HomeHabit & Renewable Energies

La corsa dell’ Italia per il gas del Qatar: è nuovo colonialismo

La crisi ucraina ha costretto il nostro Paese a sostituire il combustibile russo, ma non siamo i soli: anche la Germania punta alle immense riserve di Doha. In palio ci sono 70 miliardi di metri cubi. E così inizia una nuova (ma diversa) era coloniale

La corsa dell’ Italia per il gas del Qatar: è nuovo colonialismo

A volte si direbbe che la storia percorra lunghi tragitti circolari, per tornare esattamente allo stesso punto. E non è solo la guerra scatenata dalle

Eni: accordo con l’ Egitto tre miliardi di metri cubi in più nel 2022
Guerra del gas: le bollette aumentano del 30%
Codacons. Scende il prezzo dell’energia ma salgono le tasse

A volte si direbbe che la storia percorra lunghi tragitti circolari, per tornare esattamente allo stesso punto. E non è solo la guerra scatenata dalle potenze imperialiste che si riaffaccia in Europa o il ritorno dei regimi di modello fascista con la Russia di Vladimir Putin e autoritario con l’Ungheria di Viktor Orbán. No, la storia torna da dove veniva anche nei riflessi coloniali che il dramma europeo di questi mesi sta risvegliando nei grandi Paesi del continente. Gli obiettivi sono diversi, ma non notare le assonanze con il passato è semplicemente impossibile. Nel diciannovesimo secolo fra le potenze europee si era innescata una competizione che i giornalisti e poi gli storici inglesi chiamarono la “scramble for Africa”: la corsa al continente nero fra Stati europei ansiosi di materie prime per la loro industrializzazione.

Per un posto al sole

Oggi, nel pieno della tragedia ucraina, dopo il nostro brusco risveglio dall’intossicazione da gas russo, torniamo ad assistere ad un’agitazione politico-diplomatica del genere. Prendete Italia e Germania. Completata l’unificazione, la Germania guglielmina si lanciò a metà degli Anni Ottanta dell’800 a costruire il Deutsches Kolonialreich, il suo posto al sole africano in aree di quelli che oggi sono il Burundi, il Ruanda, la Tanzania, la Namibia, il Camerun, il Congo e la Nigeria, fra gli altri Paesi. L’Italia con un impatto meno potente, ma anch’essa affacciatasi al mondo dopo l’unificazione, nella stessa fase di metà degli Anni 80 si precipita in Eritrea e poi in Somalia (quindi in Libia poco prima della Grande guerra). Per nessuna delle due nuove potenze europee di allora la sete di conquista avrebbe portato fortuna, come sappiamo. La tragedia del ‘900 ha immunizzato entrambe dai sogni imperiali, ma riecco ora le stesse due nazioni – Germania e Italia – competere l’una contro l’altra per il proprio spazio in Africa e, a ben vedere, anche nel Golfo.

Una nave per il trasporto del gas allo stato liquido

Paesi In uno stato gassoso
Stavolta i fini sono legittimi, commerciali, i metodi sono civili e legali e l’urgenza è massima. Ma la grande corsa alle ricchezze degli antichi spazi coloniali ricorda quella di un secolo e mezzo fa, se non fosse che oggi entrambe cercano affannosamente solo una materia prima: il gas naturale, in forma liquefatta in modo da poter essere caricato su grandi navi-cisterna e trasportato ai nostri porti, dove impianti in tutto o in parte ancora da installare dovrebbero riportare l’energia allo stato gassoso perché entri nei tubi che la porti alle nostre case e alle nostre fabbriche. Germania e Italia insieme devono sostituire al più presto circa 70 miliardi di metri cubi di gas all’anno che – assicurano i rispettivi governi – non vogliamo più comprare dalla Russia. Per dare un’idea di quanto metano si tratti: è una quantità pari all’intero consumo annuo di gas della Cina, seconda economia e nazione più popolosa al mondo. Per Berlino e Roma la sfida diplomatica, commerciale e tecnologica è immensa.

Tutti in missione

Ecco dunque partire la “scramble for Africa” (e per il Qatar) del ventunesimo secolo. In aprile Mario Draghi è andato con vari ministri ad Algeri a firmare uno storico accordo che allarga le forniture di nove miliardi di metri cubi (in parte anche sotto forma di gas liquefatto, o Gnl). Poco dopo solo il Covid ha impedito al presidente del Consiglio di recarsi personalmente a sottoscrivere nuovi accordi per il Gnl in Congo e in Angola, mentre patti simili sono stati conclusi a livello di business da parte dell’Eni anche in Egitto e in Nigeria. Per una volta l’Italia non si è mossa per ultima, ma per prima. Della settimana scorsa però è la risposta tedesca. Vorrà pur dire qualcosa se Olaf Scholz è volato in Senegal e in Niger prima di andare Ucraina o in Cina (dove Angela Merkel prima di lui sbarcava ogni anno con centinaia di imprenditori).

Chi arriva prima e chi offre di più
La spiegazione di tanto attivismo africano del cancelliere in carica appena da dicembre è semplice: il Niger è il nono Paese al mondo per riserve di gas, al 3% del totale; il Senegal è terzo sul continente africano dopo le sole Nigeria e Algeria. Così Germania e Italia competono, gomito a gomito. Chi arriva prima, chi offre di più, chi compra e installa prima nei suoi porti gli impianti di rigassificazione, conquisterà più gas liquefatto e si libererà prima dal ricatto di Vladimir Putin. E gli altri dovranno arrangiarsi: letteralmente mors tua vita mea, in una versione aggiornata alle buone maniere delle democrazie del ventunesimo secolo. Eppure non era in questo modo che sarebbe dovuta andare. Appena due anni fa, non senza qualche esitazione, i governi e la Commissione dell’Unione europea si erano accordati per l’approccio opposto.

Il meccanismo europeo degli acquisti

Si era deciso che nessuno sarebbe dovuto restare indietro sui vaccini contro il Covid e la solidarietà europea doveva essere l’architrave di tutto. Su spinta iniziale dei Paesi più deboli, quelli che rischiavano di restare fuori dalle aste, si decise che Bruxelles avrebbe comprato le dosi di Pfizer, di Moderna o AstraZeneca per tutti e le avrebbe distribuite in tempi uguali e dosi proporzionali. Stavolta invece niente del genere, con il gas che manca. “RePower EU”, il doppio pacchetto di misure e raccomandazioni della Commissione di Ursula von der Leyen, prova sì a suggerire un meccanismo di acquisti congiunti di gas naturale. Ma solo “volontario”, in modo che almeno all’inizio sarà praticato dai Paesi piccoli o senza sbocco al mare – o entrambe le cose – che da soli non ce la farebbero.

Competizione gomito a gomito

Quanto a Italia e Germania, la loro competizione prosegue e trova un terreno di scontro particolarmente virulento là dove la posta è più alta: il Qatar, sede della più grande produzione di Gnl, già fonte di sei miliardi di metri cubi per i tre rigassificatori che in Italia ci sono già (la Germania invece deve costruirli da zero, grazie alla scarsa lungimiranza di una certa Angela Merkel). In queste settimane gli emissari di Roma e Berlino competono gomito a gomito a Doha. E i qatarini, che hanno subito annusato l’opportunità, stanno già alzando il prezzo. Chiedono ai tedeschi contratti di lungo termine, almeno vent’anni, che farebbero saltare in aria qualunque promessa di decarbonizzazione. Altro che abbattimento delle emissioni dell’88% entro il 2040. Per risolvere un problema immediato prodotto dalla nostra cecità verso la Russia, rischiamo di gettare a mare parte della transizione energetica. I dilemmi dunque sono sempre più grandi e spiazzanti. E la storia europea, sempre di più, sembra procedere per grandi cerchi che tornano sempre allo stesso punto. Non uno spettacolo edificante, in verità.

Fonte: Corrieredellasera.it

Commenti