HomeInternational Banking News

Ragioni e giustificazioni della prossima guerra in Europa

Ragioni e giustificazioni della prossima guerra in Europa

Segnatevi questa cosa: tutti i politici mentono. Se siete delle anime belle, non continuate a leggere, perché vi stiamo per dire che i politici che se

Gli 8 motivi per cui la Russia potrebbe invadere l’ Ucraina
Le gang del Cremlino e la nuova guerra fredda digitale che è già in mezzo a noi
Che cos’è Internet Research Agency (IRA): la fabbrica di troll del Cremlino

Segnatevi questa cosa: tutti i politici mentono. Se siete delle anime belle, non continuate a leggere, perché vi stiamo per dire che i politici che seguono gli interessi nazionali mentono e hanno motivo per farlo secondo i loro cittadini più patriottici.

I grandi politici sono quelli che sanno mentire meglio e, anche se scoperti a mentire, sono giustificati da tutti come se la loro “verità” fosse autoevidente. Gli statisti, una volta scoperti a mentire, vengono considerati eroici per quello.

Ricordate anche questo: tutti i politici sanno che le menzogne devono essere credibili e che non devono assolutamente essere ridicole (possono salvarsi passando per bugiardi e spregiudicati, non per stupidi e inetti). Possono, senza sfociare nel ridicolo, sostenere che gli asini volano e che la pioggia cade all’insù, ma nel farlo devono argomentare come se parlassero con esseri razionali, non con dei cretini pronti a bere qualsiasi cosa.

Possiamo dire, per fare un esempio, che Bush Figlio ha avuto successo perché il suo segretario Colin Powell ha sostenuto la tesi di avere fra le mani la prova dell’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq in modo così convincente da non doverlo dimostrare, mentre il capo dei golpisti comunisti a Mosca nel 1991, Gennady Janaev, perse tutto per il suo atteggiamento clownesco e per niente credibile, nel sostenere le ragioni della sua parte con la stampa. “È ubriaco”: così pensarono tutti i cittadini sovietici e così finì “l’impero rosso”.

Focus su Mosca

Ciò detto, ci siamo chiesti come il presidente russo Vladimir Putin potrà argomentare e giustificare con l’opinione pubblica interna ciascuno dei diversi possibili interventi delle Forze armate di Mosca all’interno o attorno al territorio posto sotto la sovranità ucraina. Non importa sostenere che dirà il vero o mentirà: come abbiamo detto, da Churchill a Lincoln, sono i grandi leader quelli che mentono di più. E meglio. Il punto è un altro: è la qualità della “giustificazione” che indica il grado di fattibilità – e quindi la maggiore o minore probabilità – di un intervento o di un altro.

Prima di procedere, è importante sottolineare che se qualcuno fra i lettori crede che la Federazione russa sia un’autocrazia in cui la volontà del capo è legge e chi comanda non deve mai spiegare mai le basi delle sue scelte, non ha capito niente della Russia: quando non è in atto un’invasione, la qualità della vita è in forte declino e l’economia attraversa una fase molto critica, il “fronte interno” conta quanto e più dell’opinione dei generali o dei membri dell’establishment.

Chi è convinto che i Russi non siano pronti per la democrazia, ha in mente solo gli standard occidentali: nella Rossiya il popolo conta eccome tanto è vero che, caso unico al mondo negli ultimi duecento anni, col suo distaccamento dalle élite ha causato ben due “implosioni” dello Stato, prima la Russia zarista nel 1917 e poi l’Unione sovietica nel 1991. E altre due “implosioni” sono state evitate al termine della Guerra russo giapponese e al culmine della Seconda guerra di Cecenia…

Il primo scenario: la pressione continuativa

Non richiede nessuna forma di giustificazione verso l’interno: semplicemente minacciando l’uso della forza con i fatti, ma senza compiere incursioni extra-territoriali né andare oltre quanto posto in essere fra il febbraio 2014 e oggi, Mosca potrebbe sperare di causare all’Ucraina una crisi economico-sociale tale da innescare le condizioni per un regime change nel breve-medio termine, anche alla luce del conflitto politico fra il presidente Zelenski e la vecchia leadership.

È la scelta più probabile e più razionale, anche se comporta il rischio che l’Ucraina possa rafforzare le sue capacità di difesa nel medio termine e che si consolidino i rapporti fra Kiev e Ankara, entrambe determinate a non vedere il Mar Nero e il Caucaso trasformati in una riserva di caccia russa.

Il secondo scenario: l’intervento diretto nel Donbass

Il riconoscimento delle “repubbliche sorelle” di Luhansk e Donesk, la loro protezione “ufficiale” e lo schieramento di forze russe sembrano la soluzione più indolore e facile da giustificare davanti ai Russi e, per quel poco che conta, agli altri Paesi. In pratica, però, Mosca si esporrebbe al rischio – relativo, intendiamoci – di ulteriori sanzioni in cambio di quello che già ha: il controllo delle due metropoli dell’Ucraina orientale e di una sacca di territorio che le ingloba entrambe e confina con la Federazione russa nei pressi di Rostov sul Don.

Sarebbe facile spiegare ai Russi che così facendo si ottimizzerà la “sicurezza” delle centinaia di migliaia di cittadini residenti in detta sacca, ma… si potrebbero aprire crepe importanti sul fronte interno a causa del drenaggio di risorse dal bilancio federale alla ricostruzione materiale e socioeconomica di una regione di fatto devastata da otto anni di guerra, nell’ipotesi che al riconoscimento si accompagnasse anche l’annessione.

I Russi, ancora allarmati dalle spese enormi e dall’inefficienza della Crimea, sarebbero disposti a considerare detta annessione una “vittoria” di cui Putin potrebbe menar vanto in vista delle elezioni del 2024? C’è da dubitarne. Perciò, segniamo questo scenario come probabile solo se la regione del Donbass fosse trattata dalla Russia come la Transnistria.

Il terzo scenario: la creazione di una no-fly zone fra Donbass e Mare di Azov

I cittadini russi sono perseguitati e, fondamentalmente, in pericolo di vita nell’Ucraina orientale: sostenendo questa tesi, Putin potrebbe chiedere alle Forze russe di acquisire il dominio dell’aria in una fascia di territorio più ampia della sacca in cui si trovano Luhansk e Donesk. Né più e né meno di quanto fatto dagli Americani in Iraq durante gli anni Novanta, lo “zar” potrebbe assicurarsi che gli interi oblast di cui le due metropoli erano i capoluoghi e magari una fascia di territorio attorno al Mare di Azov siano interdetti alle forze armate ucraine, pur senza spingere i carri e la fanteria di Mosca all’interno di quelle terre, che immaginiamo ben protette da mine anticarro e antiuomo, sistemi di difesa antiaereo e da una possibile resistenza militare e civile.

L’intervento sarebbe accompagnato da un confronto, anche molto duro ma di fatto impari fra le forze aeree, le difese antiaereo e antimissile e la marina di Kiev, da una parte, e le forze aeree, i missili e la marina di Mosca dall’altra, con un fallout su quasi tutta l’Ucraina orientale e le principali basi aeree e, probabilmente, aeroporti anche civili a Est di Kiev.

La scelta sarebbe di facile digestione da parte dell’opinione pubblica russa nel breve periodo ma di dubbio valore nel medio e nel lungo termine, soprattutto se accompagnata da investimenti nella regione e dall’applicazione di sanzioni capaci di peggiorare ulteriormente gli standard di vita dei Russi.

La “dura lezione” difensiva

Dice Putin alla nazione: ad essere in pericolo, non sono solo i cittadini russi nel Donbass, ma tutti i russofoni residenti in Ucraina. Ne deriva uno scenario simile al precedente, con in più una campagna missilistica e aerea contro tutte le infrastrutture militari e quelle civili suscettibili di uso militare. Massimizzerebbe il danno per l’Ucraina, al contempo minimizzando gli effetti sulle forze russe. Ha il difetto di contraddire pesantemente la dottrina ufficiale del Cremlino, secondo cui Russi e Ucraini sono un unico popolo.

L’intervento, data l’estensione dell’Ucraina, dovrebbe durare per mesi: ricordiamo che nel 1999 la NATO dovette bombardare la Serbia per 78 giorni per averne ragione.

È ipotizzabile che la Russia faccia altrettanto, anzi per il doppio o il triplo del tempo, per “spezzare le reni” alle forze ucraine? Soprattutto, quanto potrebbe resistere il fronte interno alle possibili sanzioni e all’inevitabile fuga di buona parte degli expat ucraini, che ricordiamo rappresentano il 5% della forza lavoro in Russia?

La “durissima lezione” al governo di Kiev

È lo scenario precedente, con in più la distruzione dei principali impianti industriali chimici e meccanici, delle reti elettriche e delle comunicazioni, dei principali edifici governativi. Comprenderebbe la “caccia all’uomo” da parte dell’aviazione e dei servizi speciali per “mettere in sicurezza” gli attuali leader del Paese.

È uno scenario capace di scavare un solco di immortalis odium fra i due popoli, altro che di affratellarli. È impossibile da giustificare, se non adducendo “prove” di un vero genocidio in atto, e per questo è altamente improbabile.

L’invasione parziale “dalla Transnistria al Donbass”

Si giustifica adducendo interessi nazionali, diritti “storici” e la certezza che le popolazioni locali daranno il benvenuto ai soldati russi come liberatori. Se invece che bandierine e fazzoletti, Ivan Ivanov troverà granate e colpi di mitragliatore, questo scenario potrebbe degenerare rapidamente in un incubo senza fine. È per questo poco probabile, anche se fu indubbiamente nei pensieri del Cremlino nel 2014.

L’invasione totale “dalla Transcarpazia al Don”

È fuori dalla portata della Federazione russa, ne abbiamo già parlato in questo articolo (link) e, comunque, impossibile da giustificare.

Che cosa accadrà allora?

In conclusione, secondo chi scrive l’ipotesi più probabile per il brevissimo periodo è che, non trascurando l’uso della diplomazia ma anche attraverso pressioni continuative ma altalenanti sull’Ucraina con mezzi da guerra asimmetrica e, solo come mezzo di pressione accessorio, passando per il riconoscimento dell’indipendenza delle due Repubbliche popolari di Luhansk e Donesk, trasformate di fatto in protettorati russi non annesse alla Federazione (il ché sarebbe poco sostenibile dal punto di vista socioeconomico), Mosca offrirà a Kiev e all’Occidente la pace in un nuovo ordine regionale che metta da parte quello successivo al 1991. Mi riferisco a quello attuale, in cui gli ex Paesi socialisti e anche alcune repubbliche ex-sovietiche si sono messe al sicuro sotto l’ombrello della NATO e alla Russia sembra di fare la figura del parente povero dell’Impero sovietico.

L’obiettivo primario della Russia è di convincere con ogni mezzo la NATO a garantire la sicurezza in Europa lungo il meridiano Roma-Berlino, com’era stato durante la Guerra fredda invece che quello Bucarest-Varsavia, com’è adesso.

L’obiettivo accessorio, anche se venduto come primario, è assicurarsi che l’Ucraina non diventi mai ospite di sistemi di difesa dell’Alleanza atlantica e che non si doti di uno “sky dome” capace di neutralizzare la minaccia russa.

Noi Italiani che cosa ci guadagneremmo se passasse la linea di Mosca? Se si tornasse al meridiano Roma-Berlino, avremmo la certezza di essere la prima linea del prossimo conflitto Est-Ovest.

E se la Russia non sarà accontentata?

Se la NATO considererà l’allargamento a Est e la disponibilità ad accogliere nuovi membri un punto davvero non negoziabile, va da sé che Mosca userà l’Ucraina per rovesciare il tavolo, a prescindere dalle risposte di Kiev. Intendiamoci: la questione non è l’adesione dell’Ucraina, che nel medio termine non è realistica, ma l’arretramento, almeno parziale, delle difese poste in Polonia e Romania.

Parimenti importante è la disponibilità per Kiev di armamenti, equipaggiamenti e consiglieri forniti da Washington e dai Paesi alleati per resistere alla pressione russa. Non dimentichiamo quanto scritto pochi giorni fa: Mosca e Washington hanno montato tutto questo caso solo per decidere la NATO debba spostare i cardini della difesa dell’Europa contro i formidabili sistemi missilistici russi dagli ex Paesi socialisti alla linea Italia-Germania del passato. In questo modo, Kaliningrad, di fatto una potenziale pistola russa puntata alla tempia dell’Europa, non correrebbe più il rischio di essere soffocata in caso di una guerra con armi convenzionali e i Baltici potrebbero essere costretti a riconoscere il Mar Baltico come un lago russo. Ma questa è una storia che, da bugiardi di talento, né i politici russi né quelli occidentali vi racconteranno…

Che cosa accadrà dopo il fallimento, probabile, dei negoziati? Mosca si farà da sola, nel breve-medio periodo, una fascia di interdizione aerea e terrestre all’interno del territorio ucraino, colpendo le forze armate di Kiev e le infrastrutture fino a costringerle ad arretrare di 300-500 chilometri rispetto ai confini occidentali russi, al mare di Azov e alla Crimea, vale a dire oltre un terzo dell’Ucraina. Lo farà appoggiandosi alle mancate garanzie di sicurezza come giustificativo interno. Così facendo, il Cremlino eviterà, tra l’altro, di muovere le truppe meccanizzate e soprattutto la fanteria all’interno del territorio ucraino, dove mine, artiglieria e resistenza sono lì ad aspettarli per compiere una strage, che di certo Putin non può permettersi in vista della rielezione.

Insomma, la cosa più probabile è che si scivoli dal primo al terzo scenario, a meno che Mosca e Washington, sopra le nostre teste, decidano che la “Nuova Europa” possa in parte essere sacrificata. Ma da bravi bugiardi, questo non ce lo dicono: lo scopriremo solo vivendo…

Fonte: Difesaonline.it

Commenti