Affiancare la metrica delle emissioni al valore di un prodotto è un passo cruciale nel processo di transizione ecologica. Proposte come la tassa di ag
Affiancare la metrica delle emissioni al valore di un prodotto è un passo cruciale nel processo di transizione ecologica. Proposte come la tassa di aggiustamento del carbonio al confine si basano sulla consapevolezza che dietro a ogni tipo di merce c’è un processo di produzione che rilascia gas climalteranti in atmosfera, di cui occorre tener conto. Nell’ottica di creare un’economia globale sostenibile lo stesso identico discorso può e dovrebbe essere applicato all’acqua.
Cos’è l’acqua virtuale
I Paesi del Medio Oriente tendono ad essere poveri d’acqua. Lì i cittadini hanno bisogno di molta più acqua di quella che i loro Paesi sono in grado di produrre, non solo per dissetarsi e per i servizi igienici ma anche per coltivare e costruire i beni di cui hanno bisogno. Così, quando importano quei beni, stanno importando per procura l’acqua di cui avrebbero avuto bisogno per produrli loro stessi.
Questo è il concetto di “acqua virtuale”, una metrica sempre più diffusa nella comunità scientifica che tiene conto di tutta l’acqua impiegata per creare un prodotto – oggetti, energia, alimenti – lungo l’intera catena di produzione. E serve considerarla per mappare e affrontare il versante idrico della questione sostenibilità.
Le ripercussioni
Beninteso, l’acqua è la risorsa circolare per eccellenza, ma considerando l’acqua virtuale “contenuta” in un prodotto si può iniziare a mapparne gli spostamenti attraverso i confini. Si stima che nel 2021 siano stati scambiati almeno 1,4 mila miliardi di litri d’acqua virtuale sul mercato globale. Questo è causa di preoccupazione per le regioni sotto stress idrico, come l’India o l’Arizona, dove si produce il mangime per le bestie che poi vengono vendute all’Arabia Saudita. Cosa che può intaccare la disponibilità finale d’acqua in momenti di crisi.
La questione è di natura prettamente strategica da ambo i lati, fermo restando che i fattori come la crescita della popolazione e il cambiamento climatico – dunque gli eventi estremi come alluvioni e siccità -, nonché l’uso eccessivo di acqua, accrescono l’incertezza in maniera globale. Da una parte ci sono i Paesi di origine e la loro esposizione agli eventi avversi che aumenta con l’esportazione di acqua virtuale, “dirottata” altrove. Dall’altra c’è la dipendenza dei Paesi poveri d’acqua, come alcuni Paesi del Golfo, che devono importare oltre l’85% del loro cibo.
Questa interconnessione è una lama a doppio taglio. Le nazioni povere d’acqua si basano sulle importazioni di cibo e l’acqua virtuale insita in esso, ma la loro sicurezza alimentare è a rischio se viene meno la catena di produzione o la loro disponibilità economica. Viceversa, i Paesi esportatori d’acqua virtuale rispondono alla domanda; nel caso di Brasile e Indonesia, per esempio, vaste porzioni di foresta sono state disboscate per fare spazio alle piantagioni per l’esportazione, con ripercussioni generalizzate sul clima del pianeta.
Le soluzioni
Sono allo studio tipi di coltivazioni saline e potenti impianti di desalinizzazione per sfruttare l’acqua marina e coprire il fabbisogno d’acqua, virtuale e non, della popolazione presente e futura. Ma come per la cattura e lo stoccaggio del carbonio, non esiste ancora una tecnologia affidabile e utilizzabile su larga scala. Per gli esperti la prima risorsa da mettere in campo non può che essere più efficienza, sia a monte che a valle della catena.
Questa è una materia essenziale per la transizione verso un’economia globale più equa e sostenibile. Se si considera la metrica dell’acqua virtuale diventa evidente come l’utilizzo di acqua in un luogo del pianeta condizioni direttamente la disponibilità idrica (indiretta) in un altro; quelle che in un Paese sono perdite accettabili possono avere effetti drammatici, mediante le catene di produzione e i prezzi degli alimenti, sulle fasce più povere della popolazione.
Oggi diminuire la carne è uno dei sistemi più efficaci in assoluto – una dieta a base vegetale ha un’impronta idrica dimezzata rispetto a una dieta carnivora – ma nei Paesi ricchi d’acqua si tratta anche di ridurre il consumo e tamponare la dispersione. Qui l’Italia ha poco da star serena: come ha rimarcato Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera, siamo in vetta alle classifiche europee di consumo e dispersione della risorsa, per cui “[buttiamo] via, non del tutto personalmente, 156 litri al giorno”.
Fonte: Formiche.net