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LA NATO E LA CRISI EUROPEA

LA NATO E LA CRISI EUROPEA

  Per gentile concessione del Nuovogiornalenazionale.it  Anche riguardo la crisi ucraina, si vive oggi in Europa la paradossale situazione

Kazakistan: continua la crisi
Intelligonzia italiana
DEMOCRAZIA, LINGUAGGIO, CRISI.

 

Per gentile concessione del Nuovogiornalenazionale.it 

Anche riguardo la crisi ucraina, si vive oggi in Europa la paradossale situazione per cui la NATO, poderosa organizzazione difensiva formata da 30 nazioni in gran parte europee, appare, nell’esercizio dei propri percorsi decisionali, influenzata e per certi aspetti oppressa dai forti interessi nazionali di alcuni dei suoi Stati membri.

Tra questi vi sono in particolare gli interessi di Washington, tesi a mantenere e a difendere ad oltranza il ruolo di egemone globale del ventunesimo secolo ottenuto con gli esiti vittoriosi dei tre grandi conflitti globali del novecento, e quelli, collocati all’estremo opposto dell’asse ovest-est dell’Alleanza, dei nuovi membri della NATO, gli Stati baltici e la Polonia soprattutto, preoccupati, per importante retaggio storico e culturale, dell’influenza russa sui rispettivi territori e dei condizionamenti che Mosca ancora oggi potrebbe avere nei loro riguardi.

A questi interessi, ben si aggiungono quelli di altre Nazioni del continente geografico europeo. Queste ultime, anch’esse parte dell’organizzazione transatlantica, trovano nelle valutazioni e nei processi decisionali strategici della NATO ampia tutela dei rispettive interventi nazionali nello spazio d’Europa. Ecco allora che nella partita geopolitica ed economica in atto, fortemente condizionata dall’Alleanza, vi è ampio margine per coltivare le posizioni d’interesse particolare di alcuni.

Vi è sicuramente la partecipazione olandese per tutelare, anche in ragione di un regime fiscale agevolato, il ruolo di grande mercante continentale e la funzione di gestore di alcuni dei più importanti accessi commerciali al continente, punti terminali prescelti da gran parte delle rotte transatlantiche.

Vi è quella di Londra che, ancor più dopo la BREXIT, vorrebbe continuare a potenziare il proprio ruolo di guardiano della porta dei mari del nord, quello di protettore delle “sea-lines of communication” euro atlantiche, ma anche quelli di partner principale degli Stati Uniti sulla sponda orientale dell’oceano e di garante della continuità marittima verso gli sbocchi commerciali del Mar Baltico.

Non manca la Norvegia, ben affiancata per prossimità geografica e per affinità culturale dagli altri scandinavi, che nel protettorato della NATO trova la garanzia del proprio dominio sullo sfruttamento energetico e ittico dei mari subartici, nei cui riguardi solo la Russia potrebbe costituire elemento di incomodo.

Poi c’è la Turchia che nella sua prossimità geografica con il continente europeo, ma anche con l’ambito caucasico e con quello mediorientale, esercita il primato anatolico di porta d’oriente e di crocevia tra le diverse culture dell’emisfero euroasiatico. In questo ruolo, ben suffragato dalla perseverata bivalenza sui fronti russo e statunitense, Ankara, ammiccando sia verso Mosca sia verso Washington, continua a sfruttare il momento a lei favorevole per accrescere il suo potentato regionale tra Mediterraneo e Mar Nero, tra Caucaso e Balcani, tra Europa e Medioriente, e il suo ruolo di guardiano, anche per conto dell’Alleanza, del cancello marittimo di sud-est e di buona parte delle rotte terresti di migrazione dall’Asia.

Ecco allora che la NATO, anziché essere protettrice di quei valori di eguaglianza e di pari dignità tra i suoi membri, con scopi di natura difensiva, rischia di diventare una vera e propria holding di interessi geopolitici ed economici, il cui accesso appare sempre più circoscritto a una sola parte dei suoi membri.

In questa partita, altre importanti nazioni europee, Nazioni che dell’Europea hanno scritto la storia, come Francia, Germania e Italia, stentano a trovare un proprio ruolo, anche a dispetto della loro rilevanza culturale, politica ed economica, risultando incapaci di influenzare le decisioni politico militari dell’Alleanza, aspetto oggi cruciale nel moderare le spinte più rigorose, anche sul piano di un possibile intervento, esercitate da alcuni alleati e dalle rispettive Capitali.

Quali possibilità dunque, quali alternative alla spiralizzazione della crisi europea cui stiamo assistendo? Non molte in realtà, non molte se non si rimuovono, con i rischi a ciò sono connessi, alcuni strumentali pregiudizi circa il ruolo dell’est europeo e di accondiscendenza radicata nei riguardi dell’alleato egemone e dei suoi partner privilegiati in seno all’Alleanza Transatlantica.

È una sfida che solo i grandi Paesi europei esclusi dalla partita d’interessi in atto nel nostro continente possono lanciare. Francia, Germania e Italia dovrebbero perciò costituire un polo di confronto alternativo nel dialogo non solo sulla crisi ucraina ma più in generale sul futuro dell’Europa.

Una linea d’azione condivisa tra Parigi, Berlino e Roma tesa in primo luogo a comprendere quale sia l’intento russo e a ricercare un avvicinamento che risulti rassicurante, in grado quindi di abbassare i toni e non, invece, di provocare ulteriori allarmi.

È evidente che l’interesse sotteso alla crisi ucraina sia soprattutto di natura energetica e di gestione dei flussi di rifornimento provenienti dalla Russia. L’apertura del North Stream II isolerebbe di fatto l’Ucraina includendola forse irreversibilmente nella sfera d’influenza russa. La crisi in atto è funzionale ad assicurare che al momento questo scenario non accada. Al tempo stesso, però, la posizione di stallo inchioda l’economia europea, a danno soprattutto degli Stati più dipendenti dal gas russo, e gli effetti iniziano a manifestarsi.

Occorre allora che l’Europa torni a essere se stessa cercando di trovare una via di inclusione e non di divergenza dagli interessi europei, muovendo dunque in un’ottica di esclusivo interesse europeo, anche aprendo solidi scambi di partenariato economico e commerciale con la Russia, in grado però, al tempo stesso, di  rassicurare gli stati minori della geografia Europa: i Baltici e l’Ucraina in primis.

Potrebbe essere tardi e se così fosse ciò significherebbe per l’Europa accettare una posizione di subordine agli effetti di una nuova Guerra Fredda per i prossimi cinquant’anni.

Il ciclo drammatico delle grandi guerre del Novecento ha chiuso una parte di storia dell’Europa, quella degli imperi assoluti, e ha risolto attraverso l’accordo economico sul carbone e sull’acciaio secoli di conflitti in Europa, specie tra Francia e Germania, gettando le basi per l’Unione europea.

La fine della Guerra Fredda avrebbe dovuto aprire scenari di accordo in seno alla nuova Europa, nata appunto dalla CECA. Accordi allargati, secondo una rinnovata idea di alleanza, alla Russia non asiatica che è, essa stessa, Europa. Se ciò fosse accaduto – l’Italia se ne era fatta promotrice negli anni Novanta – una forma nuova d’indipendenza europea sarebbe forse nata, un’indipendenza in grado di risolvere, se mai fosse stato necessario, crisi simili a quella attuale.

Il pregiudizio da rimuovere è proprio questo, cioè quello che l’Europa sia solo Occidente. Non è e non potrà mai essere così, anche se gli accadimenti di oggi ci inducono a pensare il contrario. Mosca è Europa, Kiev è Europa, la crisi Ucraina è una crisi europea e solo all’Europa spetta il compito di risolverla.

A cura di l’ Alfabeta 

Fonte: https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/estero/politica-internazionale/5196-la-nato-e-la-crisi-europea.html

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