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Tutti vogliono comprare vintage. Ma non c’entra l’etica o l’ambiente

Sondaggio Kearney: si vuole risparmiare. Il business dell'usato vale 40 miliardi. Boom delle app, ma resistono i mercatini

Tutti vogliono comprare vintage. Ma non c’entra l’etica o l’ambiente

Il vintage esiste da sempre, esiste sotto forma di boutique, di negozi gestiti da persone appassionate che scovano, acquistano e rivendono capi. F

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Il vintage esiste da sempre, esiste sotto forma di boutique, di negozi gestiti da persone appassionate che scovano, acquistano e rivendono capi. Finora è stato un business ‘di nicchia’, ma qualcosa sta cambiando”: sono queste le parole di Dario Minutella, senior manager di Kearney, società di consulenza strategica presente in oltre 40 Paesi, che da poco ha condotto la prima grande ricerca mondiale sul mercato del vintage, con un focus particolare sull’Italia. “Quello che sta accadendo con applicazioni di successo come Vinted, la quale consente di vendere e scambiare capi di seconda mano, è che una nuova fetta di consumatori si sta interessando a questo settore. Si va, però, in cerca non del pezzo unico, del capo che col passare del tempo ha acquisito valore, ma dell’occasione. Della serie: l’anno scorso ho comprato quattro capi, li ho usati due volte, provo a metterli in vendita così mi rifaccio del 50% di quello che ho pagato. È una logica distante dall’idea ‘romantica’ di vintage. Ma non è per forza negativa: in questo modo, la moda diventa circolare”.

Secondo il Circular Fashion Report 2020, il mercato della moda circolare ha un valore potenziale di 5mila miliardi di dollari, il 63% in più dell’industria della moda tradizionale. Complice la pandemia, il business del secondhand ha registrato un boom stimato da Bcg Consulting tra i 30 e i 40 miliardi di dollari in tutto il mondo e il mercato globale dell’usato è probabile che cresca ancora nei prossimi cinque anni, con un incremento dal 15% al 20% l’anno. Ma da cosa è scatenato questo cambiamento? Perché le persone stanno intravedendo la possibilità di rimettere in circolazione abiti dismessi, valorizzando i più “preziosi” che avevano nell’armadio? Massimiliano Giornetti, direttore del Polimoda di Firenze ed ex direttore creativo della casa di moda Salvatore Ferragamo, spiega ad HuffPost quale trasformazione, innescata dalla pandemia, stiamo vivendo: “Con la pandemia ci siamo rimpossessati delle nostre case e ci siamo fatalmente accorti che i nostri armadi sono pieni di vestiti, spesso senza un valore intrinseco. Non attribuiamo più alla moda lo status di sogno, ma oggi rappresenta socialmente solo un desiderio frenetico di cambiamento costante. Un nuovo selfie e un post alla ricerca di un like. Allora la possibilità di dare al secondhand una nuova chance è diventato un business, in cui spesso però si confonde l’identità del ‘vintage’ rispetto all’usato”.

La parola “vintage”, dal francese antico vint (venti) age (anni), indica infatti un prodotto realizzato almeno vent’anni prima e che, invecchiando, è divenuto più pregiato. Nella moda, in particolare, lo stile vintage è attribuito a tutti i capi e gli accessori che si ispirano alle estetiche che hanno caratterizzato i decenni passati. Spesso vintage e usato vengono usati come sinonimi, ma un prodotto è considerato di seconda mano se è stato posseduto almeno da un’altra persona. A differenza degli articoli vintage, i prodotti di seconda mano possono essere stati prodotti in qualsiasi periodo storico, più o meno recente e il loro valore, specialmente di abiti e borse di marchi di moda importanti e famosi, dipende dalla qualità, dalle condizioni in cui è stato tenuto e dal prezzo a cui è stato originariamente venduto. “Ritengo sia fondamentale oggi, parlando così tanto di sostenibilità, ritrovare dei codici e dei valori. Attribuire ad un capo il suo naturale significato – aggiunge Giornetti -. È socialmente etico comprare 8 t-shirt solo perché attirati dal loro basso costo e non preoccuparsi di come e dove sono state confezionate? Dove le smaltiremo dopo che avranno avuto la loro seconda vita sui canali di vendita digitali? Allora il mio vuole essere un invito a riflettere, a cercare più creatività e più contenuti rispetto a quello che si acquista. A indagare se un capo è vintage, con una storia e un valore alle spalle, oppure è semplicemente un capo usato. Lo stile rimane, la moda passa”.

Fonte: Huffpost

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