HomeAgriculture, Automotive, Texiles, Fashion & Other

Hybrid Warfare: che cos’è la guerra ibrida?

Hybrid Warfare: che cos’è la guerra ibrida?

“La guerra non è che la continuazione della politica con l’aggiungersi di altri mezzi”. La ben nota massima dello stratega prussiano Karl von Clausewi

Gas russo, in caso di guerra Italia il paese più vulnerabile nella Ue
Italia partner naturale degli Usa nel Mediterraneo.
La misteriosa vicenda dei contractors del Gruppo Wagner in Bielorussia

La guerra non è che la continuazione della politica con l’aggiungersi di altri mezzi”. La ben nota massima dello stratega prussiano Karl von Clausewitz rappresenta in modo estremamente sintetico la definizione che meglio calza per spiegare cosa sia la Hybrid Warfare (Guerra Ibrida).

Ultimamente, sempre più spesso e a volte a sproposito, si sente parlare di questa forma di conflitto come se fosse qualcosa di nuovo, ma in realtà il concetto di Guerra Ibrida è qualcosa di conosciuto da tempo negli ambienti militari.

Nella sua accezione contemporanea, la Hybrid Warfare comincia a essere teorizzata nella prima metà degli anni ’90, come vedremo a breve, ma giova, ai fini della nostra trattazione, fornire un panorama storico/politico di lungo periodo per capire come si sia giunti alle moderne forme di conflitto ibrido e come esso dipenda strettamente dai principi della Guerra Asimmetrica.

La Seconda Guerra Mondiale viene unanimemente considerata il vero punto di svolta nella definizione di un conflitto moderno: le guerre formalmente dichiarate, con scambi di dichiarazioni tra le diplomazie, cessano di esistere dalla fine di quello scontro globale e pertanto assumono contorni più sfumati, asimmetrici, irregolari, grazie al terreno fertile stabilito dalla divisione in blocchi contrapposti (la Guerra Fredda) che cristallizza la possibilità di uno scontro convenzionale su grande scala a causa del possesso di arsenali nucleari, che si paventava (e si paventa ancora se pur drammaticamente in modo diverso) sarebbero stati usati in caso di conflitto aperto.

Stati Uniti e Unione Sovietica si affrontano “altrove” rispetto all’Europa, dove passava la “linea del fronte”, ovvero in conflitti in Paesi terzi, non allineati, in Medio Oriente, Africa, America Latina, Estremo Oriente sfruttando quelli che oggi vengono definiti proxy nel quadro della Guerra Asimmetrica: attori locali, statuali e non, che combattevano sostenuti politicamente e direttamente dai due contendenti globali.

A ben vedere questo meccanismo comincia prima: già nella Prima Guerra Mondiale erano state sviluppate unità speciali d’assalto che venivano impiegate dietro le linee del fronte in azioni di sabotaggio, mostrando il primo embrione di attitudine a operare in modo irregolare, che maturerà nel conflitto successivo quando le formazioni partigiane saranno uno degli strumenti dei Paesi Alleati per sconvolgere la retroguardia dell’Asse e da usare ad hoc per preparare il terreno per operazioni militari (ad esempio per l’operazione Overlord).

La propaganda, in quegli anni, era invece il mezzo politico per cercare di minare la fiducia del nemico, e combinata con l’attività di spionaggio, sabotaggio e coordinamento delle forze partigiane ha rappresentato il primo nucleo dottrinale di quella che diventerà poi la moderna Guerra Ibrida.

Gli anni ’90 del secolo scorso vedono la fine di un mondo diviso nelle logiche dei blocchi contrapposti ma non la cessazione dei conflitti. Restando nel nostro “vicinato”, oltre al conflitto nei Balcani, esplodono guerre nell’estero vicino russo animato da sentimenti di indipendenza.

Tra di essi la Cecenia ha rappresentato un caso di studio che ha evidenziato la necessità di riformulazione della Hybrid Warfare: sono le forze separatiste cecene ad aver messo in pratica una nuova forma di questo tipo di contrasto, riuscendo a mettere in seria difficoltà la Russia, esattamente come l’Iraq, anni dopo, ha rappresentato il prototipo di guerra ibrida messa in pratica da attori non statuali per gli Stati Uniti.

Però a metà di quel decennio, dall’altro capo del mondo, qualcuno aveva teorizzato, se pur in modo prettamente filosofico, la nuova Guerra Ibrida. Si tratta dei generali cinesi Wang Xiangsui e Qiao Liang che pubblicano il saggio “Guerra senza limiti” (Unrestricted Warfare) mettendo nero su bianco per la prima volta la teoria di una guerra moderna mirata a stravolgere i canoni convenzionali di un conflitto, unica modalità possibile, per la Cina di allora, di contrastare una superpotenza come gli Stati Uniti.

Il soldato, il carro armato, perfino l’agente segreto, diventano parte marginale di uno scontro che si perpetra attraverso tutti gli strumenti possibili, leciti e illeciti: da quello diplomatico a quello informativo passando per, ad esempio, la manipolazione del mercato azionario. La guerra, quindi, non è più appannaggio di personale “in divisa”, ma si sfuma in molteplici dimensioni, dove il ricorso al soldato, usato in modo convenzionale, è solo l’ultima ratio.

I due generali cinesi, lasciando trapelare tutta la base filosofica propria della loro cultura (Sun Tzu), affermano che si deve “combattere la guerra adatta alle armi di cui disponiamo”, cioè ricercare la tattica ottimale per le armi che si dispongono, e “costruire armi idonee alla guerra”, vale a dire prima stabilire le modalità di combattimento, poi sviluppare le armi.

Del resto proprio gli Stati Uniti hanno usato le sanzioni internazionali, gli embarghi, con estrema disinvoltura nel corso della loro storia per raggiungere i loro obiettivi di politica estera senza dover ricorrere a una guerra guerreggiata, anche se, è bene ricordarlo, questa attività può determinare un conflitto aperto (vedere il caso giapponese nella Seconda Guerra Mondiale). Ancora una volta si “combatte” con le armi di cui si dispone.

A febbraio del 2013 il generale Valery Vasilyevic Gerasimov pubblica su Voenno-Promyshlennyj Kuryer (traducibile come “il corriere militare-industriale”) l’articolo, ormai arcinoto,The value of science is in the foresight: new challenges demand rethinking the forms and methods of carrying out combat operations” che dettaglia ulteriormente il modello di Hybrid Warfare precedentemente messo a punto da Gareev e Slipcenko aggiungendo un mix di componenti diplomatiche, pressione economica e politica e altre ingerenze non militari (facendo tesoro quindi della metodologia occidentale) per riuscire ad annientare il nemico.

  • La modellizzazione occulta dell’ambiente obiettivo
  • La pressione e l’escalation
  • Lo sfruttamento mediatico della crisi e l’isolamento dell’obiettivo con esercizio della deterrenza
  • L’intervento militare circoscritto
  • La de-escalation e la risoluzione del conflitto
  • La pacificazione

In questo piano, il generale Gerasimov valuta che il rapporto tra misure non militari e militari sia di 4 a 1.

In realtà la Hybrid Warfare così come la conosciamo oggi è dovuta a una estensione della “Dottrina Gerasimov” ad opera di due militari russi in pensione diventati accademici di alto livello: il colonnello Sergey Cekinov e il generale Sergey Bogdanov. Sono loro, infatti, a inserire elementi come l’uso strumentale delle Ong, quello dei media di ogni livello e dei social network, l’azione delle istituzioni culturali in loco, e di attori di alto profilo nel campo dell’ecologia, della guerra psicologica e dello spionaggio.

Recentemente stiamo assistendo a un ulteriore ampliamento degli strumenti di Guerra Ibrida: le ondate migratorie provocate ad hoc. Queste vengono usate sia per gettare discredito in ambito internazionale sui Paesi che le bloccano o tentano di farlo, minando nel contempo la stabilità interna facendo leva sui sentimenti “umanitari” della popolazione bersaglio, sia come strumento ricattatorio per ottenere condizioni favorevoli in campo commerciale oppure direttamente elargizioni di denaro.

Quanto accaduto in Ucraina nel 2014 rappresenta un caso di studio unico in quanto permette di confrontare un successo e un parziale insuccesso dell’applicazione della Hybrid Warfare russa, ormai considerabile come dottrina universale di Guerra Ibrida moderna.

Le sei fasi della “Dottrina Gerasimov” si possono condensare, per semplicità di narrazione, in tre: la preparazione al Political Warfare, l’attacco e la stabilizzazione.

Nel caso della Crimea il successo, determinato dall’avvenuta fase di stabilizzazione con relativa annessione unilaterale della penisola nella Federazione Russa, è stato raggiunto grazie a due fattori: la velocità con cui la Russia ha isolato la Crimea dal governo di Kiev, e lo sfruttamento di fattori sociali quali la supremazia economica dei suoi investimenti sul territorio (dove già era presente una exclave importante rappresentata dalla base navale di Sebastopoli) condita dal fattore sociale principale rappresentato dalla stretta vicinanza culturale della popolazione locale con quella russa.

Nel Donbass, invece, sebbene la fase preparatoria sia avvenuta in modo pressoché identico a quella messa in atto in Crimea, il fallimento della Hybrid Warfare russa (la regione, nonostante l’autoproclamazione di indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk è ancora de facto attraversata da un conflitto congelato) è imputabile principalmente al non riuscito isolamento che ha permesso a Kiev di reagire in tempi molto più rapidi.

In ogni caso Mosca ha raggiunto un obiettivo tattico, che è quello di tenere in stallo la situazione non permettendo così ogni possibile ingresso in Europa e nella Nato dell’Ucraina, proprio in quanto alle prese con un conflitto la cui risoluzione sembra impossibile. Soprattutto la natura non attribuibile della minaccia, che si configura ufficialmente quindi come un’insurrezione interna, non permette all’Ucraina di appellarsi alle sue alleanze occidentali per la risoluzione del conflitto e inoltre pone Kiev nella condizione di non poter separarsi dalla Russia e guardare definitivamente a Occidente poiché il prezzo che dovrebbe pagare, la perdita della sua regione orientale, sarebbe troppo alto dopo quella della Crimea.

Fonte: Insiderover.it

Commenti