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Il paradosso di usare l’imperfetto per essere gentili nel presente

Tra i recenti usi bizzarri dell’italiano c’è quello di impiegare una forma del passato per sembrare più cortesi: «La chiamavo» anziché «la chiamo». Per qualche ragione, sembra più cortese

Il paradosso di usare l’imperfetto per essere gentili nel presente

Pronto…? – Buongiorno, sono… dell’agenzia…, parlo con…? – Sono io, mi dica. – Buongiorno, la chiamavo per… – Aspetti! Mi chiamava, ha detto: quand

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Pronto…?
– Buongiorno, sono… dell’agenzia…, parlo con…?
– Sono io, mi dica.
– Buongiorno, la chiamavo per…
– Aspetti! Mi chiamava, ha detto: quando?
– Come quando?
– Quando mi chiamava?
– Cioè, adesso…
– Sì, adesso mi sta chiamando, ma prima?
– Non capisco…
– Allora le ripeto la domanda: quando mi ha chiamato, prima?
– Ma io non l’ho chiamata…
– Ma se mi sta parlando…
– Appunto, la chiamavo per…

A meno che non si possa spiegare come la gemmazione di un’altra consuetudine del parlato – «pensavo che mi piacerebbe…», «volevo dirti che…», dove l’impiego del tempo imperfetto è a rigore sbagliato, ma in un certo senso giustificato perché prende il posto di un altro tempo verbale, il passato prossimo («ho pensato che…»), se non addirittura di una proposizione più articolata («ho deciso di, mi sono risolto a…»), con una sfumatura continuativa che conferisce a quanto segue una coloritura di più lunga meditazione.

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