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Investimenti cinesi in Africa: investimenti e infrastrutture

La Cina sta investendo pesantemente in Africa ed è il primo partner commerciale del continente da 12 anni. In questo articolo vediamo le ragioni della sua presenza nel continente e quale strategia economica e geopolitica sta mettendo in atto.

Investimenti cinesi in Africa: investimenti e infrastrutture

Nel XXI secolo l'Africa è destinata a diventare sempre più un territorio chiave per gli sviluppi del commercio internazionale e della geopolitica mond

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Nel XXI secolo l’Africa è destinata a diventare sempre più un territorio chiave per gli sviluppi del commercio internazionale e della geopolitica mondiale. Nella lotta tra le varie potenze per l’egemonia globale, infatti, la centralità del continente è già evidente osservando la vasta cooperazione commerciale (e non solo) che Pechino ha avviato ormai da oltre due decenni con molti Stati africani. Pensate che dal 2009 la Cina è diventata il primo partner commerciale dell’Africa, sorpassando gli Stati Uniti. Nemmeno la pandemia è riuscita a smorzare l’interscambio sino-africano: nel 2021 il commercio bilaterale ha toccato quota 254,3 miliardi di dollari. L’Africa, insomma, sarà sempre più al centro della sfida geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Vediamo in che modo, perché la Cina si trova in Africa e scopriamo anche cosa si intende per fenomeni controversi come la “trappola del debito” e il land grabbing.

L’ascesa geopolitica della Cina nel XXI secolo

Il XXI secolo si è aperto con una serie di eventi e dinamiche spartiacque: tra i tanti possiamo ricordare l’11 settembre, le primavere arabe e le crisi in Europa centro-orientale di Georgia e Ucraina. Insieme a questi singoli eventi, si è registrato anche un progressivo cambiamento degli equilibri mondiali che ha portato a una fase di transizione carica di incertezze. Gli Stati Uniti, infatti, rimangono ancora la superpotenza di riferimento, ma non sono più gli unici attori di peso come negli anni successivi alla fine della Guerra Fredda.

Al giorno d’oggi gli USA sono tallonati dalla Repubblica Popolare Cinese di Xi Jinping. In questa prima fase, l’ascesa imperiale cinese si è concentrata sulla dimensione economico-commerciale e ha interessato vari quadranti geopolitici, compresa l’Africa. Nel continente, infatti, la Cina ha concentrato grandi sforzi economici e diplomatici negli ultimi due decenni, estendendo molto la propria dimensione di potenza economica globale.

Le prospettive di crescita dell’Africa

L’Africa è uno dei contesti che diventeranno sempre più determinanti negli scenari globali futuri grazie a vari fattori: enormi quantità di risorse e materie prime (dall’oil & gas alle terre rare), vastità geografica, varietà di quadranti strategici e impressionante crescita demografica. Si stima, infatti, che da qui al 2050, nella sola Africa subsahariana avverrà circa il 57% della crescita demografica mondiale; questo significa che fra 30 anni il 23% circa della popolazione mondiale vivrà nell’Africa subsahariana, rispetto al 15% circa odierno.

L’evoluzione dell’influenza cinese in Africa

Storicamente, l’influenza cinese in Africa iniziò in piena Guerra Fredda, negli anni ’60/’70 del XX secolo, quando vari Stati dell’Africa centrale entrarono in stretti rapporti con la Cina maoista. Tuttavia, è il XXI secolo che segna l’era cinese in Africa: una penetrazione più incisiva nel continente viene convenzionalmente fatta risalire all’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (2001).

In particolare, i grandi progetti cinesi d’investimento in Africa, sia finanziari che infrastrutturali, rientrano nella cosiddetta Belt and Road Initiative (in italiano più conosciuta col nome di “Nuove Vie della Seta”), quel maestoso (e controverso) progetto di sviluppo globale che sta definendo la presidenza di Xi Jinping e che vorrebbe creare una rete di vie commerciali e finanziarie che, a partire dalla Cina, si estendano nel resto dell’Asia fino a raggiungere l’Europa e, appunto, l’Africa.

Il progetto delle Nuove vie della seta cinesi in uno schema semplificato

L’espansione economica della Cina in Africa

L’impatto più grande dell’azione imprenditoriale cinese in Africa, oltre ai prestiti e agli aiuti finanziari, è senza dubbio dato dalle infrastrutture (strade, sistemi di telecomunicazione, ferrovie, strutture sanitarie) tramite le quali i governi locali possono potenzialmente alimentare lo sviluppo economico. Ciò costituisce qualcosa di tangibile per le popolazioni che vedono un miglioramento concreto delle loro condizioni di vita di tutti i giorni.

La Cina non coinvolge esclusivamente i Paesi più ricchi di risorse, come ad esempio Nigeria, Guinea Equatoriale, Namibia e Sud Africa, ma anche con quelli più poveri, come Eritrea, Uganda, Sudan e Kenya. Lo stesso concetto si declina sul piano aziendale: Pechino ha infatti coinvolto le grandi corporazioni e le grandi società statali africane così come le piccole e medie imprese.

Il land grabbing in Africa

Uno dei lati più controversi dell’espansionismo cinese in Africa è il cosiddetto land grabbing, cioè il progressivo accaparramento di terre e, in particolare, delle relative risorse. Il termine si riferisce non solo all’operato cinese, ma più in generale all’intreccio di privatizzazioni, acquisizioni e sfruttamento di ampi territori (si parla di milioni di ettari) da parte di potenze straniere (compresi gli Stati europei ex coloniali) in un determinato contesto geografico, con conseguenze spesso negative per le popolazioni locali e per l’ambiente.

L’Africa possiede milioni di ettari di terreni arabili e in buona misura ancora non sfruttati. La “fame” cinese di terreni e dei relativi prodotti agricoli (e/o di risorse minerarie o energetiche) risulta di facile spiegazione ricordandoci i numeri della crescita economica cinese e anche della sua demografia: la Cina, al momento, è lo Stato con più abitanti al mondo (circa 1,4 miliardi). Per Pechino il land grabbing in Africa è perciò fondamentale per garantire anzitutto un’adeguata sicurezza alimentare per la propria popolazione.

La trappola del debito cinese

Un altro lato controverso dell’espansione di Pechino in Africa è la cosiddetta trappola del debito. Il processo è spesso associato al mastodontico progetto delle “Nuove Vie della Seta“. I finanziamenti cinesi nei confronti dei Paesi poveri o in via di sviluppo sono un fenomeno globale: per capirci, da 2000 al 2019, hanno raggiunto i 153 miliardi di dollari nei soli Stati africani. L’80% di questi finanziamenti riguarda opere infrastrutturali, dall’energia, ai trasporti, alle telecomunicazioni.

Il sistema viene criticato perché spesso finisce per “intrappolare” i Paesi destinatari (quelli africani, ma non solo) a causa dei debiti maturati con il Paese creditore (in questo caso, la Cina) e difficilmente restituibili. A fronte dell’impossibilità di pagare i propri debiti, infatti, le clausole dei contratti proposti da Pechino prevedono l’obbligo di consegnare le infrastrutture pubbliche finanziate al controllo della Cina. In questo e altri modi la Repubblica Popolare assume così una progressiva capacità di influenzare le scelte politiche dei Paesi debitori.

I risvolti geopolitici della presenza cinese in Africa

La proiezione prevalentemente economica di Pechino in Africa si inserisce anche in una cornice geopolitica. Lo dimostra, nel 2017, l’apertura della prima base militare cinese nella piccola ma strategica Repubblica di Gibuti, incastonata tra Eritrea, Etiopia e Somalia e affacciata tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden. L’origine della presenza di Pechino nell’area cominciò nel 2008 con un’operazione di sicurezza marittima (antipirateria) nel Golfo di Aden e tutt’oggi la base militare svolge una funzione di supporto alle operazioni antiterrorismo e di mantenimento della pace.

La piccola Repubblica di Gibuti può essere vista come il simbolo di una nuova spartizione dell’Africa che sta avvenendo nel XXI secolo, in quanto è sede di un numero impressionate di basi militari straniere. Difatti, oltre alla Cina, anche Francia, Stati Uniti, Giappone e Italia hanno delle basi militari a Gibuti, e India e Arabia Saudita potrebbero averne una in futuro. Il motivo strategico di questo interesse è la posizione del Paese africano, localizzato in corrispondenza dello Stretto di Bab el-Mandeb, uno dei choke-points (colli di bottiglia) delle rotte del commercio internazionale.

La posizione di Gibuti (o Djibouti) sullo Stretto di Bab el–Mandeb

La crisi di consenso verso l’Europa in Africa

Abbiamo visto come l’operato della Cina in Africa sia controverso e infatti viene criticato da vari osservatori come una nuova forma di politica coloniale e di sfruttamento. Secondo vari sondaggi e ricerche, tuttavia, la presenza cinese sembrerebbe per ora trovare un certo favore nell’opinione pubblica di vari Paesi subsahariani.

Di contro, questi ultimi sembrano aver maturato una certa repulsione verso le “vecchie” potenze coloniali europee, in particolare verso le operazioni militari europee e nei confronti della Francia. Questo ha aperto la strada ad altre potenze, come ad esempio la Cina (per l’appunto) e la Russia, sempre più attiva nel Sahel, ma non solo. Sul piano della cooperazione e dello sviluppo, invece, l’Unione Europea è molto apprezzata in Africa e gioca ancora un ruolo di primo piano.

Fonte: Geopop.it

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