Leonardo-Fincantieri sarebbe un gruppo dei settori aerospazio e difesa da oltre 21 miliardi di ricavi al 31 dicembre scorso, con un portafoglio ordini
Leonardo-Fincantieri sarebbe un gruppo dei settori aerospazio e difesa da oltre 21 miliardi di ricavi al 31 dicembre scorso, con un portafoglio ordini di quasi 72 miliardi, poco meno di 71mila dipendenti, posizioni di eccellenza anche all’estero e in particolare tra Regno Unito e Stati Uniti, attivo in settori ad alto valore aggiunto e a spiccata tecnologia.
A riaprire il dossier è stato in corso d’anno Giancarlo Giorgetti, che ha invitato a pensare a «un polo militare italiano». Fu Matteo Renzi nel 2015 a lanciare la proposta, accolta al tempo con un certo scetticismo all’interno del suo partito. La proposta non piacque all’ad Alessandro Profumo di Leonardo, né all’allora numero uno di Fincantieri, Giuseppe Bono.
Andare oltre gli egoismi dei manager e mettere in campo quell’interesse nazionale che era innato in uomini come Enrico Mattei, il quale comprese come solo un colosso (come Eni) potesse competere con le compagnie internazionali. Attualmente sarebbe utile agire in regime di golden share, andando a fondere e nazionalizzare due strutture che, divise, non incidono come invece potrebbero dopo una fusione.
Il Mef sarebbe il primo azionista (almeno al 70%) e la governance andrebbe proporzionata tra le due strutture, con a capo un manager statale, dotato di vision Paese, come nel dopoguerra, tempo in cui si ricercavano le qualità più che le appartenenze politiche.
Il problema delle quote
Per Fincantieri decide lo Stato, il 71% è nel portafoglio di Cassa depositi e prestiti. Leonardo ha un problema: il Tesoro ne detiene il 32%, una quota che potrebbe essere non sufficiente ad aggregare in una assemblea straordinaria la maggioranza dei voti, ma qui si potrebbe applicare la golden share.
Voci pessimiste da Equita Sim, Exane, WebSim, Kepler Cheuvreux, Fidentis a Banca Akros, che valutano l’operazione negativamente, gettando le premesse per un voto negativo anche da parte del mercato e soprattutto da parte dei numerosi fondi internazionali che detengono una quota dell’una e dell’altra società.
In realtà, l’Italia fa paura in questo caso e si vuol scoraggiare un progetto che può far volare il Paese. Questa fusione porterebbe benefici a tantissime imprese del settore: da Elettronica a MaGroup, da Iveco Defence Vehicles a Tecnam, da Piaggio Aerospace a Intermarine, dai cantieri Vittoria a tutto il polo armiero, soprattutto quello della Lombardia.
In Europa la Francia ha agito con questo modus e sta vivendo un boom d’esportazioni con un volàno di produzioni che investono anche le piccole e medie imprese. Il gruppo italiano sarebbe primo in Europa, superando Germania e Francia, ora lo è solo con Fincantieri, quindi aspettiamoci trappole e campagne di stampa ad hoc.
La stampa di settore italiana in questo caso dovrà operare strategicamente, magari mettendo al centro il tema: gli italiani infatti sono all’oscuro di molte eccellenze e potenzialità del Paese.
Fonte: Il Sussidiario.it