Può capitare di incontrare per strada a New York Andrea Bonomi, AD di InvestIndustrial: Il suo ufficio è in pieno centro, al 15esimo piano del Seagram
Può capitare di incontrare per strada a New York Andrea Bonomi, AD di InvestIndustrial: Il suo ufficio è in pieno centro, al 15esimo piano del Seagram Building, grattacielo simbolo della città, realizzato nel 1958 da Ludwing Mies van de Rohe, un classico, per tradizione sede di molte finanziarie e gruppi americani. Bonomi mi dice di essere spesso in città per seguire i rapporti con i suoi investitori. Gli americani, soprattutto fondi universitari delle Ivy Leagues e altri fondi pensione e fondi assicurativi istituzionali contano per circa il 40% dei 5 miliardi di euro impegnati in InvestIndustrial.
L’expertise europea della sua squadra ha consentito finora di canalizzare fondi esteri in investimenti italiani: «Cosa che crediamo di fare nell’interesse dell’Italia, visto che nove investimenti sui 13 che abbiamo aperti sono nel nostro paese». Complessivamente InvestIndustrial, attraverso le attività operative, dà lavoro a circa 18mila persone. Fra le controllate italiane, Valtur, Artsana, B&B Italia, fra quelle estere il fiore all’occhiello è l’Aston Martin.
Il suo passaggio a New York non è dunque casuale, starà qui per tutto luglio, è da qui che ieri e la settimana scorsa Bonomi ha coordinato l’ultima operazione di rilancio per la RCS. Ed era qui a maggio, quando finalizzò l’offerta coi suoi soci nella International Media Holding in alternativa a quella diUrbano Cairo.
Sempre al Seagram Building, al pianoterra, c’è il Four Season altro posto simbolo della città, questa volta disegnato da Philip Johnson, dove si tiene ogni giorno una delle più classiche liturgie degli affari newyorchesi, il “Power Lunch”. Di questo ristorante proprio in questi giorni ne parlano i media cittadini perché il proprietario del Seagram Building, Abe Rosen, ha sfrattato il ristorante lasciando orfani i finanzieri, capi azienda e celebrities in genere che amavano ritrovarsi a colazione. «Sic transit» mi dice Bonomi mentre chiaccheriamo della sua operazione in corso in Italia «il cambiamento fa parte della cultura americana, peccato, perché il posto era bello. E forse Abe ha ecceduto, ma non ci sono state resistenze: le cose cambiano, gli affitti salgono e alla fine prevalgono i conti, non gli interessi romantici o la politica».
Gli chiedo se questa battuta è un riferimento al suo attuale braccio di ferro a Milano con Urbano Cairo per la maggioranza di RCS: «In parte sì, le tradizioni, come quella del Fours Season, sono importanti, ma guardare indietro invece che avanti non aiuta nessuno. Io preferisco guardare in avanti, spero che in generale lo faccia anche l’Italia». Possibile gli dico, ma in questo caso è proprio il mercato che parla, non gli interessi della tradizione o della politica, siamo arrivati alle ultime offerte e quella di Urbano Cairo è di 3 centesimi più alta della sua, 1,03 euro per azione contro un euro. Se lo aspettava? «Ci aspettavamo un rilancio di Cairo» mi risponde Bonomi «del resto abbiamo rilanciato anche noi offrendo 1 euro per azione in contanti, un’offerta che riteniamo molto generosa in base ai parametri internazionali. La nostra offerta ha un valore finanziario più alto di quella di Cairo e una validità industriale molto più coerente con i bisogni di RCS. È uno sforzo importante che stiamo facendo insieme ai nostri soci Della Valle, Pirelli, Mediobanca e Unipol, azionisti che hanno costantemente supportato la società da molto tempo con l’investimento di significative risorse finanziarie. Detto questo sarà il mercato a decidere. Le dico solo una cosa, visto che siamo in America: le offerte per cassa sono privilegiate soprattutto in tempi di incertezza».
Gli ricordo che Cairo ha inserito un 25% di contanti nella sua offerta, cosa che prima non c’era…
Cairo offre il 25% in contanti ma il 75% è in carta. Da quanto ho capito, il contante sarà disponibile grazie a un finanziamento di 130 milioni di euro che aumenterà l’indebitamento di Cairo, cosa che in genere dovrebbe avere un riflesso negativo sul titolo. Dico, in genere, basandomi su prassi internazionali. Detto questo, il prezzo del titolo Cairo e’ a livelli che hanno già stupito International Media Holding forzandola a offrire il prezzo di oggi. Ma qui dovrebbe valere una considerazione di rischio e di valore intrinseco delle due offerte. Cairo cerca di utilizzare un messaggio classico di pubbliche relazioni: partecipate con me al rilancio, per giustificare che per la sua società quest’operazione sembra essenziale. Lo capisco, ma non credo basterà a convincere gli azionisti diRCS. Noi crediamo di essere la migliore alternativa per il mercato: non abbiamo mai escogitato complesse operazioni di ingegneria finanziaria, abbiamo sempre offerto contanti perchè così è prassi nel mercato. Se vuoi il controllo di un azienda devi dare la possibilità ai soci di monetizzare il loro investimento a un prezzo sicuro. Se qualcuno decide di tenere una parte delle azioni RCS e partecipare al nostro lavoro di ristrutturazione e rilancio, puo’ farlo anche con la nostra offerta ed è il benvenuto.
Ma arrivare al 66,7% non è automatico ed è possibile che ci sia uno split con alcune azioni destinate all’operazione Cairo.
Come sa International Media Holding ha gia il 22,6% del capitale e secondo i nostri calcoli la maggioranza degli investitori guardera’ alla sostanza e non alle pubblicita’ sulle televisioni e abbiamo fiducia che a questi prezzi otterremo le azioni di RCS di cui abbiamo bisogno e forse di piu’, vista la solidita’ della nostra offerta.
Lei vuol dire che l’offerta di Cairo non è solida?
Questo lo dice lei. Oggettivamente parliamo di due offerte molto diverse, Cairo offre il 75% in carta che ancora non sconta il peso di un indebitamento potenziale addizionale di 130 milioni di euro. Personalmente sono contro a un modello industriale che si fonda sul debito per mantenere in controllo. RCS ne è un esempio. Non so chi si sia inventato che nessuno di forte deve controllare RCS con la scusa dell’ indipendenza editoriale, ma chiaramente non ha funzionato. Bisogna dire le cose come sono, e posso farlo avendo visto il consiglio in prima persona: il consiglio non funzionava non perchè non era fatto di persone capaci, ma perchè qualcuno voleva che fosse un condominio in cui non fossero prese decisioni. Il problema era il condominio non le persone.
Una parte di quel condominio però resta con lei nella newco perché dovrebbe cambiare il modo di pensare?
Perché nella struttura societaria si è garantito un ruolo di forte maggioranza relativa a InvestIndustrial, si è capito che si deve voltare pagina con una governance coesa e forte e io ne sono il garante. Un Cairo in minoranza, indebolito dai debiti non è la soluzione per RCS e devo dirle, nemmeno per Cairo per quanto bravo possa essere. RCS, come il paese, ha bisogno di investimenti e governance anglosassoni. Mi rendo perfettamente conto che molti remano contro questi cambiamenti, ma sono necessari così come sono necessari investimenti per crescere e non ulteriori debiti. Noi come diciamo nel prospetto abbiamo un piano di investimenti per rilanciare e rafforzare il gruppo. I nostri soci e noi guidiamo con successo gruppi che in aggregato hanno 30 miliardi di euro di fatturato e danno lavoro a circa 80.000 persone ed oggi stiamo offrendo la migliore valorizzazione per gli azionisti e stabilità perRCS.
Che fiducia dovrebbe avere un investitore in lei, un investitore puro, non un editore con in più la necessità di uscire dall’investimento dopo quattro o cinque anni. Cairo è un editore che sembra avere le idee chiare anche in materia di televisione…
Sono anche due offerte con piani industriali molto diversi. RCS ha prima di tutto bisogno di un azionista stabile e forte che dia alle capacità gia presenti in azienda la possibilità di rilanciarla. RCS è stata per anni senza un azionista forte e senza risorse per crescere, ma la forza delle sue testate e delle sue persone è indubbia e hanno voglia e fame di rivincita. Il mondo dell’editoria sta attraversando una fase molto delicata, RCS deve concentrare tutti gli sforzi sulle piattaforme che già ha e non complicarsi la vita con altre avventure. I nostri soci e noi analizziamo piani industriali tutti i giorni e per RCS comperare per 340 milioni di euro un canale free to air sotto investito con una market share di pressappoco il 3% non ha senso industriale, non solo non vi sono sinergie ma vi sono dissinergie. Se il consiglio vuole investire 340 milioni ci sono assets digitali e nello sport molto più sinergici e interessanti. RCS ha bisogno di investimenti sui suoi marchi e di essere focalizzata su di loro e soprattutto sullo sport. Il tanto paventato risparmio sui costi è dovuto e necessario ma non può e non deve essere la base principale di un piano industriale, almeno noi, non abbiamo mai investito su una azienda basandoci sul taglio dei costi come principale elemento. RCS merita di essere un grande gruppo europeo con una visione moderna e internazionale non solo italiana. Abbiamo sia la visione e la prospettiva internazionale che le risorse per farlo.
Cosa vuole dire, assumera’ un incarico operativo nel gruppo?
Assolutamente no. E’ arrivato il momento anche per l’Italia e per la RCS di avere degli editori puri. Il management avrà piena autonomia e cosi’ pure la direzione giornalistica. Il nostro e’ un approccio internazionale che punta al rilancio della Spagna e dell’Italia, due mercati che conosciamo a fondo e alla crescita nel settore sportivo magari anche attraverso acquisizioni. Poi parlera’ il mercato, se fra 7 o 10 anni –perché questo è il nostro orizzonte non di quattro anni – il piano industriale avrà avuto successo non vedo cosa ci sarà di male nel vendere una parte del nostro investimento. E poi mi lasci dire, al di là’ dei ritorni finanziari, essendo cresciuto in una famiglia milanese sento molto la missione di dare al Corriere della Sera e alla RCS il ruolo che gli spetta in Europa.
Ma lei non vive a Milano ed è anche molto qui in America.
Verissimo, siamo un fondo internazionale. La visione internazionale è centrale in tutti i nostri investimenti. Sono a New York perchè lavoro da qui tutto luglio e vengo regolarmente perchè il team che si occupa di aiutare le aziende al loro sviluppo digitale è basato qui. Se per lei questo e’ un fattore negativo vediamo il mondo in modo diverso.
Anche Cairo punta alla Spagna…
Vero. Ma noi abbiamo radici in Spagna. Siamo a tutti gli effetti un gruppo europeo con una profonda conoscenza del mercato spagnolo dove controlliamo e operiamo tre azinde importanti, RCS in Spagna è piu grande di tutta Cairo ed è in un momento delicato. Il nostro apporto a RCS non sarà solo finanziario, e’ in know how, ma ci affidiamo ai professionisti non alla politica o al protagonismo di un singolo. Non e’ un modello che ci interessa. Ho imparato che l’autonomia del management si traduce in motivazione e responsabilizzazione. In questo caso, lo ripeto, aggiungo, quella del corpo giornalistico.
Si dice che per voi è importante chiudere l’operazione RCS perché subito dopo cercherete di assorbire il Sole 24 Ore…
Su questo le dico tre cose: la prima è che avremo mille problemi da affrontare e risolvere quando avremo il controllo della RCS. La seconda, nei confronti del Sole possiamo solo essere elemento passivo non attivo, visto che è il suo giornale saprà bene che per regola statutaria non possono esserci partecipazioni superiori a una certa percentuale che mi pare sia il 2%. È Confindustria ad avere il pallino in mano su decisioni di questo genere non noi e tantomeno il mercato. Insomma tutto questo per dirle che non perseguiremo un’offerta per il semplice motivo che non possiamo farla. Per il resto come le dicevo prima ovviamente ci guarderemo intorno.
Lei continua a dire che la vostra offerta di un euro è meglio di quella di Cairo, pensa davvero di farcela?
Secondo le logica non ci sono dubbi, basta analizzare le due offerte. Ma la partita la deciderà il mercato e lei sa quanto quanto il mercato italiano abbia elementi e componenti imprevedibili.
fonte Il sole 24 ore
riportato da lamescolanza.com