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Deglobalizzazione: catene del valore e Mezzogiorno

Ci sono, in questo spostamento globale, delle opportunità da cogliere per il Sud del nostro Paese? La posizione geografica italiana cosa significa nel blocco regionale europeo? Sono questi alcuni dei temi attorno ai quali andrebbe costruita la strategia industriale italiana dei prossimi anni

Deglobalizzazione: catene del valore e Mezzogiorno

Tra le formule divenute di moda negli ultimi anni nel linguaggio economico e in quello comune, vi è sicuramente “catena globale del valore”. Concetto

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Tra le formule divenute di moda negli ultimi anni nel linguaggio economico e in quello comune, vi è sicuramente “catena globale del valore”. Concetto letteralmente esploso negli ultimi vent’anni anni, che descrive le lunghissime linee di produzione in cui si sono progressivamente organizzate imprese sempre più ingaggiate sul contenimento dei costi.

Con la pandemia – e oggi con la guerra in Ucraina – queste vere e proprie tele si sono rivelate fragili, lasciando senza punti di riferimento chi le aveva tessute: lo abbiamo constatato nei semiconduttori, nell’automotive, nel farmaceutico e in moltissimi altri settori. Per anni, infatti, la costruzione delle catene del valore non aveva incorporato la questione del ‘rischio di localizzazione’. Essa è comparsa improvvisa e in forme inaspettate, sotto la spinta di diversi fattori: la già richiamata pandemia, le tensioni geopolitiche tra la Cina e l’Occidente, la pressione regolamentare per ridurre l’‘impronta ambientale’ dei prodotti e la connessa preferenza per produzioni meno soggette a trasporti inquinanti.

Il tutto sta obbligando a un ripensamento profondo delle organizzazioni delle imprese. In direzioni diverse.

C’è stato, prima di tutto, un vero e proprio cambiamento di strategia sintetizzato dal passaggio dal Just in time al Just in Case, il che comporta prima di tutto inventari più grandi, in particolare per i prodotti più essenziali alle singole produzioni. Si registra, poi, lo sviluppo di tecnologie specificamente dedicate ad allertare in anticipo rispetto a eventuali problemi di approvvigionamento. Si definiscono, dove possibile, contratti più lunghi con i fornitori, in modo da stabilizzare i rapporti di fornitura, ed aumentano, d’altro lato, le tendenze verso integrazioni verticali. E, ancora, si assiste alla creazione di stabilimenti ‘di riserva’, una attività diretta ad affrontare momenti di difficoltà e che è spesso condotta in collaborazione tra concorrenti.

Vi sono, poi, iniziative pubblico-private come quelle sollecitate dalla WTO per risolvere i nodi della logistica mondiale: da quelli infrastrutturali a quelli legati alla formazione del personale, sino ai problemi derivanti dall’eccesso di burocrazia.

E, infine, va segnalata la rinnovata attenzione al reshoring – al ritorno a casa di produzioni che si erano localizzate fuori dal principale mercato di sbocco – indicatore di una sempre maggiore attenzione a quello che in gergo si chiama il local for local (produzione locale per mercato locale), la tendenza ad avvicinare produttori a consumatori, a sviluppare ‘nodi’ regionali di produzione e consumo. Una prospettiva in cui vanno inquadrate la scelta di riportare grandi investimenti negli USA o, per stare all’Europa, quella di Intel di investire in una serie di nuove localizzazioni produttive e di ricerca europee, per un ammontare complessivo previsto in 80 miliardi.

Si tratta di cambiamenti che avvengono in risposta a trasformazioni profonde degli scenari produttivi e geopolitici: quelle che Larry Fink ha sintetizzato con la formula della “fine della globalizzazione” e altri in quella della “deglobalizzazione”. Ma che vanno letti anche alla luce della maggiore attenzione alla questione territoriale nelle nuove politiche di sviluppo, ai pericoli ‘politici’ legati a un’evoluzione del capitalismo globale che se, da un lato, ha portato livelli mai visti di prosperità, ha assistito, in parallelo, all’accrescersi delle diseguaglianze.

Anche in virtù di questo elemento, sono cambiamenti che pongono all’attenzione domande cruciali per il futuro italiano: specialmente se si indossano lenti meridionaliste. Ci sono, in questo spostamento globale, delle opportunità da cogliere per il Sud del nostro Paese? La posizione geografica italiana cosa significa nel blocco regionale europeo, quali possibilità di influenza sul Mediterraneo delinea, quali prospettive apre nei confronti dei mercati africani? In un momento di sviluppo del local for local, in che modo va strutturata una politica nazionale capace di portare nel Mezzogiorno investimenti in grado di costituire il perno di ecosistemi dell’innovazione? Gli strumenti già oggi a disposizione e quelli previsti dal PNRR sono sufficienti? In che modo possono essere pienamente coordinati con le misure a disposizione delle regioni con la programmazione 2021-2027? 

Ecco, sono questi alcuni dei temi attorno ai quali andrebbe costruita la strategia industriale italiana dei prossimi anni. Solo così sarà effettivamente possibile collocarla dove deve stare: in quello che sta succedendo nel mondo.

Fonte: Huffpost.it

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