Era l’11 marzo del 2011 quando la prefettura di Fukushima, in Giappone, divenne famosa in tutto il mondo. Tristemente famosa. Quel giorno un terremo
Era l’11 marzo del 2011 quando la prefettura di Fukushima, in Giappone, divenne famosa in tutto il mondo. Tristemente famosa. Quel giorno un terremoto di magnitudo 9 scosse la terra e provocò anche un maremoto catastrofico. Cinquanta minuti dopo la scossa, un’onda gigantesca si abbatté sulla centrale nucleare di Fukushima Daiichi causando l’esplosione dei reattori, l’emissione di radioattività nell’ambiente, l’evacuazione di 180 mila cittadini, il terrore per le conseguenze dell’inquinamento di terra e mare intorno alla centrale. Fu l’incidente nucleare più grave della storia dopo quello di Chernobyl nel 1986. Ad oggi lo smantellamento della centrale Daiichi deve ancora essere completato, ma Fukushima è già tornata protagonista nel settore dell’energia. Ma stavolta si tratta di idrogeno.
Il Giappone, come è noto, punta a diventare leader mondiale nella produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno, considerato la migliore soluzione di energia pulita verso uno sviluppo sostenibile e per fronteggiare il climate change. L’obiettivo del governo è di riuscire a coprire con l’idrogeno il 18% della produzione energetica del Paese entro il 2050 e ridurre di 6 miliardi le tonnellate di CO2, cercando di sostituire del tutto l’uso dei carburanti fossili nei trasporti con quello di gas naturale. Le tappe per farlo passano proprio dai sistemi di produzione di idrogeno usando fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, con l’obiettivo di arrivare nel 2025 a garantire 2 milioni di tonnellate di idrogeno l’anno per salire a 20 milioni nel 2050 a un costo che non superi i due dollari al chilo. Ed è qui che si torna nella prefettura colpita dal disastro del 2011. Proprio lì, infatti, è stato costruito il Fukushima Hydrogen Energy Research Field (FH2R), il più grande impianto al mondo per produrre idrogeno di classe 10 Mw, completamente alimentato da energia rinnovabile, grazie al fotovoltaico.
Fukushima ha dunque scelto l’idrogeno per provare ad attirare imprese nuove o far tornare indietro quelle vecchie, e far ripartire l’economia in una zona pesantemente colpita e dove sono tornati pochissimi cittadini dopo la grande evacuazione. «L’idrogeno è la chiave per lo sviluppo sostenibile, può essere prodotto da varie risorse, non emette gas serra, può essere immagazzinato, trasportato, esportato e utilizzato in vari settori, può decarbonizzare i traporti, il consumo energetico delle industrie, il riscaldamento e l’energia elettrica dei palazzi. E, soprattutto, non compete con altre energie rinnovabili ma le completa», ha dichiarato Eiji Ohira, direttore generale del gruppo di celle a combustibile e idrogeno della New Energy and Industrial Technology Development Organization (NEDO), aggiungendo che questo settore crea anche un importante valore economico, oltre a proteggere l’ambiente. Ohira ha ricordato che fin dal 2017 il Giappone ha annunciato di voler ridurre del tutto le emissioni di gas serra entro il 2050, ricorrendo al piano previsto dal Green Growth Strategy Through Achieving Carbon neutrality. Per sostenere questa strategia il ministero dell’industria ha creato il Green Innovation Fund con un investimento di 19 miliardi di dollari. Insomma, stavolta deve vincere il green.
Fonte: Corriere della sera