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Arabia Saudita: crolla il sistema del petrodollaro

Arabia Saudita: crolla il sistema del petrodollaro

L’Arabia Saudita è in trattative avanzate con la Cina per la vendita di alcuni quantitativi di petrolio in yuan cinesi invece che in dollari USA, come

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L’Arabia Saudita è in trattative avanzate con la Cina per la vendita di alcuni quantitativi di petrolio in yuan cinesi invece che in dollari USA, come riferito recentemente dal Wall Street Journal. Si tratta di un’iniziativa che – qualora si concretizzasse – potrebbe comportare lo sgretolamento del sistema del petrodollaro su cui si basa da più di mezzo secolo il sistema finanziario internazionale e il mercato delle materie prime, in seguito ad un accordo stipulato tra l’amministrazione Nixon e il Regno saudita nel 1973. Ciò avrebbe serie ripercussioni sull’impianto economico globale e su Washington che, in questo modo, perderebbe gran parte della sua centralità e del suo dominio con una progressiva de-dollarizzazione dell’economia mondiale. La Cina, infatti, è il più grande importatore di greggio al mondo, mentre l’Arabia Saudita è uno dei principali Paesi esportatori: secondo i dati dall’Amministrazione generale delle dogane della Cina, nel 2021 l’Arabia Saudita è stata il primo fornitore di greggio del colosso asiatico con una vendita di 1,76 milioni di barili al giorno, seguita dalla Russia con 1,6 milioni di barili al giorno. Se questi scambi dovessero avvenire in yuan, l’egemonia del dollaro come valuta di riferimento internazionale subirebbe un duro colpo: del resto, già la Russia – a causa delle sanzioni Occidentali – sta usando la moneta cinese come valuta di riserva per i suoi scambi commerciali con l’India.

La decisione dell’Arabia Saudita di fare a meno del dollaro negli scambi internazionali dipende dal deterioramento dei rapporti con il suo storico alleato – gli USA – sotto l’amministrazione Biden, da imputarsi a diverse circostanze di natura diplomatica e geopolitica: innanzitutto, i sauditi non tollerano l’idea di un possibile accordo con l’Iran sul nucleare e, in secondo luogo, lamentano la mancata difesa militare da parte di Washington contro gli attacchi dei ribelli Houthi yemeniti. Oltre a ciò, i rapporti sono peggiorati da quando, nel 2020, Biden ha insultato il Regno saudita, definendolo uno “Stato paria”, per via dell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, ostile alla Casa reale. Secondo l’intelligence USA l’uccisione sarebbe stata ordinata dal principe Mohammed bin Salman: per questo, lo stesso principe si rifiuta da giorni di rispondere al telefono al Presidente americano, il quale sollecita un aumento della produzione di petrolio. Al contrario, L’Arabia Saudita intende incrementare le sue relazioni col Dragone nella speranza di convincere Pechino a ridurre il suo sostegno all’Iran sciita, nemico dei sauditi.

Ma la volontà di rafforzare i legami economici e geopolitici con la Cina, adottando lo yuan come valuta di scambio, è anche da ricondurre al sistema di sanzioni messo in atto da Washington contro Mosca: Riyad, infatti – come del resto anche Pechino – vuole smarcarsi dall’orbita finanziaria statunitense per evitare che in futuro possa andare incontro allo stesso tipo di sanzioni, ma anche per allinearsi al nuovo polo economico emergente orientale: proprio il triangolo Russia-Cina-India segna del resto uno spostamento dell’asse dell’economia globale verso l’Asia a cui ha contribuito in modo determinante la crisi ucraina. Infatti, non solo molti Paesi asiatici – tra i quali proprio India e Cina – si sono astenuti sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina approvata dall’ONU, ma hanno anche resistito alle pressioni che Washington ha esercitato per fare applicare le sanzioni a Mosca. Come ha riportato un funzionario del governo indiano, ad esempio, l’India è intenzionata ad aumentare le importazioni di gas russo a prezzi scontati pagandolo in rupie e vanificando così gli sforzi statunitensi di compattare il mondo contro il Cremlino. Al contrario, ciò che si sta verificando è una “de-occidentalizzazione” dell’economia globale che, evidentemente, l’Arabia Saudita non ha mancato di cogliere e di sfruttare, spinta anche dai suoi risentimenti verso l’amministrazione Biden.

Dal canto loro, gli Stati Uniti – per tramite di un alto funzionario – hanno definito l’idea dei sauditi di vendere petrolio alla Cina in yuan “altamente volatile e aggressiva” e “non molto probabile”. È necessario sottolineare, infatti, che non è la prima volta che l’Arabia Saudita “minaccia” i suoi alleati “storici” di abbandonare il dollaro e che il passaggio da una valuta di riferimento all’altra richiederebbe comunque tempi lunghi, in quanto, ad oggi, i due terzi delle riserve di liquidità globali sono denominate in dollari. Allo stesso tempo però va rilevato come l’inizio della fine del sistema del petrodollaro sia inevitabile – proprio a causa dell’utilizzo strumentale del dollaro come “arma finanziaria” – così come l’emergere di un nuovo centro economico alternativo a quello occidentale, ricchissimo di materie prime, metalli preziosi, minerali e terre rare, rappresentato dall’Eurasia e da buona parte dei Paesi arabi. In questo contesto, la posizione dell’Arabia Saudita – ma anche dell’India – può segnare un’accelerazione determinante verso nuovi equilibri commerciali e geopolitici internazionali che presuppongono il ridimensionamento della valuta americana all’interno del sistema economico globale e, di conseguenza, anche del dominio unipolare occidentale.

Fonte: Indipendente.online

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