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Italia: può fare il “ponte” nel Mediterraneo

Italia: può fare il “ponte” nel Mediterraneo

“Si può fare!”. Era questo il motto di un politico italiano che durante una campagna elettorale, per altro disastrosa per il suo partito politico, ave

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“Si può fare!”. Era questo il motto di un politico italiano che durante una campagna elettorale, per altro disastrosa per il suo partito politico, aveva gridato a gran voce. Le cose si possono fare, se si vuole ovviamente.
Il governo presieduto da Mario Draghi, prima, e il governo attuale, poi, hanno dimostrato che questo assunto è vero.
La crisi generata dalla guerra in Ucraina ha fatto emergere con tutta la sua forza il problema della dipendenza energetica dal gas russo per l’intera Europa e per il nostro Paese.
Prima che scoppiasse la guerra in Libia il 19 marzo del 2011, l’Italia aveva in quel Paese una delle sue fonti di approvvigionamento stabili per le forniture di gas.
Gli interessi delle compagnie petrolifere francesi, sostenute dai politici francesi dell’epoca e coincidenti con gli interessi geopolitici di alcuni Paesi aderenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite, hanno portato all’inizio di una devastante guerra “a freddo” contro la Libia.
L’intervento bellico fu cominciato dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi. Attacco seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di missili da crociera tipo “Tomahawk” da navi militari statunitensi (con il beneplacito del Premio Nobel per la Pace, Barack Obama) e britanniche, sulle infrastrutture e obiettivi strategici in tutta la Libia.
Questa azione militare ha sì contribuito ad eliminare un discutibile dittatore, ma ha pure portato alla rovina economica la Libia e molti Paesi limitrofi del Nord Africa, come Egitto e Tunisia, che hanno visto mancare di colpo le rimesse degli emigranti che si recavano in Libia per lavorare.
Il danno per il nostro Paese è stato calcolato in diverse decine di miliardi di euro. Con l’instabilità che è seguita e che tuttora permane in Libia, la situazione è continuata a peggiorare negli anni successivi all’intervento militare dei francesi.
Per fortuna l’ENI, che era radicata in Libia da molti decenni, è riuscita in qualche modo a “tenere botta” e ad arginare le mire espansionistiche della francese Total.
La Russia, intervenuta sul terreno in supporto di una delle tante fazioni libiche in lotta, ha dovuto rivedere le proprie mire espansionistiche in Libia ed in Africa in generale, per concentrare tutte le risorse sulla guerra in Ucraina.
Rimangono adesso le fazioni libiche in lotta e i turchi che, malgrado i propri problemi interni e la devastante crisi economica che sta affondando il Paese, tentano in tutti i modi di giocare un ruolo di primo attore in Nord Africa.
La capacità indiscussa di Mario Draghi ha permesso al nostro Paese di riprendere una seria e realistica politica estera, con l’avvio di contatti e iniziative bilaterali con i Paesi del Nord Africa che cominciano a dare frutti, grazie alla continuità assicurata anche dal Governo che è seguito.
L’Italia può e deve ambire al ruolo di “ponte” con i Paesi del Nord Africa. Con buona pace dei francesi, gli italiani non sono odiati nel Nord Africa come invece lo sono i francesi.
Gli accordi appena firmati con l’Algeria e quelli in itinere con l’Egitto dimostrano che questa affermazione è più che mai reale.
La Francia farebbe bene ad allinearsi alle scelte politiche in ambito europeo invece di continuare a giocare da “battitore libero” come ha sempre fatto in Africa.
Da troppi anni la Francia continua ad intervenire, non sempre in modo trasparente, per far cadere Governi o per installarne di nuovi a lei graditi.
La Francia dovrebbe considerare di dismettere la pratica del Franco CFA, che forse poteva avere un senso nel 1945 quando fu istituito. Pratica che oggigiorno risulta essere anacronistica e contro qualsiasi principio di rispetto della libertà economica dei Paesi costretti ad accettare questo sistema.
In effetti al Parlamento Europeo c’è stato qualche timido tentativo di porre la questione del Franco CFA all’attenzione dell’Unione Europea. La risposta “burocratica” è stata che il “Franco CFA non è interessato dall’articolo 109 del trattato CE, che disciplina la politica dei cambi dell’Unione monetaria nei confronti delle altre monete.
La Francia potrà ancora garantire, attraverso il suo bilancio, la convertibilità del Franco CFA nel quadro delle norme generali del trattato CE sulle finanze pubbliche (articoli 104, 104a, 104b e 104c)”. Di fatto questa affermazione del Parlamento Europeo ha autorizzato il “signoraggio” della Francia sui Paesi africani che usano il Franco CFA.
Gheddafi nella sua follia aveva proposto di creare una valuta africana per sostituire il Franco CFA. Forse è stata anche questa la motivazione politica per la guerra in Libia?
Strano che nessuno ponga questa questione con la forza che dovrebbe avere specie in seno all’Unione Europea.
Intanto, uno degli effetti visibili al grande pubblico europeo della crisi in Libia e più in generale della crisi economica in Nord Africa, è il problema dei migranti clandestini che prima venivano in qualche modo controllati dalla Libia e che adesso, anche a causa del venir meno delle opportunità di lavoro in Libia per i lavoratori tunisini, egiziani, algerini, sta crescendo come una marea che investe per primo il nostro Paese proprio perché siamo il primo punto di approdo in Europa.
Come ha affermato il nostro Premier, proviamo una volta a beneficiare di quello che al momento è stato solo uno svantaggio per il nostro Paese: essere il primo punto di contatto dell’Unione Europea verso l’Africa, per aiutare l’Africa, l’Europa ed anche, perché no, il nostro Paese.
Insomma, con l’Italia il “ponte” nel Mediterraneo si può fare!

Fonte: Notiziegeopolitiche.net

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