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Crisi petrolifera e rivoluzione, oggi si scrive il futuro dell’Arabia Saudita

Crisi petrolifera e rivoluzione, oggi si scrive il futuro dell’Arabia Saudita

Il 2 giugno noi festeggiamo la nostra Repubblica, che compie 70 anni. Proprio oggi, nella sede di Vienna, si terrà un vertice dell’Organizzazione dei

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38223_C0WWWJ-1000x663Il 2 giugno noi festeggiamo la nostra Repubblica, che compie 70 anni. Proprio oggi, nella sede di Vienna, si terrà un vertice dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec), nata nel 1960 e – di fatto – controllata dagli umori e dalle strategie dell’Arabia Saudita.
Il vertice è molto atteso e ruota attorno alla domanda che ha, negli ultimi due anni, sconvolto il mercato del greggio: Riad farà passare un taglio della produzione?

I mercati finanziari sono orientati a credere che accadrà, visto che non a caso il prezzo del barile è tenuamente risalito negli ultimi mesi, dopo il crollo sotto la soglia dei 30 dollari a barile di febbraio 2016. Ma non ci saranno certezze fino al vertice di Vienna.

L’aspetto finanziario del mercato del petrolio è da valutare in concerto con quello politico sociale, almeno in riferimento a quei paesi che vengono ritenuti vittime della cosiddetta “maledizione del petrolio”, cioè una dipendenza dalla mono produzione che ne determina anche gli equilibri politici interni.

Come ha scritto il professor Michael Klare, dell’Hampshire College di Amherst, in Massachussets (Usa), in un articolo su Le Monde Diplomatique: “Il petrolio è a merce lecita più redditizia del commercio internazionale e la prima fonte di reddito di una dozzina di paesi. Quando i prezzi schizzano verso l’altro, come è stato tra il 2010 e il 2014, le compagnie petrolifere intascano profitti colossali, che reinvestono in parte in nuov tecnologie e infrastrutture destinate a garantire una crescita continua della produzione. Dal canto loro, i governi dei paesi produttori approfittano di queste ricadute per finanziare grandi caniteri pubblici o altri programmi suscettibili di migliorare le condizioni di vita della popolazione. Quando i prezzi si abbassano, invece, le compagnie congelano gli investimenti, pregiudicando la produttività futura. E i governi stringono la cinghia sui programmi a beneficio delle rispettive popolazioni, mettendo in forse la loro sopravvivenza”. Non si potrebbe spiegare meglio.

Questo passaggio, dopo che dai 115 dollari al barile di greggio del primo semestre del 2014 si è crollati fino ai 30 dollari, riguarda il futuro di tanti paesi: Algeria, Nigeria, Russia, Venezuela a altri. Tra tutti, è l’Arabia Saudita a destare l’interesse più grande. Perché nessuno come la casa reale di Riad ha legato la sua storia a un patto sociale: l’assoluta obbedienza della popolazione in cambio di generosi sussidi finanziati dal petrolio.

Oggi, in Arabia Saudita, il deficit creato dal crollo del prezzo del greggio è di oltre 200 miliardi di dollari. Una voragine, che ha portato l’agenzia di rating Moody’s a tagliare il rank dell’Arabia Saudita per gli investitori esteri e, per la prima volta, ha costretto il governo saudita a varare una finanziaria di austerity.

Il budget del 2016, il primo da quando è salito al trono re Salman, punta a recuperare almeno 10 miliardi di dollari di deficit. Questo avverrà attraverso un taglio senza precedenti dei sussidi energetici, con la benzina che arriverà a costare 24 centesimi di dollaro al litro. Un costo quasi doppio per la popolazione.

Tutto il mondo del petrolio in Arabia Saudita è in fermento e lo conferma il fatto che a Vienna ci sarà il nuovo ministro del Petrolio, Khaled al-Falih, nominato il 7 maggio scorso, al posto di quel Alì al-Naimi che più o meno dal 1983 era il deus ex machina delle politiche petrolifere saudite.

La scelta viene messa in conto al principe Mohammed bin Salman, figlio dell’attuale monarca, erede al trono e vero e proprio uomo forte di Riad. Per le sue mani, come racconta un ritratto del Bloomsberg Businessweek, c’è la politica economica del paese, il ministero della Difesa, la produzione di greggio e il fondo d’investimento nazionale. A soli 30 anni, un potere immenso. E forse una nuova visione del futuro del regno.

Il principe, infatti, ha annunciato il 25 aprile scorso una svolta senza precedenti per il regno: quotando in borsa la Saudi Aramco, la compagnia nazionale saudita degli indrocarburi, si punta a creare un fondo d’investimento pari a 2mila miliardi di dollari, da reinvestire in un’immensa opera di ingegneria sociale per emancipare l’Arabia Saudita dalla dipendenza dal greggio.

Ecco che, come in molti si chiedono, si spiegherebbe l’atteggiamento saudita che non accettando di contrarre la produzione ha danneggiato le sue stesse casse. Perché se esiste un piano alternativo, si danneggiano i rivali (Iran e Russia su tutti), puntando ad altro. Rivali che, intanto, vedono cambiare lo scacchiere della geopolitica mondiale e ne approfittano. L’Iran, ad esempio, sgravata dalle sanzioni, si muove in fretta. Solo una settimana fa, a Teheran, ha concluso accordi milionari con l’India.

Per l’Arabia Saudita è un’operazione ambiziosa e rischiosa, ma necessaria, che mette però in discussione quello che è stato il perno del patto sociale tra la famiglia Saud e il paese. E che, se fallisse, potrebbe far esplodere le tensioni che nel paese esistono eccome, anche se da sempre sottaciute dalla pax economica e sociale.

Il giovane Mohammed ha già dimostrato di pensare in modo differente dalla generazione che l’ha preceduto, che sostanzialmente ha visto il potere passare per le mani di fratelli tutti ottuagenari. In primo luogo con un ruolo in politica estera che in Yemen ha mostrato voler diventare interventista, militarista e meno diplomatico.

D’altronde, se non regge più il patto delle prebende del petrolio e regge sempre meno il ruolo di custodi dei luoghi sacri di Mecca e Medina, che gli integralisti hanno sempre messo in discussione, la casa regnante deve sapersi inventare un futuro. Pena il collasso di un attore regionale decisivo in questi anni, proprio mentre i rivali storici dell’Iran escono dall’isolamento dopo il disgelo tra Teheran e Washington.

Le decisioni del 2 giugno prossimo a Vienna ci diranno molto di più del futuro dell’Arabia Saudita e di come potrebbe cambiare una società che, per certi versi, è ancora ancorata agli anni Trenta. Con ripercussioni in tutta la regione tutte da valutare.

Fonte: glistatigenerali.com

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