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Corsa al turismo spaziale: i numeri di una follia ecologica

Corsa al turismo spaziale: i numeri di una follia ecologica

SpaceX, l’azienda aerospaziale di Elon Musk, ha ufficialmente dato il via alla prima ciurma spaziale composta totalmente da privati. A bordo, tre turi

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SpaceX, l’azienda aerospaziale di Elon Musk, ha ufficialmente dato il via alla prima ciurma spaziale composta totalmente da privati. A bordo, tre turisti paganti e il capo astronauta di Axiom, azienda che ha cogestito i preparativi e che prevede in futuro di installare un modulo turistico sulla International Space Station (ISS). Axiom non ha voluto rivelare nulla sui costi della spedizione, ma le testate statunitensi stimano che ogni visitatore abbia pagato 55 milioni di dollari pur di riservarsi un posto in questa gita extraterrestre della durata di 8 giorni. Un traguardo indubbiamente epocale, considerando che è la prima volta in assoluto che la Nasa ospita passeggeri privati sul proprio avamposto. Il turismo spaziale pare sia quindi ufficialmente ai nastri di partenza. Tuttavia, questo ha dei costi, e non solo economici. L’impatto ambientale di un volo nello spazio è infatti enorme, cosa accadrebbe se le gite di piacere in orbita diventassero frequenti come sperano i loro miliardari promotori?

Le emissioni di anidride carbonica di un volo spaziale, con a bordo 4 passeggeri, sono tra le 50 e le 100 volte maggiori rispetto alle circa 2 tonnellate stimate per ogni passeggero di un volo aereo convenzionale a lungo raggio. Ad oggi, alla luce del relativamente basso numero di lanci nello spazio, questa quota di carbonio potrebbe considerarsi trascurabile, ma se i viaggi orbitali diventassero ‘il futuro’ – come spera l’uno o l’altro magnate – le cose cambierebbero e nemmeno di poco. Secondo le stime dell’astrofisico francese Roland Lehoucq, le emissioni della navicella Virgin Galactic – di proprietà dell’imprenditore britannico Richard Branson – si aggirano intorno alle 4-5 tonnellate per passeggero: oltre il doppio del budget annuale individuale di anidride carbonica raccomandato dall’Accordo di Parigi. Gli obiettivi di quest’ultimo potrebbero essere così messi a repentaglio da un settore emergente che ha tutte le carte in regola per imporsi sul mercato. Basti pensare che la Virgin Galactic, da sola, punta ad almeno 400 voli l’anno.

Tra l’altro, il problema non è solo l’anidride carbonica. Per superare l’atmosfera, i razzi hanno bisogno di un’enorme quantità di propellenti, come il cherosene, per il Falcon 9 di SpaceX, o l’idrogeno liquido, nel caso del nuovo Space Launch System della Nasa. Secondo uno studio di Earth’s Futuredue terzi del propellente esausto vengono rilasciati negli strati atmosferici intermedi dove permangono anche per diversi anni. I combustibili poi, oltre alla più preoccupante – in termini climatici – anidride carbonica, rilasciano altre sostanze chimiche nell’atmosfera. In primo luogo, tutti i razzi emettono enormi quantità di calore che favoriscono la conversione dell’azoto atmosferico in ossidi di azoto molto reattivi e, a seconda del carburante impiegato, anche fuliggine, cloro e particelle di ossido di alluminio. Nel complesso, si tratta di tutte sostanze che, da un lato, inducono un assottigliamento dello strato di ozono mentre, dall’altro, esacerbano un già critico riscaldamento globale.

Premura che non sembra essere nell’agenda dei più, intanto però, i ricchi fautori del turismo spaziale vengono insigniti, per il loro impegno ambientale, delle più svariate onorificenze.

Fonte: Indipendente.online

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