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Ma, in definitiva, cos’è di preciso la dieta mediterranea?

Ma, in definitiva, cos’è di preciso la dieta mediterranea?

Si tratta di un modello alimentare acclamato da tutti i nutrizionisti e medici del mondo. Nel 2010 è stata dichiarata, dall’UNESCO, patrimonio cultura

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Si tratta di un modello alimentare acclamato da tutti i nutrizionisti e medici del mondo. Nel 2010 è stata dichiarata, dall’UNESCOpatrimonio culturale immateriale dell’Umanità. La dieta Mediterranea è un modello nutrizionale ispirato, in origine, alla tradizione alimentare di Italia, Grecia, Spagna e Marocco; anche se nel novembre 2013 tale riconoscimento è stato esteso a Cipro, Croazia, e Portogallo. Questo modello nutrizionale è stato abbandonato nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuto troppo povero e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare dalla ricca America. Tuttavia oggi, in Italia, le persone tendono a credere che la dieta Mediterranea sia quella degli italiani, che sia un patrimonio dell’umanità in quanto migliore modello alimentare al mondo, che sia quella che favorisce la longevità e che consente di rimanere in salute a lungo. Ma è proprio così?

La vera dieta mediterranea non la fa più nessuno

In realtà no. Una considerazione di base che permette di inquadrare l’argomento in maniera più oggettiva è che le persone tendono a pensare che chi vive sul Mediterraneo faccia la dieta Mediterranea. Questo è un errore di fondo. Gli studi ci dicono infatti, che la vera dieta Mediterranea oggi non la fa quasi più nessuno. In Italia la dieta prevalente è una tipica dieta occidentale: troppa pasta, troppo pane, troppi zuccheri, troppi tramezzini, troppi panini, troppa pizza, troppi dolci… Di mediterraneo in senso classico è rimasto molto poco perché le cose che dovrebbero essere consumate in prevalenza per potersi classificare dieta mediterranea in realtà sono: porzioni molto abbondanti di verdure di stagione, frutta di stagione, legumi, l’olio extravergine di oliva, il pesce come proteine in prevalenza, cereali al 100% integrali invece di quelli raffinati, il vino rosso (quest’ultimo in quantità moderate), il pane a lievitazione naturale, ampio uso di aglio, cipolla e erbe aromatiche, pochissimi dolci (il dessert tipico è la frutta), frutta secca e semi con regolarità, poco latte e latticini (con prevalenza di formaggio e yogurt, quindi latticini fermentati), poca carne preferibilmente bianca come il pollo, carne rossa (manzo, maiale) poche volte al mese, e infine le uova: da cinque a sette a settimana o anche di più.

Ciò che ne scaturisce è uno stile alimentare sano e preventivo, se per dieta mediterranea si intende quello che è stato appena elencato e che fa parte della vera (tradizionale) alimentazione dei popoli del mediterraneo. Peccato che in Italia oggi gli chef e i nutrizionisti “televisivi” continuino imperterriti a far credere alle persone che

la dieta mediterranea sia mangiare ogni giorno (e più volte al giorno) brioche e biscotti a colazione, fette biscottate con marmellata, pane, pasta, crackers e massimo due uova a settimana; perché altrimenti si alza il colesterolo nel sangue. Falso mito questo sul consumo di uova fra l’altro, ormai ampiamente smentito dalle ricerche scientifiche più recenti che dimostrano come l’aumento eccessivo dei livelli di colesterolo nel sangue non sia dovuto ai cibi che contengono colesterolo, bensì ad uno squilibrio di regolazione causato dall’ormone leptina.

È sana quando inserita nel suo contesto originario

Il modello alimentare mediterraneo, sano e protettivo per la salute, che abbiamo appena descritto va inquadrato peraltro come un elemento che si accompagna ad un tipico stile di vita in cui vi era un elevato consumo calorico giornaliero dato dallo sforzo fisico, perché si trattava in prevalenza di persone che lavoravano nell’agricoltura e dunque che usavano il corpo costantemente. Questo legame non è qualcosa di opzionale. È invece inscindibile e ne determina la buona riuscita in termini di reali effetti di protezione per la salute e di prevenzione delle patologie. Infatti, come tutti gli altri modelli alimentari preventivi (ce ne sono altri anche in Asia, in Nord Europa ecc.), la caratteristica fondante è un ritrovato equilibrio tra introiti e consumi. Uso di proposito l’aggettivo “ritrovato” perché è evidente che si sia perso molto del modello originario del passato, e che oggi la società italiana sia passata da essere quella agricola e contadina di alcuni secoli fa ad una industriale, tecnologica e per questo molto più improntata alla sedentarietà. Gli antenati che popolavano le coste del Mediterraneo vivevano in una società agricola e non industriale. Lavoravano nei campi per molte ore al giorno, facevano lavori molto fisici e stancanti, bruciavano tantissime calorie. Il loro fabbisogno calorico giornaliero poteva arrivare anche a 4000-5000 Kcal, quelle che oggi brucia un atleta professionista negli sport di resistenza come un ciclista o un maratoneta. È normale che queste persone mangiassero anche quantità generose di cereali e pane, rimanendo in perfetta salute e magre. Il loro fabbisogno di carboidrati era altissimo e l’organismo richiedeva dei pasti con alta densità calorica ed energetica per poter affrontare il lavoro nei campi. Oggi al contrario, si vive in una società industriale e le persone hanno un fabbisogno calorico medio di 2400 Kcal. Per cui seguire una dieta incentrata sul consumo di pane e cereali ogni giorno e al contempo avere uno stile di vita sedentario, porta ad ingrassare e ad infiammazioni. In realtà si dovrebbe evitare di parlare di dieta come qualcosa di separato dall’attività fisica. La parola dieta, del resto, veniva intesa da greci e romani come stile di vita e abitudini quotidiane, quindi non solo alimentazione ma anche movimento.

La dieta perfetta non esiste fuori dal contesto di vita

Possibile che i nutrizionisti odierni siano così ignari riguardo a questo semplice gap culturale? Possibile che si continui imperterriti a dire che bisogna mangiare cereali tutti i giorni, e anzi si preparano le piramidi alimentari e le raccomandazioni nutrizionali alla popolazione affermando che il 55-60% del fabbisogno calorico deve provenire dai carboidrati (in Italia quando si dice carboidrati si intende sostanzialmente cereali: pane, pasta, pizza, dolci)? Ci trattano tutti, in pratica, come se fossimo dei maratoneti, ma così facendo spingono la popolazione ad una nutrizione errata e a fare un pieno di carboidrati che non verranno mai smaltiti, in sostanza. Questa è una grave colpa della classe medico-nutrizionista in Italia, una miopia quasi imperdonabile, che sembra quasi un fatto voluto, ricercato e di connivenza con l’industria alimentare, la quale spinge per la iperalimentazione e l’obesità delle persone, con la produzione sempre crescente di alimenti a forte densità di carboidrati e di calorie. Esistono anche ipotesi di complotto, tra la classe medico-nutrizionista e il sistema di profitto farmaceutico, che si basa sui guadagni derivanti dalla vendita di farmaci anti-diabete, anti-colesterolo, anti-obesità. Personalmente non posso escludere che diversi illustri membri delle Commissioni preposte alle Linee Guida per l’alimentazione della popolazione italiana abbiano dei legami e interessi che si incrociano con quelli dei grandi pastifici italiani e dell’industria dolciaria italiana. Bisogna anche osservare tristemente come l’educazione alimentare e alla prevenzione sia ad un livello molto basso in Italia da sempre, sia in TV dove ogni giorno sfila il trionfo dello zucchero e della farina bianca in ogni programma sul cibo, sia presso gli ambulatori medici, le mense scolastiche, le mense ospedaliere. Non viene fornita alcuna educazione alimentare, anzi si insegna a mangiare tutto ciò che reca danno e abbatte la salute. Strano, non è vero? Una casalinga o un impiegato sedentario che seguano un regime alimentare basato sul 55-60% delle calorie dai carboidrati, come possono rimanere in salute? Lo poteva fare tranquillamente una massaia del 1800, che lavorava anche

nei campi durante il giorno, ma non certamente la persona sedentaria di oggi.

L’isola di Creta e i veri seguaci della dieta Mediterranea

Il primo studioso a parlare di Dieta Mediterranea fu un medico e scienziato americano, tale Ancel Keys, che negli anni ’50 e ’70 del novecento studiò a fondo le abitudini alimentari di vari popoli del bacino del Mediterraneo, tra cui gli italiani (fece degli studi in Campania per la precisione) e gli abitanti dell’isola di Creta. Ancel Keys osservò nell’isola di Creta una dieta mediterranea molto specifica a base di cipolle, insalata, formaggio Feta, olive, yogurt greco, un po’ di pesce, pochissima carne. I cretesi mangiavano poco in generale e digiunavano spesso perché seguivano i digiuni rituali della Chiesa Ortodossa, infine conducevano uno stile di vita molto attivo e stavano molto all’aria aperta. Egli constatò che tra gli abitanti di Creta le malattie del cuore non erano affatto diffuse, le persone erano piuttosto in salute fino a tarda età. Questo ci spinge a fare una considerazione importante per noi oggi, e cioè che le abitudini alimentari dei popoli del Mediterraneo possono essere anche molto diverse a seconda dell’area geografica. Per esempio a Napoli Ancel Keys osservò che tra le classi popolari la dieta tipica era a base di pasta variamente condita, insalate con una spruzzata di olio d’oliva, tutti i tipi di verdura di stagione e spesso formaggio, il tutto completato da frutta e in molti casi accompagnato da un bicchiere di vino. Quindi a Creta si seguiva una dieta povera di carboidrati ma ricca di grassi, mentre a Napoli esattamente il contrario, ricca di carboidrati e povera di grassi. La validità di questi modelli alimentari era sempre legata allo stile di vita complessivo delle persone (movimento, digiuni ecc.). Anche la Sardegna ha offerto alla Scienza un modello alimentare collegato alla longevità. Quello sardo è uno dei vari gruppi di centenari presenti nel mondo: sono presenti anche in Giappone, in Sudamerica, negli USA e in altre regioni del pianeta. In Sardegna tuttavia, la percentuale di centenari è il triplo rispetto a quella di tutti i Paesi occidentali. Le persone longeve sarde mangiano carne e latticini tutta la vita ma si tratta di carni e derivati da animali salutari che non provengono dal circuito della Grande Distribuzione, bensì da filiere di allevamento ben diverse da quelle dell’allevamento intensivo e industriale tipico ad esempio della Pianura Padana.

Questo è un dato su cui sicuramente riflettere, anche perché in Sardegna i cibi animali vengono consumati regolarmente quasi tutti i giorni (soprattutto il latte e i formaggi) ma la salute media della popolazione sarda è molto buona. E i sardi sono una popolazione mediamente molto attiva e poco industrializzata,

ad altre che vivono in Italia. O comunque possiamo applicare queste caratteristiche ai sardi del passato recente, i nostri nonni e bisnonni diciamo, che erano sicuramente molto attivi, lavoravano all’aperto nei campi e percorrevano distanze considerevoli anche a piedi durante la giornata, piuttosto che in auto o con altri mezzi di trasporto. Quindi ritorna ancora una volta la costante dello stile di vita nel complesso attivo e per nulla sedentario, oltre al modello alimentare. Napoletani, sardi e cretesi sono tutti esempi di modelli alimentari mediterranei, ma differenti e con specifiche caratteristiche per ognuno di essi. I cretesi avevano uno stile di vita tradizionale ben diverso da quello che si può considerare tale in Italia al giorno d’oggi.

Non esiste una sola dieta mediterrana

Anche tra italiani del sud e del nord, ritroviamo altre abitudini culinarie differenti. Facciamo alcuni esempi: la pasta col pomodoro, quanto è tradizionale come piatto in Italia? Il pomodoro è arrivato in Europa nel 16° secolo, dall’America, ma fu considerato a lungo un cibo velenoso e fu poco utilizzato. Durante i primi anni del ‘900, in Italia non si utilizzava il pomodoro, ne è prova il fatto che il celeberrimo ricettario-manuale di Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”, che molti considerano la bibbia della cucina tradizionale italiana, menzioni il pomodoro soltanto 2 o 3 volte su centinaia di ricette. La pizza margherita fu inventata a Napoli nel 1889, ma alla fine dell’800 la maggior parte degli italiani non sapeva cosa fosse; e sempre nel manuale di Artusi, pubblicato nel 1891, della pizza non vi è traccia (il nome compare 3 volte ma si riferisce ad altre pietanze e non alla pizza napoletana). La parola pizza è entrata nel dizionario italiano solo nel 1915 e nel nord Italia non si è diffusa prima del secondo dopoguerra, quando arrivarono gli Alleati che risalendo l’Italia portarono aglio, olio d’oliva e pomodoro; che nell’Italia del nord non esistevano perché si usavano il burro, lo strutto e la cipolla. Anche l’olio d’oliva non era per niente diffuso nella cucina tradizionale del nord Italia di quel tempo. È evidente quindi come le tradizioni culinarie dei popoli del bacino del mediterraneo possano essere diverse tra loro. Non esiste un modello univoco di dieta Mediterranea.

In conclusione, sono vari i modelli di alimentazione tradizionale di tipo mediterraneo che si configurano come salutari. Tuttavia, i popoli mediterranei dei decenni passati mangiavano cibi integrali, mentre al giorno d’oggi si mangiano questi alimenti nella versione raffinata; lavoravano nei campi per molte ore, mentre ora è prevalente l’attività sedentaria. Insomma, non si può certo dire che la vera Dieta Mediterranea venga seguita, anche se molti ancora non se ne sono resi conto.

Fonte: L’ Indipendente.it

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