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Idrogeno, dalla produzione al consumo: tre scenari possibili per l’ Italia

Idrogeno, dalla produzione al consumo: tre scenari possibili per l’ Italia

Se come ritengono molti esperti del settore energy siamo ancora lontani da un vero boom dell’idrogeno - l’orizzonte è il 2030 per l’Italia - già oggi

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Se come ritengono molti esperti del settore energy siamo ancora lontani da un vero boom dell’idrogeno – l’orizzonte è il 2030 per l’Italia già oggi si ragiona di possibili modelli produttivi e distributivi. A questo proposito Cesi, società di consulenza e ingegneria che si occupa di innovazione per il settore dell’energia, ha realizzato uno studio per inquadrare come potrebbe funzionare la produzione dell’idrogeno «made in Italy». Che sarà fondamentale nella transizione energetica come ricordato da Matteo Codazzi, ceo di Cesi: «C’è un problema di velocità diverse. Mentre il settore energetico in Italia ha ridotto le proprie emissioni di circa il 30%, i trasporti le hanno aumentate di circa il 2-3% rispetto al 1990. Nell’industria invece ci sono dei segmenti difficilmente decarbonizzabili con l’elettrificazione. L’idrogeno può aiutare questi due comparti ad accelerare la decarbonizzazione. Penso in modo particolare ai cosiddetti settori hard to abate»». Dall’acciaio al cemento, solo per citarne due.

I modelli possibili

Se l’obiettivo della strategia nazionale per l’idrogeno è produrre 700 mila tonnellate di idrogeno verde al 2030per Codazzi occorrono modelli concreti che tengano conto di logistica ed esigenze di consumo. Nell’indagine di Cesi si parla di tre soluzioni possibili. «Il primo modello — spiega il ceo — è il decentralizzato che mira localizzare nello stesso sito le rinnovabili, l’elettrolizzatore che produce idrogeno e il consumo stesso dell’idrogeno. È decentralizzato perché impianti rinnovabili ed elettrolizzatori sono distribuiti sul territorio nelle località dove sono presenti i siti di consumo. Questo assetto comporta, però, un maggiore dimensionamento dell’impianto perché il sito di utilizzo dell’idrogeno si può trovare in aree con meno produzione di energia rinnovabile».

Il secondo scenario è quello del trasporto di elettricità. «Significa localizzare la produzione rinnovabile dove c’è più sole e più vento e trasportare questa energia sulla rete elettrica sino ai luoghi di produzione dell’idrogeno. E quindi agli elettrolizzatori posti vicino a siti industriali», aggiunge CodazziIl terzo scenario riguarda il trasporto dell’idrogeno. «Rinnovabili ed elettrolizzatori — spiega — sono vicini ma i luoghi di consumo sono lontani e l’energia viene trasportata attraverso la molecola di idrogeno».

I costi

Resta ovviamente la questione del costo. «Oggi produrre idrogeno — dice il ceo — è ancora molto costoso. Per un chilogrammo di idrogeno ci vogliono circa 50 kilowattora di energia ovvero il consumo medio di una famiglia in una settimana o quello di un’ auto elettrica che copre la distanza Roma-Napoli». Al momento sono due le componenti che incidono sul costo dell’idrogeno: il costo degli elettrolizzatori, che pesa per il 10% sul costo finale, e il costo dell’energia rinnovabile che incide per il 75%. L’unica strada possibile per raggiungere i target secondo Codazzi è aumentare la produzione di quest’ultima. «Per fare 5 gigawatt di idrogeno dovremmo aggiungere 35 terawatt di energia rinnovabile in più, circa il 10% del consumo nazionale previsto al 2030. Significa installare altri 20 gigawatt di rinnovabili oltre ai 70 gigawatt che la strategia nazionale oggi prevede», conclude.

Fonte: Corriere della Sera

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