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Il Dna più antico mai ritrovato: ha 2 milioni di anni

solati nei depositi rocciosi della Groenlandia frammenti di Dna ambientale che permettono di ricostruire un intero (e ricco) ecosistema scomparso.

Il Dna più antico mai ritrovato: ha 2 milioni di anni

Nelle rocce della Groenlandia è stato scoperto il più antico Dna mai recuperato, appartenuto a esseri viventi di due milioni di anni fa. I paleont

Un unico test del Dna per 50 malattie genetiche
Dal Dna degli oceani molecole finora sconosciute
Realizzato un materiale che combina DNA e vetro: è più resistente dell’acciaio

Nelle rocce della Groenlandia è stato scoperto il più antico Dna mai recuperato, appartenuto a esseri viventi di due milioni di anni fa. I paleontologi definiscono la scoperta, appena pubblicata su Nature, “un nuovo capitolo nella storia dell’evoluzione”, e non solo perché il materiale genetico è un milione di anni più vecchio rispetto al precedente detentore del record (il Dna di un mammut siberiano).

L’aspetto più entusiasmante è che da questi campioni è possibile ricostruire con dovizia di dettagli un intero ecosistema oggi estinto: piante, animali, funghi e batteri che abitavano nel nord della Groenlandia quando le temperature erano assai più miti di quelle odierne.

Il Dna ambientale è il materiale genetico disperso dai viventi nell’ambiente circostante. Questo insieme di molecole di varia provenienza, per esempio liberate nel terreno, può essere usato per ricavare informazioni circa la presenza di specie in quell’area.

LENTO ACCUMULO. Gli scienziati hanno spiegato che i campioni di Dna sono stati ritrovati sepolti in sedimenti accumulati due milioni di anni fa in un arco di tempo di 20.000 anni, e rimasti da allora conservati nel ghiaccio e nel permafrost, al riparo dalle attività umane.

I sedimenti che oggi analizziamo si depositarono gradualmente in una baia poco profonda, in un periodo caratterizzato da temperature più calde di 10-17 gradi rispetto a quelle attuali in Groenlandia.

QUADRO ANIMATO. Con pazienza certosina i ricercatori hanno confrontato ogni singolo frammento di Dna raccolto con quelli archiviati e descritti degli animali, delle piante e dei microrganismi moderni, iniziando così a dipingere alcuni primi dettagli di quell’oasi di vita scomparsa: cespugli, uccelli, animali, batteri.

Alcuni pezzetti di materiale genetico sono balzati subito all’occhio come i predecessori delle specie moderne, altri sono risultati più difficili, a tratti imposibili da collocare tra le specie ancora in vita. L’ecosistema di Kap København comprendeva cervi, lepri, lemming (piccoli roditori della tundra artica), betulle e pioppi. Tra gli animali c’era persino il mastodonte, un grande mammifero proboscidato estinto simile a un elefante, che finora si pensava vissuto soltanto in America settentrionale e centrale.

TROPPO CALDO, TROPPO IN FRETTA. Quello che emerge è un ecosistema privo di equivalenti moderni, dove animali tipici della tundra coesistevano in un clima considerevolmente più caldo di quello artico attuale, a temperature simili a quelle che potrebbero verificarsi in futuro per la crisi climatica.

«Uno degli aspetti chiave qui è fino a che punto le specie saranno in grado di adattarsi al cambiamento imposto dalle condizioni che si creeranno con un aumento importante delle temperature», spiega Mikkel W. Pedersen, primo coautore dello studio. «I dati suggeriscono che più specie del previsto possono adattarsi evolutivamente a temperature che cambiano così tanto. Ma i nostri risultati ci mostrano che hanno bisogno di tempo per farlo. La velocità del global warming attuale implica che organismi e specie non abbiano questo tempo, pertanto l’emergenza climatica resta un’enorme minaccia per la biodiversità».

IMPARARE DAL PASSATO. Il team sta continuando a mappare il Dna di microrganismi come funghi e batteri ritrovato accanto a quello di piante e animali, e spiegherà in un secondo articolo le interazioni tra queste entità biologiche e il resto dei viventi.

Un altro aspetto importante sarà lo studio dei trucchi che le piante di questo ecosistema avevano adottato per adattarsi alle alte temperature: con l’ingegneria genetica potremmo copiarli e trasferirli alle piante moderne.

Fonte: Focus.it

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