Per Gentile Concessione del Perseo News.it Le vicende di fine agosto hanno acuito lo iato nella società, nella politica e nella comunicazione media
Per Gentile Concessione del Perseo News.it
Le vicende di fine agosto hanno acuito lo iato nella società, nella politica e nella comunicazione mediatica di massa tra chi sia aduso a perbenistiche posizioni istituzionali e gli adepti di una cultura sociopolitica avversa e aggressiva.
Quest’ultima forma di cultura è in realtà in voga già da diversi anni, seppur con forme distinte. I movimentisti pentastellati ne sono stati, nell’ultimo ormai quasi ventennio, moderni (oggi non più) propugnatori. Non del tutto ammantati di originalità, i “grillini” hanno rinnovato consuetudini forti del modo di fare politica non dissimili da taluni precedenti di matrice leghista (basti ricordare il simulacro di carro armato in Piazza San Marco a Venezia o il “celodurismo” di bossiana memoria), espressioni perciò dirompenti di un anti-sistema endemico e funzionale al perseguimento di consensi sociali e politici di rottura.
La prima categoria annovera (lì vi colloco me stesso) quanti siano animati da un timore in certa qual misura reverenziale nei confronti dell’ordine costituito. Alla base vi si trovano caratteri miti, talora un po’ insicuri, con una visione filosofica della vita intrisa di senso di vacuità, di non permanenza e di brevità. Il dialogo è la forma comunicativa prediletta dai “timorati”, salvo poi, gli stessi, rendersi protagonisti di astrazioni isolazioniste e di veri moti di frustrazione che si manifestano con una qual sorpresa quando lo scambio verbale con gli antagonisti divenga eccessivo ed esagitato. Costoro sono gli aventiniani della dialettica verbale e para verbale, tendono all’auto-ostracismo, al distacco. Come detto, essi potrebbero dare luogo ad azioni inconsulte, a veri suicidi metaforici, tanto sorprendenti per imprevedibilità quanto ingiustificati dal quadro caratteriale della loro mitezza, espressione di un coraggio paradossale la cui manifestazione possa divenire liberatoria, non solo dalla percepita sopraffazione, ma anche dalla loro stessa incapacità di gestire la pressione subita.
Dall’altra parte vi sono i “celoduristi” avvezzi a una comunicazione assertiva, determinata, decisa. Essi non indugiano, ostentano sicurezza, hanno sempre la pistola fumante, usano proiettili dirompenti, penetrano in profondità con una sicurezza invidiata (neppure troppo) dai “timorati”. Non sempre vincono, spesso sono contraddetti dalle leggi che essi vorrebbero piegare alla volontà muscolare dei loro pensieri. In ultimo accade loro che siano costretti ad arretrare, subendo i condizionamenti che premeditatamente fanno sì che tutto scorra, che tutto muti, che tutto evolva e finisca. Talora, i nerboruti armati vanno in contrasto tra loro, ed allora succede che in un parapiglia autodistruttivo si annullino vicendevolmente, poiché qualsiasi logica di forza è destinata prima o poi a trovare una forza ad essa prevalente (perché “quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile quello con la pistola è un uomo morto”).
Mentre la prima categoria preferisce le tesi di sistema, i secondi amano le antitesi alla forma costituita, anzi, proprio dall’antagonismo acceso essi irradiano il loro appeal seducente. Più la contrapposizione è acuta, più essi ne traggono beneficio, generando proselitismo.
Quanto accaduto negli ultimi giorni rinverdisce la spaccatura tra le due macro-categorie. Tra gli antipodi si colloca una gamma di innumerevoli sfumature, ciascuna definibile secondo diverse disamine del pensiero e del comportamento. Non volendo, tuttavia, entrare in dettagli che solo studiosi della mente umana potrebbero sviscerare, la domanda che ora mi sovviene è perché tutto ciò accada.
Leggo stamani l’editoriale di Antonio Polito sul Corriere e lì vi trovo in parte la risposta. Egli dice che stiamo vivendo una nuova forma di polarizzazione tra due visioni: una elitaria liberale e progressista e una non-elitaria conservatrice e tradizionalista. Alla base dello iato sociopolitico vi sarebbero “furia e rabbia”, stati d’animo così pressanti da costringere il centro-destra a varare provvedimenti statalisti acclamati dalla sinistra (tassazione extra profitti bancari), il tutto in un contesto politico nazionale a sovranità limitata per via di una finanza europea, se non mondiale, che imbriglia le decisioni più importanti del governo in materia di economia. Ecco allora, dice Polito, che vi è bisogno del “ruggito del leone”.
L’urlo animale adesso echeggia nella savana della politica sociale ed economica infestata da iene e da sciacalli. Quanto più il leone è altolocato, presuntivamente nobile e coraggioso, tanto più la eco prodotta dal suo ruggito riverbera e persiste, piace, persuade, adula.
L’autorevole editorialista conclude paventando la possibilità, tutt’altro che auspicata, che la rottura intestina alla destra possa impedire “alla destra italiana di trasformarsi da forza antagonista e anti-sistema in moderna destra conservatrice e di governo”. Da “timorato” istituzionale, esprimo anche io l’auspicio che ciò non accada.
Non da ultimo, stante lo sguardo della testata online Perseo News costantemente rivolto alle tematiche della Difesa, ritengo che la stessa istituzione militare sia al momento divisa tra le due visioni socioculturali qui presentate, non quelle politiche in quanto non legittime, come manifestazione, per il personale in servizio.
Sono altrettanto certo, tuttavia, che l’equilibrio dei più, promotori della cultura di chi sia stato educato all’abnegazione, edulcorerà con successo gli effetti acustici e destabilizzanti dell’inatteso e rumoroso ruggito del leone di fine estate.
a cura di Antonio Bettelli