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Nord Corea. Sette domande e sette risposte per capire la crisi a Pyongyang

Nord Corea. Sette domande e sette risposte per capire la crisi a Pyongyang

I raid preventivi, gli esperimenti nucleari e lo scontro tra gli Usa e Pyongyang. E la Cina non sta a guardare. L’attacco preventivo alle infra

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I raid preventivi, gli esperimenti nucleari e lo scontro tra gli Usa e Pyongyang. E la Cina non sta a guardare.

La parata militare nel cuore di Pyongyang in Nord Corea

L’attacco preventivo alle infrastrutture nucleari nordcoreane, che cosa potrebbe scatenare?

Esiste un’opzione militare credibile contro l’infrastruttura nucleare nordcoreana? I siti nordcoreani sono disseminati in molti angoli del paese, ben oltre il triangolo atomico Pyongyang-Yongbyon-Kumchangni. Alcuni sono hub di produzione veri e propri, altri centri di ricerca militare. Quelli noti all’intelligence sono circa 13, per lo più sotterranei e protetti da bunker. Altri ancora sono segreti. Un raid di una decina di jet furtivi (F-22 ed F-35B) insieme ai bombardieri pesanti assesterebbe un colpo fatale al network della morte, senza contare gli strike dei missili Tomahawk. Tatticamente, l’operazione è fattibile, strategicamente pericolosissima. Sarebbe solo una provocazione, perché nello scenario nordcoreano non c’è blitz limitato che tenga.

La chimera di un attacco dimostrativo: esistono rischi di una guerra su vasta scala?

Pyongyang risponderebbe a qualsiasi attacco armato. Sarebbe guerra aperta, con lanci di missili e interdizione aero-navale. I nordcoreani non hanno jet competitivi, ma capacità antiaeree, batterie costiere e migliaia di mine. Con un attacco aeroterrestre, Washington e Seul potrebbero annichilire solo parte delle migliaia di missili nordcoreani. Il nord ne ha pronti al lancio 500-700, a corto e medio raggio. Un numero dirompente, sufficiente a spararne ogni ora fra 54 e 72, almeno nelle primissime fasi di guerra. Le difese Abm sudcoreane, giapponesi e americane potrebbero saturarsi. Tanto più che il Thaad non è ancora operativo. Si aprirebbe un dramma, soprattutto per i civili, esposti a più insidie.

Quali sono le capacità di rappresaglia del Nord

Oltre alle capacità nucleari e balistiche, la credibilità delle forze armate del nord ruota intorno agli arsenali chimici e biologici. Pyongyang ha diverse gamme di agenti, compresi gli aggressivi neurotossici come il sarin e il Vx, sviluppati e prodotti in grandi volumi. Agenti caricabili anche sulle testate dei razzi d’artiglieria, per lo più mobili. Siccome la zona smilitarizzata corre per 250 km, i nordcoreani potrebbero teoricamente blindarla con un obice ogni 31 metri e un lanciarazzi da 240 mm ogni 100 metri, nascosti nei bunker sulle colline circostanti. Seul, con i suoi 10 milioni di abitanti, potrebbe essere bersagliata da 5mila colpi già nel primo minuto di fuoco e patire migliaia di vittime.

L’escalation nucleare si può fermare?

È verosimile una guerra nucleare nel 2017? David Albright, esperto fra i migliori del dossier nordcoreano, ritiene che Pyongyang abbia dalle 12 alle 20 testate, simili per potenza alla Little Boy, la bomba di Hiroshima. Molti prevedono che l’arsenale del nord aumenterà nel prossimo quinquennio, attestandosi sulle 50-100 testate, abbinabili anche ai missili intercontinentali, in fase avanzata di sviluppo. Ne convengono gli stessi cinesi, non entusiasti del vicino problematico. Un rapporto ufficiale di Pechino, datato 2016, valuta a 40 le testate nordcoreane. Gli unici dubbi riguardano la capacità effettiva di miniaturizzare le testate, conditio sine qua non della credibilità del nucleare nordcoreano.


I vicini di casa, Sud Corea e Giappone che cosa fanno?

La crisi nordcoreana ha già innescato una mini-rivoluzione geopolitica regionale. Il Thaad, biasimato da russi e cinesi, sarà quasi sicuramente integrato alla difesa antibalistica americano-giapponese, al punto che Seul e Tokio hanno firmato un accordo storico di scambio d’intelligence. Una linea diretta sulla minaccia nordcoreana, senza più passare per l’intermediazione americana e sorvolando per un attimo sulle dispute ancestrali che dividono i due paesi. I sudcoreani non si illudono. Sanno benissimo che la difesa antimissilistica non è la panacea all’immanenza della minaccia del Nord. E hanno messo in conto la possibilità di strike preventivi, riarmando negli ultimi trent’anni.

Che cosa implica il rafforzamento della presenza americana nell’area?

Gli Usa hanno lanciato più di un monito al regime nordcoreano. Uno, esplicito, arriverà oggi al largo della penisola nordcoreana, con 85 jet e centinaia di missili Tomahawk, a bordo della portaerei Carl Vinson e del suo gruppo di battaglia. Un mix teso a puntellare il trittico americano nel Pacifico occidentale, con forze in Corea, Giappone e Guam, base di lancio dei bombardieri strategici. Un’altra portaerei è in preallarme, come 150mila riservisti. Gli americani si sono premuniti. Non stanno schierando il Thaad a Seongju per magnanimità. Lo scudo proteggerà in primis il porto strategico di Pusan, distante un centinaio di km, via di afflusso principale di rinforzi in caso di guerra.

La Cina può essere la vera risorsa diplomatica?

L’unica strada plausibile per risolvere il rebus nordcoreano passa per la diplomazia. Perché la guerra rischierebbe solo di infiammare la regione, esacerbando le tensioni già esistenti fra l’asse Mosca-Pechino e l’intesa Washington-Tokio-Seul. La Cina teme anzitutto un accerchiamento statunitense ai confini. Non permetterà mai un regime change frontaliero a lei sfavorevole, né tanto meno la riunificazione della penisola coreana sotto l’egida statunitense. Può azionare ancora molte leve. É il principale partner commerciale di Pyongyang e ha già mostrato disponibilità, approvando durissime sanzioni.

 

Francesco Palmas  -avvenire.it

 

 

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