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Crisi di governo, il piano di Conte: allargare la maggioranza, altrimenti si va a casa

Dopo la fiducia ottenuta con 156 voti per il premier è il momento di trovare nuovi rinforzi entro due settimane

Crisi di governo, il piano di Conte: allargare la maggioranza, altrimenti si va a casa

Quattro telefonate, di giorno e di notte e con l’ultima, un soffio prima del gong, Giuseppe Conte strappa il sì del socialista renziano Riccardo Nenci

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Quattro telefonate, di giorno e di notte e con l’ultima, un soffio prima del gong, Giuseppe Conte strappa il sì del socialista renziano Riccardo Nencini, che ha in tasca il simbolo del Psi. Ma con 156 voti c’è poco da esultare. Il premier da una parte è soddisfatto, «perché si va avanti e adesso bisogna correre, per superare l’emergenza sanitaria e la crisi economica». Dall’altra, a Palazzo Chigi c’è preoccupazione perché i numeri, è chiaro, «non sono straordinari». Il piano è tirare dritto, mostrando di non sentire le grida indignate delle opposizioni. Non dimettersi («e perché mai?»), ma semmai salire oggi stesso al Colle per riferire al presidente Mattarella. E poi? Stamattina un vertice di maggioranza, lavorare per far approvare Recovery e scostamento di bilancio e, da qui a fine febbraio,dare la caccia ai responsabili per allargare la maggioranza relativa con cui ha salvato il suo governo dalla «irresponsabilità di Renzi». La sofferta fiducia di Palazzo Madama è per Conte «un punto di partenza», ma il finale è incerto. Prova ne sia l’ansia con cui l’avvocato chiedeva ieri ai suoi interlocutori: «Davvero Zingaretti vuole andare a votare?». Se tra un paio di settimane i numeri non saranno lievitati, Conte dovrà arrendersi a salire al Colle.

L’avvocato deve trovare in fretta almeno cinque, sei «costruttori», anche perché i senatori a vita Segre, Monti e Cattaneo spesso non prendono parte ai lavori di Palazzo Madama. «I numeri presto aumenteranno», si dice fiducioso Conte. Sì, ma come? Nel Pd c’è chi spera che la ricomposizione con Italia viva sia solo questione di tempo, ma il premier ha orgogliosamente «voltato pagina» e sogna di portare via a Renzi più senatori possibile. Lasciandolo dall’altra parte del campo. Se non vorrà arrendersi al passaggio ad alto rischio del Conte ter, il giurista pugliese dovrà far fruttare al massimo il «pacchetto» che contiene patto di legislatura, rimpasto e legge proporzionale. E se l’azzardo del sistema elettorale lanciato per sedurre Forza Italia e Udc ha messo in allarme il Pd e il M5S, che vedono all’orizzonte una «lista Conte», adesso l’avvocato ha altri tormenti. Il primo è allargare in fretta la maggioranza, perché «se non ci sono i numeri questo governo va a casa».

Li ha cercati fino all’ultimo, attaccandosi al telefono e compulsando Franceschini, l’uomo delle trattative seduto al suo fianco: «Giuseppe, siamo bassi, tra 154 e 156». Pochini rispetto alla sottile linea rossa fissata da Renzi a 161, tanti rispetto alla battuta amara di Guerini: «Sopra a 145 va tutto bene». Chiaro che non è così, senza maggioranza assoluta nelle commissioni sarebbe un Vietnam. Tanto che diversi ministri ritengono inevitabile, da qui a poco, il passaggio ad alto rischio verso un Conte ter. Lui non vuole arrendersi, ha digerito il rimpasto e non si fida ad andare oltre. «Conte non promette posti, gioca pulito», assicurano i suoi. E comunque, se pure fosse, nel piatto ci sono solo Agricoltura, Famiglia e un sottosegretario. Poi c’è la delega ai Servizi segreti, che sembrava destinata al segretario generale di Chigi Roberto Chieppa e che invece potrebbe tornare in palio.

Nencini, che detiene il simbolo del Psi, gli ha detto in sostanza «fammi vedere le carte, progetto e programma». All’ultimo secondo si è convinto e molti si aspettano che farà il ministro. Quagliariello respinge «annessioni», ma non ha sbattuto il telefono in faccia a Conte. E così i tre senatori Udc, De Poli, Saccone e Binetti. Per Zingaretti «la porta è strettissima» e l’avvocato lo sa. Il premier in Aula si è commosso. All’ultima frase della replica, «non mi vergogno di dire che siamo seduti su queste poltrone, l’importante è farlo con disciplina e onore», la voce del presidente si incrina. Più tardi, a telecamere spente, spiegherà perché non ha seguito l’ex alleato sul piano inclinato dello scontro personale: «Con un Paese che soffre ed è così in difficoltà, provare rancore significherebbe essere ripiegati su se stessi». Come il senatore di Italia viva, insomma, che gli ha rinfacciato la «paura di salire al Quirinale per dare le dimissioni», il record di decessi Covid e anche di avergli offerto «un incarico internazionale» per levarselo di torno.

Conte incassa le accuse, prende appunti e manda giù sorsi d’acqua per ingannare il nervosismo. Al momento della replica punta l’indice della mano sinistra contro il banco del senatore di Rignano. Questa volta chiama Renzi per nome, gli rimprovera le «poco onorevoli polemiche» sulle vittime del virus, l’aver «distrutto mediaticamente» e bloccato il Recovery e infine le provocazioni sulle poltrone. E la guerra continua.

Fonte: www.corriere.it

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