Tornare a distinguere forme e movimenti degli oggetti, per poi riuscire a rielaborare le informazioni e riconoscere di nuovo la realtà
Il device è una protesi hi-tech, frutto di più di 10 anni di ricerche. Grande quanto la punta di una matita, ovvero 5 mm di diametro e 1 di spessore, la protesi viene posizionata sopra la superficie retina dalla mano del chirurgo esperto. In generale la vista è resa possibile da cellule chiamate fotorecettori, raggiunti dai fotoni della luce incidente. I fotorecettori trasmettono il segnale nervoso così prodotto ad altre cellule, dette cellule ganglionari della retina, che trasmettono le informazioni dai fotorecettori al cervello. In pratica, dunque,la luce che arriva sul fondo dell’occhio viene tradotta in segnali che arrivano al cervello attraverso il nervo ottico.
In pratica è una visione basata sulla stimolazione elettrica: l’idea è di trasformare l’input visivo in un segnale elettrico che accende l’attività neuronale della retina. Dunque non si torna a una vista normale, ma si acquista nel tempo e con il lavoro del paziente una visione artificiale, bionica, raccontano gli esperti, che potrà permettere di riconoscere forme e movimenti e interpretarli ricostruendo grazie alla rielaborazione del cervello l’immagine degli oggetti.
Se subito dopo l’intervento la persona è in grado di percepire luce, la riabilitazione inizia soltanto due settimane dopo ed è un percorso lungo in cui la persona impara a interpretare le informazioni. “Al termine di questo speciale training – riportano gli esperti del Gemelli – il paziente riuscirà a distinguere la forma degli oggetti, riconoscere il movimento, imparerà ad interpretare queste nuove immagini, che lui vede in bianco e nero e pixelate. Grazie alla plasticità neuronale infine il cervello imparerà pian piano a distinguere e a riconoscere questi oggetti. Questo garantisce alla persona una miglior interazione sociale e gli restituisce una certa autonomia nelle attività della vita quotidiana”.
Finora complessivamente sono stati effettuati 6 interventi di questo genere, in Israele e in Belgio, e quello del Gemelli, compiuto dal gruppo di Rizzo, fra i pionieri degli impianti della retina, è il primo in Italia. Lo studio clinico è in corso in diversi paesi e, oltre al professor Rizzo, prende parte il professor Francesco Bandello del San Raffaele di Milano. La selezione è stretta e per ora riguarda persone con retinite pigmentosa – che colpisce circa 150mila italiani – negli stadi avanzati, quando non ci si vede più da entrambi gli occhi. Inoltre, i candidati devono essere fortemente motivati e vanno incontro anche a colloqui psicologici, come spiega Rizzo, per valutare le aspettative e le loro potenzialità di seguire una lunga riabilitazione.
Fonte: Wired.it