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Come l’Ue può raggiungere la sovranità digitale

Come l’Ue può raggiungere la sovranità digitale

Per evitare tutto ciò, provo ad analizzare la prima parola: cosa si intende per sovranità? “Potere pieno e indipendente, come qualità giuridica e pote

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Per evitare tutto ciò, provo ad analizzare la prima parola: cosa si intende per sovranità? “Potere pieno e indipendente, come qualità giuridica e potestà politica: s. del re || s. popolare, principio per cui il potere dello Stato si fonda sulla volontà di tutti i suoi cittadini | s. della legge, autorità suprema e generale della legge.” Questo è quello che troviamo sul vocabolario. Prima di analizzare il combinato disposto Sovranità/Digitale, proviamo ad analizzare anche la parola Politica: “Arte, scienza del governo e dell’amministrazione dello Stato; estens. modo in cui un governo affronta temi e problemi politici specifici.” Aristotele aggiungeva: “Base della costituzione democratica è la libertà”.

Perché ho fatto questa premessa? Perché ad oggi la grande assente, o presente per conto terzi, è proprio la politica, sia nazionale che europeo. Eppure tutte le tematiche inerenti al digitale, prima di essere affrontate da un punto di vista tecnico, dovrebbe essere analizzate ed affrontate da tutta la politica.

Chiarito questo aspetto possiamo addentrarci nel merito. Cosa si intende per sovranità digitale? “In estrema sintesi è la capacità per le nazioni, imprese, individui, di avere il pieno controllo dei propri dati, dei software che vengono utilizzati. In pratica riuscire ad essere indipendenti e autonomi rispetto alle Big Tech sviluppando proprie tecnologie sicure e sostenibili, in grado di competere al livello mondiale.”

Già partendo da questo, credo che l’Europa abbia più di un problema da affrontare. Aggiungiamo che per il presidente francese Macron la “sovranità digitale” è un concetto integrale nelle nuove riforme tecnologiche dell’Ue, in quanto l’Europa ha bisogno di “soluzioni europee” per ridurre la sua dipendenza dai “giganti tecnologici statunitensi”, e aggiungerei io, dai giganti cinesi.

Aggiungo che per il governo francese il settore del software libero vale 5 miliardi di euro, quindi anche solo per un mero e cinico calcolo economico, forse anche il governo italiano, qualche ragionamento diverso dovrebbe farlo.

Per non farci mancare nulla e per aggiungere altra carne al fuoco “nel 2020, i miliardari si sono arricchiti a dismisura. Il patrimonio personale di Jeff Bezos è cresciuto da 113 a 184 miliardi di dollari. Elon Musk ha per poco eclissato Bezos con un aumento di patrimonio di 27 miliardi di dollari, che l’ha portato a possederne 185 miliardi. Per i capitalisti alla testa delle multinazionali Big Tech, è stato un anno da favola. Infatti, studiando i meccanismi e le cifre, è chiaro che il Big Tech non è solo globale ma anche coloniale e dominato dagli Stati Uniti. Questo fenomeno è il colonialismo digitale.” Così scriveva a marzo di quest’anno Michael Kwe, ROAR Magazine.

Quindi se non si riuscirà a livello europeo a percorrere una strada alternativa alle Big Tech, continueremo ad essere una colonia.

Ma non si sta proprio facendo nulla in Europa? Un progetto c’è si chiama Gaia-X. Un ecosistema unificato di servizi cloud e data center disciplinati dalle leggi sui dati dell’Unione europea, ambendo a sfidare le grandi piattaforme statunitensi e cinesi. L’iniziativa europea, nata nell’ottobre 2020 su proposta franco-tedesca, e partecipata da tutti i 27 stati Ue, la Commissione europea e circa 100 aziende. L’obiettivo è riportare il flusso e l’archiviazione dei dati europei in Europa, affinché il Gdpr sia applicato nella sua interezza garantendo quindi la privacy dei cittadini europei.

Quindi, seppur irta da tante difficoltà, timidamente qualcosa si muove. Ma dai documenti europei si estrapola questo “Sovranità digitale per l’Europa”.

C’è una crescente preoccupazione che i cittadini, le imprese e gli Stati membri dell’Unione europea stiano gradualmente perdendo il controllo sui loro dati, sulla loro capacità di innovazione e sulla loro capacità di plasmare e applicare la legislazione nell’ambiente digitale. Questo richiederebbe che l’Unione aggiornasse e adattasse un certo numero dei suoi attuali strumenti giuridici, normativi e finanziari. Questo articolo spiega il contesto della ricerca emergente della “sovranità digitale”.

Provocatoriamente ho provato a tradurre dal politichese “I cittadini, le imprese e gli Stati membri dell’Unione europea hanno perso da anni il controllo sui loro dati, sulla loro capacità di innovazione e sulla loro capacità di plasmare e applicare la legislazione nell’ambiente digitale. In questa situazione drammatica la politica dovrebbe portare a una completa autonomia strategica dell’Europa nel campo digitale. Questo richiederebbe che i politici dell’Unione avessero un minimo di conoscenze informatiche necessarie per aggiornare un certo numero dei suoi attuali strumenti giuridici, normativi e finanziari, armi ormai spuntate, e che promuovesse l’uso di una serie di strumenti di controllo […] quindi di fatto utilizzando solo sistemi operativi e programmi open source e free software, e altresì applicando interamente il Gdpr e la sentenza Schrems II“.

Ma a questo punto sarebbe possibile fare qualcosa per arginare tutto questo? Se tornate alla premessa iniziale è la politica, tutta, che dovrebbe fare la sua parta. In che modo? Ecco alcune semplici ricette in ambito open source che dovrebbero estrinsecarsi in quattro proposte.

POLITICA

La politica oggi è la grande assente tranne qualche raro e sporadico caso. In sintesi mancanza di consapevolezza e in parte presunzione, trasversalmente a tutto l’arco costituzionale. La spinta deve partire dal basso. Ovvero sindaci e assessori dovrebbero avere la consapevolezza che acquisire conoscenze e competenze di base digitali diventa fondamentale per destinare correttamente le risorse economiche nei territori.

FORMATIVA

Essenziale nella scuola e università pubblica, così come in tutta la PA, conoscenze e formazione inerenti al software libero e al concetto di sovranità digitale, acquisendo competenze in grado di formare persone che siano veri cittadini digitali e non consumatori.

ECONOMICA

Investire nel software libero permettere di:

  1. rompere la catena, “vendor lock-in” rispetto alle big tech, (ovvero non continuando a prosciugare la piscina Italia, cit. Mediobanca “I giganti del web”. Ricordo che essi portano          l’86% dei loro ricavi nei paradisi fiscali).
  2. Creare un tessuto economico legato a informatici e aziende che operano in ambito open source nei territori.
  3. Investimento delle aziende in vera innovazione e ricerca con incentivi fiscali dallo Stato.

TECNOLOGICA

Adozione nella scuola e università pubblica, così come in tutta la Pubblica Amministrazione di soluzioni open source e free software come previsto dal CAD art. 68 e art. 69. Questo fra l’altro permetterebbe un’indipendenza tecnologica ad oggi poco presente in Europa e soprattutto in Italia.

  1. Sicurezza informatica
  2. Privacy e protezione dati in ottemperanza al Gdpr
  3. Piena aderenza alla sentenza Schrems II
  4. Essere competitivi a livello mondiale

Restano degli interrogativi ad oggi irrisolti: una classe politica umile e contestualmente una classe politica che abbia onestà intellettuale e coraggio morale che si avvicini ai temi del digitale, chiedendo aiuto alla società civile che si occupa da anni di questi aspetti. Perché il tema della corruzione non è secondario quando si affrontano anche queste tematiche.

Di fatto il software libero si può utilizzare come cartina di tornasole del livello di corruzione che c’è non solo nel nostro Paese.

Fonte: Startmag.it

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