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Aborto: in Italia in oltre 20 ospedali il 100% dei medici fa obiezione di coscienza

I numeri aggiornati del progetto "Mai dati", promosso dall'Associazione Luca Coscioni per far luce sulla condizione in Italia dell'accesso al diritto di interruzione di gravidanza. Dati aperti e una app per aiutare a garantirlo

Aborto: in Italia in oltre 20 ospedali il 100% dei medici fa obiezione di coscienza

È di qualche giorno fa la notizia che in almeno quindici ospedali italiani il 100% dei ginecologi è obiettore di coscienza. Il numero è emerso dall’in

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È di qualche giorno fa la notizia che in almeno quindici ospedali italiani il 100% dei ginecologi è obiettore di coscienza. Il numero è emerso dall’indagine Mai dati che sta svolgendo l’Associazione Luca Coscioni per verificare l’effettiva applicazione della legge 194/78 (quella che in Italia garantisce il diritto all’aborto). “E vi posso già dire che nel frattempo questi ospedali sono saliti a più di 20”, anticipa Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina e coautrice della ricerca insieme a Sonia Montegiove, informatica e giornalista. I risultati dell’indagine, non ancora definitivi, sono stati anticipati durante il XVIII Congresso nazionale dell’associazione. E mostrano una fotografia della realtà più veritiera rispetto a quella che emerge dalla relazione che periodicamente il ministero della Salute presenta in Parlamento.

I numeri “mai dati” sull’aborto in Italia

L’Italia che emerge da Mai dati è un paese in cui, a 43 anni dall’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, in più di 20 ospedali ci sono solo ginecologi obiettori (distribuiti tra Lombardia, con 4 centri, Molise, Piemonte, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata, Campania e Puglia) e in almeno altri cinque lo è la totalità del personale ostetrico o degli anestesisti.

In altri 20 presidi è obiettore più dell’80% dei medici e in altri 13 lo è più dell’80% del personale medico e non medico. “Già qui emerge una prima grande anomalia – sottolinea Chiara Lalli -. Perché anestesisti e personale non medico possono obiettare, se l’articolo 9 della legge prevede questa possibilità solo per chi svolge attività ‘specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione di gravidanza’ e non per quelle antecedenti o conseguenti? E quando sono tutti obiettori che si fa? Si chiamano figure esterne? O si interrompe il servizio anche in quei casi?”. Eppure la legge 194 dice chiaramente che l’obiezione non deve essere di struttura e che il servizio va garantito ovunque.

Dati aperti per l’esercizio di un diritto

Il limite della relazione del ministero della Salute è che i dati in essa contenuti sono chiusi, aggregati per regione e molto vecchi. Non possiamo quindi avere le percentuali di obiettori in ogni singola Asl o azienda ospedaliera. Tradotto: senza dati aperti, disaggregati e aggiornati costantemente, una donna che vuole abortire non può sapere con certezza se, rivolgendosi all’ospedale X, il suo diritto sarà garantito o meno. È questo modo “inutile” di raccogliere dati la ragione per cui l’Italia che emerge dall’indagine di Mai dati è diversa da quella delineata dal ministero.La relazione non permette di capire in quali territori è impossibile abortire – spiega Lalli -. Per esempio, evidenzia che la regione con più obiettori è la Sicilia (85,8%), ma noi sappiamo che la regione più preoccupante è il Molise, con un solo ginecologo che fa l’ivg, affiancato ora da una collega part time. E si sta delineando un profilo simile in Abruzzo”. Il documento inoltre non si occupa della formazione. “Cosa succede quando a capo delle scuole ci sono medici obiettori? – prosegue Lalli -. È una questione, qualitativa più che quantitativa, che approfondiremo in futuro, anche perché riguarda anche la tutela di chi ha aborti spontanei”.

I numeri individuati dall’Associazione Luca Coscioni, aggiornati al 30 settembre, potrebbero essere molto più alti, perché finora ha partecipato all’indagine solo il 60% degli ospedali italiani. Ma come si sta svolgendo la ricerca? “Da agosto con Sonia Montegiove stiamo mandando, tramite posta certificata, una richiesta di accesso civico generalizzato a ogni singola Asl censita dal Ministero – racconta Lalli -. Chiediamo informazioni che loro dovrebbero già avere: il numero di obiettori diviso per ginecologi, anestesisti e personale non medico, e il numero totale di queste figure. Loro hanno 30 giorni di tempo per rispondere e, dopo quella scadenza, mandiamo un sollecito. Ci sorprende la scarsa adesione riscontrata e soprattutto alcune risposte, come chi si è appellato al covid o al diritto alla privacy. Ma noi chiediamo solo numeri, non nomi e cognomi”. Sia chiaro: gli ospedali sono tenuti a rispondere: dal 2016, anche in Italia, il diritto di accesso civico agli atti è legge.

Un’app per sapere e poter scegliere

Ma l’iniziativa Mai dati non si ferma alla raccolta delle informazioni. “Il passo successivo sarà concentrarci su tre regioni, una per il Nord, una per il Centro, il Lazio, e una per il Sud, e da lì ampliare la ricerca alle università, al tempo di attesa, all’ivg farmacologica – spiega Lalli -. Vogliamo anche contestualizzare queste informazioni in relazione al territorioun ospedale col 100% degli obiettori ha un impatto diverso a Roma o in una cittadina di provincia, situazione in cui magari la donna è costretta ad andare in un altro Comune. E poi ci piacerebbe anche aprire ai cittadini la possibilità di contribuire (la mail del progetto è maidati@associazionelucacoscioni.it, ndr), magari chiedendo ai propri ginecologi se sono obiettori, o segnalando casi in cui viene rifiutata la pillola del giorno dopo. Dobbiamo mettere insieme più informazioni possibili, perché solo l’informazione ci libera dallo stigma”.

L’obiettivo è convogliare tutte queste informazioni in un’app che geolocalizzi gli ospedali e i loro servizi, in modo da poter essere un aiuto concreto per le donne che vogliono fare l’ivg.E a cui magari collabori anche il ministero, con dati aggiornati in tempo reale”, auspica Lalli. Nella consapevolezza che i dati non sono solo numeri, ma la possibilità concreta di eliminare, almeno diminuire, difficoltà ancora troppo presenti. “Si parla ancora tanto della sofferenza che c’è dietro a questa scelta, in un modo anche retorico e colpevolizzante – conclude Lalli -. Ma quanto è ipocrita un sistema che poi, concretamente, rende la vita impossibile a chi vuole solo esercitare un proprio diritto?”.

Fonte: Wired.it

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