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La geopolitica dei chip

La geopolitica dei chip

Da diversi anni ormai si sente parlare di geopolitica dei semiconduttori e per me è arrivato il momento di approfondire l'argomento. Per farlo part

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Da diversi anni ormai si sente parlare di geopolitica dei semiconduttori e per me è arrivato il momento di approfondire l’argomento.

Per farlo partiamo da un recente articolo della Johns Hopkins University : “Clash of the Chips: A Comparison of US-China Semiconductor Production Capacities”, di Varda He and Jennifer Roberts, pubblicato il 7 maggio 2022.

Nello studio gli autori analizzano il processo di fabbricazione dei semiconduttori (chip) da un punto di vista specificamente geopolitico e con uno specifico scopo: analizzare la competizione USA-Cina per far sì che continui il dominio USA nel settore.

L’analisi mira a comprendere rischi e vantaggi dell’attuale processo produttivo americano, la produzione cinese e le criticità che gli USA dovranno affrontare per riportare alcuni processi produttivi nel proprio territorio per evitare problemi di supply chain e di sicurezza.

Parlare di confronto USA-Cina, come penso sia chiaro a tutti, significa interessare praticamente tutto il mondo, sia in considerazione delle materie prime occorrenti per la fabbricazione dei chip, sia per i luoghi dove questi sono fabbricati, sia per le politiche di influenza che mirano a proibire o favorire l’uso di componenti dell’una o dell’altra parte all’interno di prodotti militari o, più in generale, ad alta tecnologia.

In linea di massima, il processo di produzione dei chip può essere diviso in tre parti: progettazione, produzione, assemblaggio. Secondo gli autori, gli Stati Uniti sono attualmente in vantaggio nella fase di progettazione dei chip in quanto le proprie industrie controllano il 68% del mercato mondiale.

Ma per capire bene cosa significa e in cosa consiste la sfida attuale gli autori analizzano il processo produttivo cinese individuando le differenze e i punti di forza e debolezza in confronto agli USA. Quindi, e secondo me ben più interessante, vengono individuati i principali motivi di preoccupazione nel settore della produzione di chip:

– il produttore taiwanese “Taiwan Semiconductor Manufacturing Company” (TSMC), da solo è responsabile della produzione del 50% dei chip nel mondo;

– il secondo produttore al mondo è Samsung, sudcoreano;

– gli Stati Uniti sono solo terzi con Intel;

– i primi due produttori citati sopra sono gli unici capaci di produrre i chip delle nuove generazioni (tecnologia 5 nanometri).

Par capire perché entrambi i produttori siano da considerare strategici e geopoliticamente importanti, è sufficiente considerare che sia la Corea del Nord sia la Cina sono chiaramente individuati dagli USA come “nemici” (per gli USA la Cina dal 2022 è considerata la priorità n.1 nella 2022 National Defense Strategy) e ciò significa che un eventuale conflitto nell’area metterebbe a rischio la produzione dei chip ma soprattutto la produzione nel resto del mondo di “oggetti” da essi dipendenti, quali per esempio i computer, gli smartphone e tutta l’industria automobilistica mondiale, per non parlare dell’industria militare!

Nel 2020, nel pieno di questa guerra economica tra USA e Cina, gli Stati Uniti hanno inserito la Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC), la più grande società cinese produttrice di chip (detentrice di circa il 5% del mercato mondiale) nella black list, negandole l’accesso a tecnologie americane.

Ecco da cosa nasce la necessità degli USA di riportate sul territorio americano parte o tutta la catena di produzione dei chip ed ecco perché il 6 aprile 2022 la Casa Bianca ha stanziato 52 miliardi di dollari di sovvenzioni per produttori di chip locali.

Naturalmente la guerra economica USA-Cina nel settore dei semiconduttori ha influenze su tutto il mondo. In Europa per esempio si riflette nella impossibilità della società ASML Holding NV, con sede legale nei Paesi Bassi, di vendere le proprie tecnologie alle società presenti nella black list statunitense, e guarda caso la ASML si occupa proprio di tecnologie legate all’industria di produzione dei chip.

Cerchiamo ora di fare un passo avanti nella comprensione di questo fenomeno globale legato ai semiconduttori. Per farlo mi avvalgo di un altro articolo: “The geopolitics of semiconductors: implications for Australian business”, pubblicato da KPMG il 25 giugno 2021. Vi si parla di un altro aspetto non ancora toccato, relativo alla produzione del silicio impiegato per la produzione dei chip. Secondo quanto pubblicato infatti la Cina detiene il 64% della produzione del silicio per semiconduttori, mentre la Russia il 9%, seguita dal Giappone (7%) e da USA (5%) e Norvegia (5%). É abbastanza chiaro che se gli USA vogliono realmente riportare in casa la produzione di chip, devono partire dalla base e quindi dalla produzione di silicio per semiconduttori. L’Australia considera l’attuale confronto sulla produzione dei semiconduttori un rischio elevato, nonostante sia uno dei principali alleati degli USA.

Se gli Stati Uniti vedono la Cina come un competitor globale in tutti i settori e soprattutto nelle nuove tecnologie, la Cina non é da meno e già da diversi anni ha capito che la globalizzazione può essere un vantaggio ma anche un rischio. Nel 2015 ha lanciato la sua nuova policy chiamata “Made in China 2025” con l’obiettivo di raggiungere e superare l’Occidente nelle tecnologie emergenti e tra queste la produzione di chip.

Come è facile intuire non tutti i problemi del settore sono attribuibili allo scontro tra superpotenze, consideriamo per un attimo ciò che è accaduto nel 2020 e 2021 con interi settori produttivi bloccati a causa del COVID 19. Quali sono stati i risvolti della mancata produzione di chip? Blocchi di produzione nel settore automotive con mancati guadagni di circa 60 miliardi di dollari. É chiaro che la globalizzazione e la delocalizzazione selvaggia che abbiamo visto negli anni passati non funziona se non nel breve termine e in situazioni di relativa pace.

Fonte: Difesaonline.it

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