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Crediti alle Pmi sempre più giù, arriva lo ‘scoring’

Crediti alle Pmi sempre più giù, arriva lo ‘scoring’

La stretta sui prestiti delle banche alle imprese non accenna ad allentarsi: secondo gli ultimi dati pubblicati da Bankitalia, a dicembre il calo dei

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La stretta sui prestiti delle banche alle imprese non accenna ad allentarsi: secondo gli ultimi dati pubblicati da Bankitalia, a dicembre il calo dei prestiti si è attestato a -1,9%, in linea con il -2% del mese precedente. Risultati che descrivono la risposta di “un sistema bancario estremamente rigido”, a un modello d’impresa che, tuttavia, se messo a confronto con quelli degli altri Paesi europei, “pretende molto” dalle banche. Ne è convinto Mauro Finiguerra, commercialista con esperienza trentennale nella consulenza aziendale strategica, collaboratore di Nexumstp Spa. Finiguerra, in un’intervista a Fortune Italia, spiega cosa cambia tra i modelli d’impresa italiani e quelli esteri facendo luce sulle origini del fenomeno del “credit crunch” e sulle possibili soluzioni per le micro e nano imprese italiane che decidono di chiedere un prestito.

Come cambia il rapporto tra impresa, imprenditore e capitale in Italia e negli altri Paesi Ue?

Il peso dei finanziamenti bancari nei bilanci societari delle imprese italiane è, in media, superiore al 60% del debito totale. Mentre in altri Paesi come Germania, Regno Unito e Francia è inferiore al 50%. Questo significa che oltreconfine prima badano a costruire qualcosa di concreto e poi, semmai, ricorrono al credito. Mentre in Italia spesso si chiede alle banche quasi di puntare su scommesse invece che su progetti ed idee imprenditoriali. Se da una parte è vero che l’imprenditore italiano ha maggiori difficoltà dei suoi colleghi europei ad accedere al mercato bancario, dall’altra sembrerebbe un po’ cercarsela perché non si può neanche pensare che un’idea o un progetto d’impresa debbano essere interamente pagati dagli altri. Se l’imprenditore crede nella propria idea deve in qualche modo sostenerla anche con i numeri, o quanto meno con la capacità di usare il linguaggio giusto per dialogare con chi ha il capitale necessario a svilupparla. In questo senso invito gli imprenditori a guardare il film sulla storia di Enzo Ferrari, c’è molto da imparare da quella vicenda.

Sta dicendo che la rigidità bancaria è figlia di richieste di prestito ‘poco convincenti’?

No, dico solo che probabilmente questa tendenza delle imprese italiane a rischiare il meno possibile in proprio, rivolgendosi alle istituzioni finanziarie, ha come effetto quello di spingere le banche a proteggersi ulteriormente. Ma la scarsa capitalizzazione delle imprese s’innesta su un sistema bancario che comunque è estremamente rigido. Le banche italiane invece di basare l’offerta di credito sugli elementi fondamentali dell’impresa o sulle garanzie personali dell’imprenditore, tendono a far pesare molto anche le questioni formali e il rispetto ossessivo delle norme europee ed internazionali (ad esempio gli standard di Basilea 3 e del recente Ifrs 9). Certo sono norme che tutti i sistemi bancari europei devono implementare, ma la conseguenza spesso è che l’impresa italiana si trova a dover pagare il denaro molto più caro del costo che deve sopportare un’impresa europea, magari solo perché gli indici di bilancio calcolati dalle banche con il sistema software certificato non sono molto lusinghieri. Mentre all’estero, non solo nei Paesi europei, ma anche extracomunitari, in genere viene applicata maggiore elasticità nell’istruttoria di un prestito. Si ricorre ad una valutazione dell’affidabilità dell’impresa utilizzando principalmente il riferimento alle garanzie personali del richiedente, oltre che al cash flow, cioè la liquidità che quell’azienda produce in un anno. E i tassi di accesso al credito in Paesi come Francia, Inghilterra e Germania non superano il 2% o 3%. Mentre in Italia un’azienda con rating basso o nullo può arrivare a pagare anche il 7% o 8% di interessi. Costi proibitivi e che inevitabilmente si riflettono sull’andamento negativo della maggior parte delle imprese italiane.

È anche vero che il panorama imprenditoriale italiano è molto diverso da quello estero

Esatto. L’Italia è il Paese in assoluto in Europa in cui ci sono più micro e nano imprese, per un totale di cinque milioni e mezzo di partite iva, il cui volume d’affari individuale non supera di solito i due milioni di euro. Non esiste un’altra pletora così ampia di imprenditori a disposizione di un mercato economico finanziario. In Francia, Germania e Inghilterra se ne contano poco più della metà, il 60% circa . Addirittura in Francia il 75% delle imprese, che sono di medie e grandi dimensioni, si concentra nella sola zona di Parigi, quindi si tratta di realtà economiche e imprenditoriali completamente diverse dalle nostre. E questo è un altro elemento di differenza che crea una grande disparità di trattamento nell’approccio che ha l’impresa verso la banca.

In Italia cosa deve fare un’impresa quando vuole accedere al mercato bancario?

Le banche rilasciano finanziamenti sulla base di valutazioni sull’affidabilità dell’impresa. Gli strumenti di valutazione principali sono essenzialmente di due tipi. Uno è il rating ‘pubblico’, rilasciato solo da società autorizzate – pochissime nel mondo – e soggetto alla vigilanza degli organi di controllo finanziario dei vari Stati – in Italia la Consob. Si tratta di un procedimento che richiede grande investimento di tempo e di denaro e mal si adatta al mondo della Pmi e delle micro-imprese. Il secondo, invece, è il rating ‘privato’ che applicano le banche italiane. Non è certificato, ma validato dall’utilizzo di strumenti come, ad esempio, il software che Banca D’Italia mette a disposizione delle banche per valutare i bilanci delle aziende sotto l’aspetto geosettoriale (l’andamento di quell’impresa inserita geograficamente nel territorio di appartenenza) e andamentalmente nel settore di appartenenza. Ad esempio, se l’impresa opera nell’immobiliare, il software userà un modello di sviluppo di bilancio pessimistico perché il settore è in crisi e i bilanci bancari sono strapieni di immobili valutati in eccesso. Ne consegue che nella maggior parte dei casi la banca non sarà interessata a sostenere operazioni in quell’ambito. Se il rating è negativo, la banca potrebbe dirti, ad esempio, ‘vuoi il denaro’? Lo devi pagare l’ 8% perché non sei affidabile’. L’imprenditore a quel punto o paga interessi assurdi o esce dal mercato perché gli servono i soldi e non ce li ha.
In ogni caso, sicuramente l’imprenditore che vuole richiere un finanziamento in banca per prima cosa deve imparare a conoscere e ad utilizzare il linguaggio e le regole delle banche, gli strumenti di tecnica contabile (business plan e budget gestionali) ed i prodotti di fintech (analisi aziendali e valutazioni private di merito creditizio) che il mercato ed i professionisti mettono a disposizione delle imprese.

Cosa fare per le micro e nano imprese che non riescono a entrare in questi parametri?

L’alternativa è rivolgersi al mercato privato. In questo momento in Italia il mercato privato da una parte è molto critico, dall’altra è molto appetibile. È appetibile perché ci sono 1.370 miliardi di euro di risparmi di privati che potrebbero venire investiti. È critico perché c’è una certa reticenza, c’è diffidenza da parte degli investitori privati ad investire sulle imprese. Se guardiamo, ad esempio, gli investimenti sulle startup da parte di privati (business angels, venture capital, etc…) nel 2016 l’Italia ha investito 160 mln di euro in startup mentre nel Regno Unito, in Germania e in Francia l’investimento medio era sui 2,5 mld. Nel 2019 in Italia sono stati investiti 732 mln di euro, mentre negli UK gli investimenti hanno sfiorato gli 11 mld, e in Francia e Germania quasi 5 mld ciascuno.

Dunque il mercato privato non è una vera e propria alternativa?

In realtà noi come NexumStp, con il partner Business Cloud, abbiamo elaborato un nuovo prodotto fintech che valuta l’affidabilità di un’impresa, uno ‘scoring’ di riferimento, proprio per cercare di movimentare il mercato privato, ma anche per fornire una sorta di ‘cartina tornasole’ alle imprese che intendono effettuare una richiesta di finanziamento bancario. Non è uno strumento ufficiale, ma è un prodotto che si basa sugli stessi criteri e parametri e sullo stesso sistema software che usano le banche per elaborare il loro rating privato. Lo scoring utilizza i dati dei bilanci pubblici valutati con il software certificato Cebi, offrendo un report storico aziendale geo-settorializzato, oltre ad un algoritmo che si basa su una certa quantità e qualità di parametri che consentono di assegnare alle imprese un punteggio su una scala di 8 valori che vanno dal migliore AAA sino al peggiore, C.
Lo scoring, tra le altre cose, valuta gli eventi negativi in capo a soci, amministratori ed alle società, quindi ogni trascrizione pregiudizievole, ipoteche giudiziarie, qualsiasi atto di pignoramento che potrebbe essere stato effettuato; valuta le esperienze di pagamento commerciale, quindi ritardi nei pagamenti di fatture o pagamenti contestati; il rischio della governance, se vi sono problemi relativi alla conduzione e amministrazione della società; la frequenza nella visualizzazione delle partite iva perché frequenti richieste potrebbero significare l’esistenza di qualche problema. La differenza rispetto al rating bancario è che lo scoring è trasparente ed immediatamente verificabile, così l’impresa che cerca un investitore, o l’investitore stesso, possono ottenerlo in tempo reale. Mentre in banca con il rating viene semplicemente rilasciato un punteggio che impatta, senza rimedio preventivo, sulla sopravvivenza stessa dell’impresa, con lo scoring si possono individuare, a priori, punti di forza e o debolezze di un’azienda, in modo da poter ‘correggere il tiro’ per le imprese alla ricerca di un finanziamento, o valutare la situazione a 360 gradi per attrarre gli investitori privati, istituzionali e non. Se io devo vendere la mia azienda, trovare dei soci, trovare investitori, è chiaro che uno strumento di questo genere è fondamentale perché è basato su elementi oggettivi, validi per lo stesso sistema bancario e che descrive compiutamente l’andamento dell’azienda e quelle che sono le sue criticità. E ho una guida anche per migliorare il mio rating bancario. Soprattutto in un momento storico così critico.

Perché ‘questo momento storico’ è critico? A cosa si riferisce?

Nell’attuale decreto fiscale è passata una norma sull’abrogazione delle compensazioni dei crediti di imposta che probabilmente farà uscire dal mercato qualche migliaio di imprese da qui a giugno, perché tutti quelli che oggi potevano usare il credito per imposte già pagate per poter compensare l’iva e gli stipendi e i contributi previdenziali, non lo possono più fare finché non presenteranno la dichiarazione dei redditi, il che accadrà in media, tra 7/9 mesi. Mesi durante i quali verrà drenata dal sistema finanziario italiano una liquidità enorme, e le imprese che stavano già boccheggiando sotto i colpi della pressione fiscale e della crisi recessiva, si troveranno in una crisi di liquidità mostruosa generata da una norma che non aveva nessun significato per i microimprenditori. Questa norma, infatti, è nata essenzialmente per punire le frodi fiscali delle compensazioni e degli accolli dei debiti fiscali, che sono notoriamente di importo molto rilevante, mentre il divieto di compensazione colpirà tutti i contribuenti, anche quelli che avevano crediti fiscali da compensare per importi fino a 200mila euro, che non avrebbero provocato nessun cambiamento negli equilibri del bilancio dello Stato. Sono stati presentati anche degli emendamenti in tal senso, ma il legislatore ha optato per una decisione politica di chiusura nei confronti delle microimprese. A questo punto, quando vediamo 1.370 mld di investimento privato fermo in banca capiamo anche il perché. Abbiamo addirittura il sistema impresa che tiene in banca fermi 340 mld. E la propensione all’investimento degli imprenditori che lo scorso anno era del 25%, quest’anno è scesa all’11%, cioè meno di un imprenditore su 10 vorrebbe investire nell’impresa propria o in imprese accessorie collaterali per sviluppare la sua attività. Il sistema è assolutamente ingessato. Riuscire a sbloccare il finanziamento alle imprese attraverso qualche agevolazione fiscale e soprattutto la certezza delle regole, potrebbe convincere gli investitori a riaprire il canale verso le imprese. Per questo contiamo molto su questo scoring, proprio per raggiungere quelli che non si fidano delle imprese. Non possiamo dare una garanzia, non abbiamo la bacchetta magica, ma possiamo fare una mini due diligence, non invasiva, a prezzi accessibili, per fornire profili sostenibili e oggettivi, di affidabilità dell’azienda nella quale si vuole investire. I nostri strumenti valutano anche l’esito degli investimenti in un certo settore ed in un certo luogo, in modo da poter dire: ‘secondo noi quest’azienda ha questa solidità. Se vuoi fare questa operazione di investimento per aiutarla nello sviluppo, può avere questo risultato. Ti mettiamo a disposizione le nostre valutazioni con lo scoring e con la valutazione a tre anni dell’investimento e poi decidi se investire.’

Che poi in sostanza è quello che avviene nelle piattaforme di crowfunding

Lo schema è esattamente lo stesso ma con una maggiore affidabilità del risultato, infatti le imprese già in attività hanno dati storici di riferimento che le startup non hanno: l’investitore si vede davanti la società, il tipo di attività che svolge e poi ha il piano di investimento sottostante. Abbiamo deciso di intervenire anche per le micro e nano imprese, non soltanto per le startup, introducendo questo ulteriore elemento per dare all’investitore una maggiore affidabilità e sicurezza dell’investimento. Che si tratti di mille, 10mila o 40mila euro, investi in una realtà che in qualche modo espone dati che sono stati tratti da strumenti oggettivi ed affidabili.

Fonte: https://www.fortuneita.com/2020/03/04/crediti-alle-pmi-sempre-piu-giu-arriva-lo-scoring-per-smuovere-il-sistema/

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