HomeLa Riflessione

LA CULLA DELLA CIVILTA’

LA CULLA DELLA CIVILTA’

  Per gentile concessione del Nuovogiornalenazionale.it Leggere un libro di Mario Liverani è un balsamo per le ferite del nostro tempo intr

La Navata della Sapienza di Vito Sibilio
Iran e Usa stanno segretamente trattando un accordo?
Il Secolo infinito

 

Per gentile concessione del Nuovogiornalenazionale.it

Leggere un libro di Mario Liverani è un balsamo per le ferite del nostro tempo intriso di leggende e falsi miti. L’ultimo libro, in ordine di tempo, reca il titolo “Oriente Occidente” e svela il falso mito di due aree, geopolitiche, avvinte da una “lotta perenne tra il dispotismo orientale e la libertà dell’Occidente”. E in definitiva, tra un Occidente europeo e un Oriente asiatico.

Lungi da me sfatare il destino di un mito, quale che sia. Ogni mito ha infatti una sua verità essenziale che soggiace al velo delle sembianze di Iside. E quindi anche il mito, che Liverani discute in questa sua opera, è – secondo il mio in parte diverso e modestissimo parere – frutto di un’essenza, per così dire, “naturale” – il cui significato spero sia chiarito meglio di seguito – a cui si accompagna quello che lo stesso Liverani definisce, riguardo alla sequenza temporale delle diverse epoche storiche, “un unico ed essenziale punto: l’accumulazione e utilizzazione sociale dell’eccedenza”. E, come egli stesso aggiunge, un “punto centrale della spiegazione childiana (ndr.: Gordon Childe, Urban Revolution, 1950), di chiara matrice marxiana, (…) tuttora valido, o almeno (…) suscettibile di adeguata rivisitazione”.

E dunque, il punto di vista di chi riconosce il pre-supposto di una “struttura” pre-esistente riconducibile a un’attività umana e quindi, in principio, a una tecnica di formazione e sviluppo. E, riguardo alla fattispecie storica interessata e attraversata nel saggio, l’epoca del passaggio dall’età del Bronzo all’età del Ferro. Non senza evidenziare, però, che tale passaggio e la conseguente nuova architettura degli stati e dei villaggi sia stata il frutto non solo di invasioni, dei cosiddetti Popoli del Mare, ma innanzitutto delle mutate condizioni naturali – che genericamente potremmo dire “ambientali” – così come descritte ed evidenziate nel saggio di Eric H. Cline dal titolo “1177 a.C. Il collasso della civiltà”.

Semplificando banalmente, potremmo dire immediatamente che l’idea di “civiltà” precede dunque storicamente la distinzione – che Liverani dimostra come nata “strutturalmente” nella prima età del Ferro (dal XII secolo e.a. in avanti) – tra il falso mito dell’Occidente Vicino-orientale (Indo-europeo) e il falso mito dell’Oriente (Asiatico). Distinzione che viene fatta propria e alimentata da una visione ideale e, attraverso i millenni, rielaborata nell’Ottocento in base al racconto della Bibbia e alle nascenti tesi di Charles Darwin.

Principale artefice di questa visione ideale è l’Ernest Renan dell’Histoire générale et système comparé des langues sémitiques – edizione prima del 1855, rivista nel 1858 e infine nel 1863 alla luce per l’appunto delle coeve scoperte darwiniane. E tuttavia, studi più recenti mettono in dubbio gli stessi esiti dell’opera del filosofo, filologo, storico delle religioni e scrittore francese: “Nato da una trasfigurazione in chiave ideale e scientifica del principio religioso, il percorso filosofico di Renan giunge intorno al 1880 a prendere atto della caduta delle certezze trascendenti. Accanto ad un ineliminabile e sempre più forte scetticismo (pendant necessario «del teismo possibilista», del Dio possibile «all’infinito»), l’unica apertura sul futuro rimane l’escatologia immanente rappresentata da Israele, dentro la quale si riassume la storia” (D. Paone, Storia, religione e scienza negli ultimi scritti di Ernest Renan, 2009).

E comunque, nella suddetta opera di Renan la Tavola dei popoli è diramata e creduta in base al racconto biblico della genealogia dei figli di Noè: da Sem, i semiti; da Iafet, gli indoeuropei e i greci di Giapeto; da Cam, i camiti. E da Cam, in particolare, anche due rami: i cusciti d’Africa e i camiti d’Asia. A tale proposito, scrive Liverani: “I Cusciti d’Africa sono la civiltà egiziana, i Camiti d’Asia sono la civiltà assiro-babilonese. Resto attuale di questa seconda ondata è costituito dalla civiltà cinese – e si noti che i Cinesi erano ‘letti’ nella Tavola dei popoli sotto il termine has-Sini (uno dei figli di Canaan), in realtà relativo ad una piccola città della Siria settentrionale costiera (Siyannu)”. Senz’altro, un’evidente e colpevole lacuna, della conoscenza e della storia non solo di allora.

Oltre alla struttura grandemente “civile” dei regni esistenti nell’età del Bronzo, Liverani non dice – come lui stesso premette – anche della storia della civiltà cinese; alla quale intendo qui fare in avanti piuttosto un brevissimo richiamo, attraverso lo studio e l’analisi condotti da Marcel Granet, e in particolare dalla sua splendida opera dall’edizione italiana titolata “Danze e leggende dell’antica Cina” (Adelphi, 2019).

La lettura della civiltà antica, a dispetto del falso mito moderno, conduce alla cosiddetta “civiltà” così come emerge storicamente, e dapprima, in ordine a due linee direttive: la via antico-orientale e la via cinese.

Del primo caso si occupa Liverani nel suo libro, come detto a seguito dei fatti ambientali e delle invasioni dei Popoli del Mare occorsi nella zona del Levante (cfr. origine del nome e dell’area territoriale nel testo) all’inizio del XII secolo e.a., allorquando muta il quadro delle organizzazioni politiche sui territori. L’età del tardo Bronzo si conclude con la creazione e la persistenza sui territori di strutture politiche – ripeto: civili – agglomerantesi in “stati-regionali”, “città-stato” e “villaggi”. Particolarmente significativa e meritevole di attenzione è l’esperienza che si svolge nell’Egitto dei faraoni – in un arco temporale di circa due secoli, dal 1750 al 1550 e.a. – come sia stato di fatto governato da tre generazioni di stranieri, gli Hyksos, indicati come “Asiatici”; nome che era solito contraddistinguere gli abitanti del Mediterraneo orientale, Canaan e Siria. A sud e a ovest dell’Impero Assiro (cfr. M. Liverani, Assiria. La preistoria dell’imperialismo, 2017). Lo storico Manetone sosterrà nel III secolo e.a. che trattavasi di barbari invasori, ma oggi si reputa invece che si sia trattato di un gruppo di “stranieri” che riuscì a inserirsi in una società in crisi contribuendo, almeno in parte, a risollevarne temporaneamente le sorti.

All’indomani delle invasioni dei Popoli del Mare – a eccezione dei territori dei “grandi regni” o “stati regionali” a vocazione imperiale (Assiria, Babilonia, Elam ed Egitto), fatti per questo salvi -, nel Levante (a parte le città-stato e i villaggi che resistono alle invasioni) – sorgono nuove entità politico-amministrative basate sull’etnia o, dice Liverani, “sul concetto di ‘nazione’ (…) La documentazione più nota (ma anche più controversa, stante la complessità della trasmissione testuale) è quella relativa ai gruppi israelitici e al loro passaggio da confederazione (piuttosto sciolta) di tribù pastorali a regno, con la fase intermedia di capi occasionali (i cosiddetti ‘Giudici’) (…) Con l’età del Ferro, dunque, il vecchio ‘stato territoriale’ (nelle due varianti della città-stato e dello stato regionale) viene affiancato dal nuovo ‘stato etnico’, con un ampliamento tipologico che corrisponde ad un ampliamento dell’area statalizzata”.

Se purtuttavia stranieri o estranei all’etnia propria, sarà certo la testimonianza di Sargon II a offrirci, tra le tante, cosa significhi per converso essere “Tutti Assiri”, come riporta Liverani nel precitato saggio sull’imperialismo assiro. A commento di diverse formulazioni abbreviate, l’autore scrive: “La nostra sensibilità ritiene di avvertire una qualche contraddizione, di tono se non di sostanza, tra le formulazioni paternalistiche di ‘buon pastore’ e le velate minacce verso chi non si comporti come timorato di dio e del re. Ma non credo si tratti di una variazione intenzionale: anche le pecore del buon pastore hanno cani da guardia per difenderle ma anche per irreggimentarle, e di certo non possono neppur pensare di prendere un’altra strada. ‘Tutti Assiri’ non significa certo tutti liberi, significa tutti al lavoro, nativi e deportati dell’ultima ora, tutti al loro posto nella rigida gerarchizzazione imperiale”.

Ed è questo un elemento – e cioè in definitiva quello del controllo e delle diverse modalità di esercizio dei governanti sulle popolazioni – che forse più di ogni altro alimenta l’odierno mito dei governi cosiddetti “democratici” dell’Occidente e viceversa cosiddetti “autocratici” dell’Oriente.

Ma, anche questo mito legato a una visione ideale dell’Oriente necessita di un esame reale più approfondito, risalente perfino a un tempo storico che nella Cina antica coincide o si distanzia molto meno dall’inizio dell’età del Bronzo che rappresenta il focus dei saggi citati di Liverani. A tale proposito, Marcel Granet scrive che: “Nella storia antica della Cina, la tradizione distingue tre grandi epoche: il periodo dei Cinque Sovrani (ricostruito artificialmente), quello delle Tre Dinastie Reali (leggendario e quasi interamente ricostruito), quello degli Egemoni (conosciuto grazie a documenti se non del tutto sicuri, almeno abbastanza vividi”.

L’origine della tradizione, quella che potremmo definire la linea del continuum, muove secondo una logica rappresentativa unitaria e uniforme, che irradia dal “Luogo Santo”: “I Luoghi Santi (…) sono i regolatori dell’Ordine Naturale e dell’Ordine Umano”. Ecco, dunque, emergere innanzitutto la variante naturale che precede e prescinde dalla tecnica e storia umana, che appartiene di solito ai vincitori. E allora: “I Luoghi Santi sembrano essere il principio esteriorizzato di ogni governo. Valgono quello che esso vale. Durano il tempo che esso dura. Muoiono nello stesso modo. Il Capo o il suo Grande Antenato traggono da essi il nome di famiglia o il loro nome personale”.

Ma: accade esattamente che accanto al Dio del Suolo emerga anche il Dio del Suolo di Po. E quindi: “Il Dio del Suolo di Po è, come afferma la tradizione, il Dio del Suolo regale degli Yin (…) Così che: “Tutto il gruppo, uomini e dei, partecipa alle stesse comunioni. Ma, secondo la natura dell’offerta, le forme della consacrazione variano. Dopo le grandi battute di caccia destinate a procurare la selvaggina agli Antenati, essa è presentata al dio del Suolo. Dopo una guerra vittoriosa, i trofei vengono donati sia agli Antenati, sia al Dio del Suolo, poiché sono divinità consanguinee. Ma quando la consacrazione è cruenta, l’offerta è di preferenza rivolta agli dei più spietati e non a quelli che appaiono benevoli” (…) “Ma prendere per consegnare agli Dei significa ottenere ben più di un valore materiale: significa sacrificare e possedere un valore sublimato. Il possesso sarà completo solo se comprende il diritto di distruggere. Il dono, al contrario, è totale solo se si presenta come un’offerta destinata al sacrificio. La supplica assume la forma di una parata di lutto; la resa viene fatta con l’aiuto di riti che preparano un’immolazione della vittima. Il supplicante si avvicina munito della sua bara, le mani legate, il torso nudo, ma accompagnato da una vittima che suggerisce una sostituzione. Il vincitore deve scegliere: sta a lui di riconoscere ciò che la sua missione richiede. Può rifiutare la pompa trionfale e accontentarsi di un conteggio. Può trionfare con moderazione, sacrificare l’ariete, bruciare la bara e limitarsi a presentare i prigionieri ai suoi Dei o al suo sovrano. Può, in un supremo affidamento al proprio genio, consacrare inesorabilmente alla sua gloria l’intero bottino e, per possederlo meglio, distruggere e sacrificare le più nobili spoglie. Lo sconfitto si è già votato alla morte. Passibile di morte civile, prigionia, degradazione, deve correre il rischio dell’immolazione sacrificale. Dire chi ne beneficerà, il sacrificato o il sacrificante, spetta al Cielo”.

Oriente e Occidente? No, una e una sola Comunità di destino, come ha scritto bene anche Paola Bergamo, ieri, sulle colonne di questo stesso giornale. Da est a ovest e da nord a sud, le acque cosmiche vediche e oceaniche greche, l’energia dei campi quantistici circondano illimitatamente, alla maniera di Anassimandro, il campo in cui il vasaio opera mediante l’azione del suo spirito, del suo ardore, meglio del suo “impulso” di cui dice Plutarco. Alla dipartita del Nazareno, egli lascia all’uomo la “consolazione” del suo spirito che, come nell’inizio biblico, aleggi sulle acque e quindi negli uomini. Ma, gli Ariani, in tempi più recenti, hanno sostenuto che lo spirito proceda solo dal Padre e non anche dal Figlio… Così che sappiamo come sia tragicamente tramontata l’esperienza storica della prima metà del secolo scorso. L'”impulso” pervade l’anima mundi, l’anima di un mondo che conta quotidianamente otto miliardi di individui. Una “comunità di destino” immensa, tanto che necessariamente si fa fatica a individuarne l’anima o un’anima condivisa…

E allora, se spegnessimo tutti i rumors che ci circondano e ci assillano e, silenziosamente, come il dio Arpocrate, ci mettessimo in ascolto? Forse che sentiremmo ancora l’eco hegeliano dello spirito del mondo che avanza e potremmo, forse, ancora, evitare l’Apocalisse definitiva o un nuovo Ragnarok… Il continuum è l’autentica fede dell’uomo (cfr. G. de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto), ma sempre di fede si tratta. E allora, sarebbe forse utile rammentarci che, alla maniera di Parmenide, “l’essere: è” (qualunque cosa accada)…

A cura di Angelo Giubileo

Fonte: Nuovo Giornale Nazionale – LA CULLA DELLA CIVILTA’

Commenti