di soddisfare i vari vincoli e criteri evidenziati nei lavori precedenti della Bce. Ovviamente, la decisione finale sull’emissione non dipenderà soltanto da considerazioni tecniche sulla configurazione ed accessibilità dell’euro digitale ma da più elementi, inclusi gli aspetti legali. Ad ogni modo, sembra che la probabilità di una sua introduzione stia aumentando e che nel giro di qualche anno si arriverà a una positiva conclusione spinti dalla concorrenza delle criptovalute private. Su queste ultime, nel frattempo, è stato posto un primo ostacolo con il recentissimo decreto del Mef che obbliga gli operatori di valute virtuali a registrarsi in uno speciale registro ufficiale, verificare l’identità della loro clientela, comunicare le operazioni sospette e cooperare con le autorità. Altre norme sono in discussione a livello comunitario per regolare il mondo delle cryptoassets. Se le attività virtuali non riusciranno a insidiare lo sviluppo dell’euro digitale, il maggiore ostacolo alla sua diffusione sarà il “digital divide” o la scarsa conoscenza, che di fatto esclude una gran fetta della popolazione dalla nuova economia digitale.

Fonte: Formiche.net

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