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Un pianeta per 11 miliardi di umani: un’ equazione complessa

È la stima al 2100. Darwin parlava di forze di adattamento connaturate all’umanità, ma potrebbero non bastare a proteggerci dal deterioramento ambientale

Un pianeta per 11 miliardi di umani: un’ equazione complessa

Nell’anno 2100, se seguiamo le previsioni delle Nazioni Unite che raccolgono un buon consenso tra gli esperti, quasi 11 miliardi di umani potrebbero a

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Nell’anno 2100, se seguiamo le previsioni delle Nazioni Unite che raccolgono un buon consenso tra gli esperti, quasi 11 miliardi di umani potrebbero abitare la Terra, tre miliardi in più degli attuali otto. Tre miliardi in più in 79 anni è un dato impressionante, ma sono bastati 36 anni ad aggiungere una cifra simile ai cinque miliardi raggiunti nel 1985. Infatti, il tasso d’incremento della popolazione del mondo è in continua flessione: il 2% l’anno mezzo secolo fa, meno dell’1% attualmente, all’incirca zero – si ritiene – verso la fine del secolo.

Tuttavia, nel resto del secolo bisognerà sfamare, alloggiare, vestire, dotare di acqua ed energia, di spazio, e di beni di ogni tipo, tre miliardi di persone in più, creando nuove pressioni ambientali in un territorio “fisso”, che è oramai antropizzato, direttamente (costruzioni, infrastrutture, agricoltura) o indirettamente (pascoli, foreste e boschi gestiti), per circa due terzi dell’estensione.
A questi temi è dedicato l’incontro “Popolazione e Ambiente” organizzata dalla Commissione Ambiente e Calamità Naturali dell’Accademia dei Lincei.
La crescita demografica determina un aumento della densità del popolamento e modificazioni nella distribuzione degli insediamenti, con effetti diretti e indiretti sulle emissioni di gas serra e quindi sul riscaldamento globale. Per esempio, l’immigrazione si associa alla deforestazione e al degrado delle foreste pluviali – l’Amazzonia, il bacino del Congo e di altri grandi fiumi dell’Asia meridionale. I processi di deforestazione sono molto attivi in Africa e in America latina, in parte in conseguenza dall’immigrazione e dall’intrusione demica. La popolazione delle aree costiere, e particolarmente quelle a maggior rischio, con elevazione inferiore ai 10 metri sul livello del mare, cresce molto più rapidamente di quella  delle aree interne; aumenta il rischio, per le prime, di inondazioni e tsunami e la loro fragilità verrà accentuata dal previsto aumento del livello del mare.

Un’altra conseguenza della pressione demografica è costituita dall’espansione di grandi aggregati umani: le grandi megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti (cresciute da 10 a 33 tra il 1990 e il 2018), con il 7% della popolazione mondiale, producono il 13% dei rifiuti e consumano il 10% dell’energia, generando un inquinamento assai maggiore del loro impatto demografico ed economico.

Il processo di riscaldamento globale in corso, inoltre, può determinare la desertificazione di regioni aride, nelle quali vivono centinaia di milioni di persone dedite soprattutto all’agricoltura e alla pastorizia, generando pressioni negative sui livelli di vita e alimentando spinte migratorie.

Le pressioni demografiche sull’ambiente sono, perciò, molteplici; non tutte sono irreversibili; sono graduali nel tempo; esistono processi di adattamento e di difesa. “Gli abitanti della Terra del Fuoco, del Capo di Buona Speranza o della Tasmania in un emisfero, e delle regioni Artiche, nell’altra” – scrisse Darwin – “debbono essere passati per molti climi ed aver cambiato le loro abitudini molte volte, prima di raggiungere le loro dimore abituali”. Però, quando Darwin scriveva, la popolazione del mondo era un quinto dell’attuale, e le forze di adattamento per lui connaturate all’umanità potrebbero non bastare, oggi e nel nel futuro, a proteggerci dal deterioramento ambientale.

Fonte: Huffpost.it

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