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Dagli scarti agroalimentari nuovi materiali: si moltiplicano le startup italiane

Dalla pellicola trasparente realizzata con squame di pesce a nuovi materiali capaci di ridurre la plastica

Dagli scarti agroalimentari nuovi materiali: si moltiplicano le startup italiane

Ripensare allo scarto, conservarlo, considerarlo non più rifiuto ma risorsa. È una corsa all'innovazione quella a cui stiamo assistendo negli ultimi a

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Ripensare allo scarto, conservarlo, considerarlo non più rifiuto ma risorsa. È una corsa all’innovazione quella a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, anche a fronte delle nuove politiche europee e al pacchetto Next Generation Eu, dato che è ormai piuttosto consolidata l’idea che l’economia circolare sia una delle strade per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Non si tratta “solo” di ridurre o riciclare di più, ma di trovare nuovi impieghi per materiali che altrimenti andrebbero perduti. In questo contesto sono numerose le università, le startup, i centri di ricerca che stanno lavorando su bioenergia, bioraffinerie e chimica verde per la transizione, non solo energetica. Dalla trasformazione degli scarti del pesce per produrre una pellicola trasparente a partire da squame all’imballaggio bio-based che allunga la vita a frutta e verdura, passando per nuovi materiali che riducono l’impiego di plastica.

Come ricorda Enea, “il 90% circa delle materie prime dell’industria chimica dell’Ue per usi non energetici proviene da risorse fossili e solo il 10% da fonti rinnovabili di carbonio. Il 6% di tutte le risorse fossili è destinato alla sola produzione di plastica”. Da qui la necessità di sviluppare nuovi processi e nuovi materiali bio-based, che siano biodegradabili e compostabili, in linea con l’obiettivo generale di arrivare a coprire il 30% delle materie prime per l’industria chimica entro il 2030.

È quello che sta facendo ad esempio NextChem, società dedicata allo sviluppo delle tecnologie della chimica verde e per la transizione energetica, che ha recentemente definito 12 luoghi candidati a ospitare progetti che consentiranno “il recupero e la valorizzazione in chiave green di raffinerie e siti industriali”. L’obiettivo dichiarato dall’amministratore delegato Pierroberto Folgiero è di trasformarle in distretti basati sulla chimica verde, usando le fonti rinnovabili per lanciare la fase due dell’economia circolare: utilizzare la parte non riciclabile dei rifiuti per creare un’ampia gamma di prodotti, dai polimeri ai chemicals.

Recentemente l’università Ca’ Foscari ha sviluppato un processo per la produzione di un materiale da imballaggio partendo da squame e pelle di pescato locale, come branzini e cefali. Già oggi gli scarti del comparto pesca vengono riutilizzati per produrre fertilizzanti o mangimi, ma secondo i ricercatori di Venezia in questo modo si spreca una ricchezza di molecole estremamente interessanti per materiali innovativi.

“Oggi, il 40% della massa del pesce è un rifiuto speciale difficile da smaltire. Molto spesso ci si limita al semplice trattamento di questo scarto per ricavarne farine”, ha spiegato in una nota Maurizio Selva, docente di Chimica organica al dipartimento di Scienze molecolari e nanosistemi di Ca’ Foscari. L’idea alla base è valorizzare una biomassa di scarto locale, disponibile al mercato ittico a chilometro zero. Ma gli scienziati hanno fatto di più, ottenendo anche nanoparticelle di carbonio, che possono essere impiegate come additivi rendendo i film di collagene luminescenti quando colpiti da raggi ultravioletti e modificandone la resistenza a trazione e rottura.

Da Torino arriva invece la soluzione proposta dalla startup Agree, che ha sviluppato Ally, una sorta di seconda buccia che, dopo essere stata applicata sulla frutta, diventa trasparente ed inodore. Un materiale creato a partire da componenti estratti dai sottoprodotti agricoli, che secondo quanto afferma la giovane azienda, manterrebbe la frutta e verdura fresca fino a tre volte in più, riducendo quindi gli scarti alimentari durante la fase distributiva e aumentandone di fatto la shelf life. La startup è la prima italiana ad arrivare in finale Green Alley Award, premio europeo dedicato proprio all’economia circolare.

Meno plastica, più materiali biobased

Da Vicenza arriva invece Mixcycling, altra giovane azienda che ha sviluppato un nuovo materiale composto dal 10 al 60% da fibre vegetali di scarto e capace di ridurre sensibilmente l’impiego di plastica da fonti fossili. L’azienda veneta è in grado di lavorare diversi “bio materiali”, dalla lolla di riso, al legno, alla crusca, all’arnica: ogni miscela così composta possiede delle caratteristiche fisiche e tecniche differenti che possono essere impiegate nella produzione di imballaggi, gadget, complementi d’arredo, ma non solo. Un prodotto quindi che ha un minor impatto ambientale, misurabile attraverso lo studio del ciclo di vita: in alcuni casi l’azienda conferma di poter arrivare anche un impatto minore del 70% rispetto allo stesso materiale, ma di origine fossile.

La via verso un’economia sostenibile e basse emissioni è tracciata, e il nostro Paese sta dimostrando di poter concorrere a livello internazionale con nuove soluzioni, circolari e sostenibili.

Fonte: Huffpost.it

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