Pur essendo tra le tech company più note, salvo un paio di piccoli security breach Spotify è riuscita a tenersi tendenzialmente distante dagli scandali. Fondata nel 2006, la compagnia viene spesso criticata per il metodo problematico che ha di calcolare quanto pagare gli artisti, ma ha in larga parte evitato le controversie legate alle privacy che negli ultimi anni hanno investito le altre aziende del settore. Una nuova tecnologia depositata dalla compagnia quest’anno, però, preoccupa moltissimo gli attivisti per i diritti digitali.

Interpretare le emozioni della voce

Nella primavera del 2021, la compagnia ha infatti depositato il brevetto per una tecnologia a cui sta lavorando almeno dal 2018, che permette di ascoltare le conversazioni degli utenti e raccomandare contenuti in base alle emozioni percepite dalla loro voce. Il sistema di riconoscimento vocale andrebbe infatti a identificare “stato emotivo, genere, età o accento” degli ascoltatori.

L’azienda, in risposta, ha sottolineato di non aver ancora mai utilizzato il sistema di raccomandazione basato sulle emozioni che questa tecnologia permette di sviluppare. Al momento, le playlist create su misura per i singoli utenti sono uno dei fiori all’occhiello di Spotify, e si basano su un insieme di consigli tratti da ciò che l’algoritmo della piattaforma ha appreso sui gusti musicali dell’ascoltatore da quando si è iscritto, dai miliardi di playlist create dagli utenti con gusti simili nonché dagli esperti musicali assunti dall’azienda.

Alla luce della crescente sfiducia nei confronti della buona fede delle tech company quando si tratta di scegliere tra il rispetto dei diritti degli utenti e la monetizzazione di tecnologie controverse, però, la rassicurazione non ha funzionato. “Quando abbiamo sollevato per la prima volta queste preoccupazioni direttamente con Spotify, l’azienda ha affermato di non star utilizzando la tecnologia in alcun prodotto e che non intendeva farlo. Tuttavia, non ha voluto impegnarsi apertamente a non utilizzare, concedere in licenza, vendere o monetizzare la tecnologia – si legge nella lettera di Access Now -. Anche se Spotify non dovesse far uso di questa tecnologia, potrebbe trarre profitto dagli strumenti di sorveglianza implementati da altre istituzioni. Qualsiasi uso di questa tecnologia è inaccettabile”.
Un mercato in espansione

Ma quali effetti si teme che possa avere sulle persone una tecnologia simile? “Monitorare lo stato emotivo di qualcuno e formulare raccomandazioni basate su di esso pone l’entità che distribuisce la tecnologia in una pericolosa posizione di potere in relazione all’utente”, spiegano gli esperti di Access Now. E aggiungono: “L’uso dell’intelligenza artificiale e della sorveglianza per raccomandare la musica servirà solo ad esacerbare le disparità esistenti nell’industria musicale. La musica dovrebbe essere fatta per la connessione umana, non per compiacere un algoritmo che massimizza il profitto“.

Spotify non è certo sola nell’esplorare questo genere di tecnologia, comunque: un recente report mostra che il mercato globale nel campo delle tecnologie per il rilevamento e riconoscimento delle emozioni varrà oltre 148 miliardi di dollari entro il 2026.

Cosa questo potrebbe significare per gli utenti è stato reso straordinariamente chiaro da Ranjan Kumar, amministratore delegato di Entropik Tech, azienda pioniera nel campo. “Oltre il 95% del processo decisionale dietro ad un acquisto avviene nel subconscio ed è guidato dalle emozioni. Questa è un’intuizione cruciale – afferma Kumar -. Noi aiutiamo le aziende a visualizzare in anteprima come le loro esperienze si connettono con i consumatori e ad analizzare le risposte emotive che evocano in loro. Così, le aziende ottimizzano i loro prodotti e servizi e migliorano la loro capacità di coinvolgere emotivamente i consumatori”. Andando verso quella manipolazione emotiva del consumatore che gli attivisti digitali vogliono evitare fin da ora.

Fonte: Wired.it