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Servono idee per una nuova Europa

Oggi è ancora una volta la guerra che ci spinge a ribaltare l’idea mercantile dell’Unione

Servono idee per una nuova Europa

Si dice in filosofia che i paradossi «contengono lo splendore della verità». Se questo è vero in astratto, è certo vero oggi in un’Europa che di par

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Si dice in filosofia che i paradossi «contengono lo splendore della verità». Se questo è vero in astratto, è certo vero oggi in un’Europa che di paradossi ci presenta ampio e istruttivo catalogo.

Cominciamo da un paradosso banale. In data 16 febbraio 2022 la Corte di giustizia europea ha condannato la Polonia, dichiarandola «fuori dallo Stato di diritto» per le sue norme in materia di giustizia e di diritti Lgbt. In tempo reale la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, ha intimato: «La Commissione applichi rapidamente il meccanismo di condizionalità», ovvero operi a carico della Polonia ritenute sui fondi appena stanziati per il suo Recovery Fund. Ma pochi giorni dopo è iniziata la guerra e la Polonia è passata di colpo dalla polvere all’altare, onorando l’Europa con l’accoglienza dei tanti fratelli europei in fuga dal terrore. A seguire, la presidente von der Leyen si è recata a Kiev per consegnare il protocollare questionario per l’ingresso dell’Ucraina nella Ue. Certo un bel gesto e simbolico, ma accompagnato da un «Check the box» sviluppato su 30 caselle per 30 buro-impegni. Così che, viene da chiedersi: come andrà poi a finire, per i mercatini ambulanti di Leopoli o per le spiagge sul Mar Nero, con la Bolkestein, la persistente Direttiva Ue in materia di concorrenza?

Ma è in realtà proprio con la guerra che si arriva al vero paradosso. E questo non è per caso, perché è stato proprio da una guerra che è nata l’idea politica dell’Europa. Prima con il «Manifesto di Ventotene», scritto nel 1941, nel momento più cupo, e poi nel 1943 con la «Conferenza di Algeri sul futuro dell’Europa», quando gli Stati Uniti d’America fecero prevalere, sull’idea inglese di un Europa solo mercantile, un’idea politica dell’Europa.

Per l’Europa sono poi venute l’età della pace (1957-1958), l’età della globalizzazione (1992-2007), infine l’età della crisi (2008-2022).

La prima età è stata felice, perché politica più che economica. Il Mec certo, ma anche gli Stati. Come allora ebbe a dire il cancelliere Adenauer: «Che la foresta non sia tanto fitta da impedire la visione dell’albero!». Lo stesso non si può invece dire per la seconda, una età in cui l’Europa, rinchiusa in un palazzo abitato da sonnambuli, è risultata via via spiazzata nel mondo globale. Ed è così che si è arrivati alla terza età, una età in cui sono stati scambiate l’austerità con la moralità, il tasso di interesse con la politica. Una età in cui le élite si sono messe dal lato sbagliato della storia, come da ultimo nel «Five Presidents Eurosummit Report» del 2015, con i leader che partivano dalla «banking union» pensando di arrivare per questa via all’unione politica. Un po’ come fa l’Angelus novus, la figura che avanza con la testa rivolta all’indietro.

Ma oggi è di nuovo la guerra che ci spinge a ribaltare l’idea mercantile dell’Europa. Nei circoli degli illuminati si usa dire: è arrivato il «momentum». E oggi lo si ripete. Certo, ma il «momentum» che è arrivato è quello per seguire il cammino opposto al loro. Oggi, per fare l’Europa, si deve infatti intendere il messaggio profondo che viene proprio dal popolo dell’Ucraina, con le sue bandiere. Oggi il linguaggio da intendere è illinguaggio delle bandiere.

La bandiera federale americana è universalmente nota, ma quelle dei singoli Stati dell’Unione sono ormai quasi del tutto ignote agli americani stessi. È diverso in Europa. Se guardi una a una le bandiere degli Stati che stanno intorno ai tavoli europei, anche quelle dei più piccoli — e lo ricordo — senti sempre il respiro della storia: secoli di guerre certo, ma anche la vita dei popoli, le loro storie, le loro leggende, i loro eroi, i loro valori. Ciò che è vero è che oggi in Europa ci si presentano due diversi modelli politici: il modello confederale, basato su patti tra gli Stati, e il modello federale, che assorbe gli Stati in una entità politica nuova e superiore. In Europa tutti e due questi modelli sono oggi sfidati dalla globalizzazione, che da un lato spinge verso la federazione (l’unione fa la forza), ma dall’altro lato, per la paura dell’esterno e del nuovo, porta a cercare rifugio dentro gli Stati. E tuttavia non sono due modelli tra di loro opposti perché, come è stato per gli Stati Uniti d’America, il secondo può (e deve) venire dopo il primo. Oggi sono dunque quelle ispirate dall’Ucraina e dalla sua guerra le idee che oggi ci servono per partire verso la nuova Europa. E non stupisca se al principio, tra le due guerre mondiali, la via per il futuro dell’Europa è stata indicata da un poeta (Paul Valéry, «L’Europe et l’esprit») e poi da uno scrittore, da Albert Camus con la sua lezione «Sul futuro della civiltà europea». Lezione detta ad Atene nel 1955: «Le ferite della guerra così recente sono ancora troppo aperte, troppo dolorose perché si possa sperare che le collettività nazionali facciano lo sforzo di cui solo gli individui superiori sono capaci».

Fonte: Corriere della Sera

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