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Industria: chi ci guadagna e chi ci perde se un euro vale come un dollaro

Partiamo da una base molto buona, la bilancia commerciale italiana nel 2021 ha chiuso con un attivo di circa 50 miliardi, 80 miliardi escludendo la bolletta energetica

Industria: chi ci guadagna e chi ci perde se un euro vale come un dollaro

Un’arma a doppio taglio che però è destinata a spuntarsi presto. Lucio Poma, capo economista di Nomisma, valuta vantaggi e svantaggi di una parità eur

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Un’arma a doppio taglio che però è destinata a spuntarsi presto. Lucio Poma, capo economista di Nomisma, valuta vantaggi e svantaggi di una parità euro-dollaro che arriva in un contesto del tutto particolare, con la crisi energetica e la carenza di materie prime e prodotti semi-lavorati figlie della crisi russo-ucraina. «Limitandoci agli effetti diretti sul mercato Usa – spiega Poma- non c’è dubbio che gli americani saranno spinti ad acquistare più made in Italy. Non è sostituibile e con il dollaro forte è a prezzi vantaggiosi. Penso ai settori classici dell’export italiano negli Usa: l’agroalimentare e il vino, la moda, per esempio. Ma penso anche al packaging, alla farmaceutica, alle forniture automotive, con aziende che sfiorano il 100% di export, anche con prevalenza negli Usa. Per queste imprese, non c’è dubbio, ci saranno vantaggi immediati e diretti».

Partiamo da una base molto buona, la bilancia commerciale italiana nel 2021 ha chiuso con un attivo di circa 50 miliardi, 80 miliardi escludendo la bolletta energetica. Ma, secondo Poma, ci sono ancora margini di miglioramento. Non solo per la forza del dollaro, ma per la vitalità del made in Italy. A maggio scorso, gli ultimi dati disponibili con il cambio euro-dollaro lontano dalla parità, la crescita dell’export verso i paesi extra-Ue (+26% su base annua) è stata trainata dalle vendite di beni strumentali e intermedi. Gli Stati Uniti, con una crescita del 42,5%, hanno pesato per un terzo. Il disavanzo commerciale è stato di 637 milioni causato dal deficit energetico (8.686 milioni contro i 2.914 milioni del 2021). Ma l’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici, 8.049 milioni, è stato in aumento su maggio 2021 (7.697 milioni).

Chi ci perde

La parte mezza vuota del bicchiere è l’import di materie prime e beni intermedi non sostituibili. «L’energia, prima di tutto – dice Poma – con il petrolio sopra i cento dollari è la spina principale, anche se il pagamento di fatto in rubli del gas è una tutela involontaria. Ma anche gli acquisti di allumino, rame, zinco, piombo possono diventare un problema».

Le imprese, importatrici ed esportatrici, da tempo sottoscrivono assicurazioni che limitano il rischio cambio. «Per il futuro – dice Poma – sarebbe opportuno adottare il metodo tedesco: la Germania paga il 50% delle materie prime che importa in euro. Anche il sistema Italia dovrebbe avere consapevolezza della forza dell’euro e imporlo negli acquisti delle forniture».

Ma la parità, secondo Poma, non è destinata a durare a lungo. «Gli Stati Uniti – dice – hanno un forte disavanzo della bilancia commerciale destinato ad aggravarsi con il dollaro forte. A fine 2022, quando terminerà la fase espansiva della Fed, l’economia Usa potrebbe avere un rallentamento e il rapporto euro-dollaro dovrebbe tornare ai livelli che abbiamo conosciuto nei mesi scorsi».

Fonte: Il Sole24 ore

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