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E’ Genova la patria dei jeans. Dal 1515 con “Tela Genova”. Il tessuto che ha segnato l’evoluzione della moda

E’ Genova la patria dei jeans. Dal 1515 con “Tela Genova”. Il tessuto che ha segnato l’evoluzione della moda

I jeans hanno fatto la storia di intere generazioni e rappresentano l’icona dell’abbigliamento casual per eccellenza: indossati prima solo dai ragazzi

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I jeans hanno fatto la storia di intere generazioni e rappresentano l’icona dell’abbigliamento casual per eccellenza: indossati prima solo dai ragazzi e dai giovani adulti, ora i pantaloni di tela blu, anche se poi con gli anni sono state introdotte tutte le varianti del caso, occupano un posto negli armadi pressoché di chiunque.
Dal fustagno ai jeans

La primogenitura in fatto di fabbricazione dei jeans viene ricondotta storicamente, ma in maniera non sempre univoca, alla città di Genova o al Genova della grande tradizione tessile che fin dal Medioevo ha costituito un’importante voce nelle esportazioni liguri di manufatti (come velluti di Zoagli e damaschi di Lorsica) realizzati su materie prime locali oppure importate: tessuti di lana, di seta, di lino, di cotone o di fustagno.

Un vestito tradizionale femminile genovese in “jeans” della fine del XIX secolo

Già nel XV secolo la città di Chieri (Torino) produceva un tipo di fustagno di colore blu che veniva esportato attraverso il porto antico di Genova, dove questo tipo di “tessuto blu” era usato per confezionare i sacchi per le vele delle navi e per coprire le merci nel porto. Considerando che all’epoca si usava dare ai tessuti il nome del luogo di produzione, si ritiene che il termine inglese blue-jeans derivi direttamente dalle parole bleu de Gênes ovvero blu di Genova in lingua francese.

Secondo altre versioni i pratici e resistenti “calzoni da lavoro” erano in tempi remoti cuciti con tela di Nîmes (de nimes e poi denim) di color indaco ed erano indossati dai marinai genovesi. Nîmes era la concorrente diretta di Chieri nella produzione di questo tessuto.

In ogni caso sembra certo che la trasformazione da pezzi di tela a indumento avvenne proprio nella città di Genova.

Un altro antesignano del tessuto denim viene identificato nel bordato ligure, una tela particolarmente resistente che veniva prodotta nei secoli scorsi per confezionare abiti da lavoro.

Il termine di lingua inglese jeans è utilizzato fin dal 1567; fu infatti nel XVI secolo che dal porto genovese iniziò la grande esportazione di questo materiale. Il fustagno genovese, di qualità media, alta resistenza e prezzo molto contenuto, tinto con indaco, si era imposto in Europa e in particolare tra i mercanti inglesi, insieme al fustagno di Ulma in Germania.

La Storia

  • 1515 – Nasce a Genova la storia del tessuto Jeans che più di ogni altro, ha segnato l’evoluzione
    della moda in tempi recenti.
  • 1600 – Prime testimonianze artistiche del tessuto Jeans “Tela Genova”.
  • 1630 – Dipinti e parati raffigurano immagini di abbigliamento “Tela Genova”.
  • 1860 – Il jeans più vecchio della storia, appartenuto a Giuseppe Garibaldi, è attualmente conservato presso il Museo centrale del Risorgimento, all’interno del Vittoriano (Roma).

Pensando alla città di Genova chi si è mai soffermato sull’importanza che essa rivestiva nell’evoluzione dei costumi dell’età moderna? Forse in pochi.

Sul finire del 15°secolo iniziava a Genova l’avventura di Cristoforo Colombo alla scoperta di nuovi mondi, ma sempre a Genova nello stesso periodo nasceva la storia del tessuto che più di ogni altro ha segnato l’evoluzione della moda in tempi recenti: il jeans.

Deposizione su tela Jeans 1538 (XVI Sec.), Museo Diocesano Civico di Genova

Quattordici paramenti sacri raffiguranti storie della Passione di Cristo sono visibili al Museo Diocesano di Genova (“Gesù spogliato e abbeverato di fiele” e “La Deposizione”), dipinte a monocromo, note come tele della Passione databili tra il XVI e il XVII secolo, sono esempi unici di come questa tela sia stata impiegata per la realizzazione di apparati liturgico-devozionali del XVI secolo.

 

La primogenitura, quindi, in fatto di fabbricazioni dei blue jeans viene ricondotta storicamente alla città di Genova o al Genovesato in genere, in virtù della grande tradizione tessile che fin dall’antichità ha costituito un’importante voce dell’esportazione ligure.

Particolare del telo con l’Orazione nell’Orto” – Dipinto su tela Jeans, XVI Sec.

  •  Nella Galleria nazionale di palazzo Spinola a Genova sono visibili statuine del presepe dello scultore genovese Pasquale Navone e della sua bottega datate alla seconda metà del Settecento raffiguranti pastori abbigliati con capi jeans.
  • Nel Museo Giannettino Luxoro di Genova Nervi, è conservata una selezione di acquerelli ottocenteschi dell’autore Antonio Pittaluga provenienti dal “Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari” di Roma, raffiguranti personaggi maschili e femminili nell’abito tradizionale genovese o di altre località liguri.
  • Alla fine del XVII secolo, un pittore anonimo detto Maestro della tela jeans, rappresenta in ogni suo quadro un personaggio vestito (giacca, gonna, grembiule o pantaloni) di fustagno di Genova.

L’uso più diffuso venne poi dai marinai del porto di Genova. è storicamente provato che Giuseppe Garibaldi, che per molti anni era già stato un marinaio, durante lo sbarco dei mille a Marsala, indossò come molti altri dei suoi garibaldini, un paio di jeans, oggi conservati a Roma presso il Museo centrale del Risorgimento all’interno del Vittoriano, a testimonianza del “Jeans più vecchio del mondo”.

Nell’Ottocento la nascita del jeans moderno

Levi Strauss

Nel 1853, in seguito alla scoperta dell’oro in California, Levi Strauss per vendere capi d’abbigliamento utili ai cercatori d’oro, fondò a San Francisco la Levi Strauss & Co., che è oggi con il marchio “Levi’s” e il mitico modello “501” l’azienda con la quota maggioritaria nella vendita dei jeans. Comprò anche dei tessuti per le tende che poi utilizzò per fabbricare dei grembiuli da lavoro. Questi ultimi inizialmente erano poco resistenti e scomodi. Strauss provò a migliorarne le qualità utilizzando il denim, un tessuto resistente, pesante e di colore blu.

Jeans in denim, con un rivetto in rame per rinforzare la tasca

Nel 1871, il moderno jeans in denim fu inventato dal sarto Levi Strauss Davis, che aggiunse ai pantaloni in denim i rivetti in rame per rinforzare i punti maggiormente soggetti ad usura, come le tasche, particolarmente riempite dai cercatori d’oro e dai minatori. Fu brevettato il 20 maggio 1873 dall’US Patent and Trademark Office (ufficio brevetti americano) con il N. 139.121, “for improvement in fastening pocket openings” (miglioramenti nella chiusura delle tasche), dopo che si mise in società con Levi Strauss, non disponendo dei 68 dollari necessari per la pratica di registrazione.

 

La classica etichetta del jeans Levi’s 501

Erano chiamati waist overalls, avendo la funzione di coprire il vestiario abituale durante il lavoro e proteggerlo dallo sporco. La Levi’s poté così produrre in esclusiva, i pantaloni di robusto cotone tenuti insieme, oltre che dai punti del cucito tradizionale, anche da rivetti metallici, appena brevettati, che divennero la divisa degli operai della ferrovia transamericana, ”dei miners”, “dei cowboy” ed ebbero un immediato successo: il modello originale aveva cinque tasche.

Nel 1890, a partire dal 1890, quando il tessuto “jeans” diventa sinonimo di pantalone e il tessuto del pantalone prende il nome di denim, scaduto il brevetto, qualunque produttore può liberamente realizzare calzoni simili in tutto e per tutto agli overalls brevettati: i principali sono Harry David Lee e C.C. Hudson, oggi noti rispettivamente con le marche Lee e Wrangler. Sempre nel 1890 fu aggiunto il taschino per l’orologio e le monetine.

Novecento

Da indumento di lavoro ad abito di moda.

Nel 1905 ai jeans fu aggiunta la seconda tasca posteriore. I passanti per la cintura sarebbero stati applicati solo nel 1922, mentre nel 1926 la «zip» sostituì i tradizionali bottoni (i bottoni per le bretelle vennero definitivamente aboliti solo nel 1937). Nel 1935 viene lanciato il primo jeans da donna. Nel 1937 appare per la prima volta sulle pagine di Vogue, entrando così nella storia della moda.

 

 

 

 

 

 

 

 

La Seconda Guerra Mondiale creò negli Stati Uniti una eroina in denim. Era chiamata “Rosie the Riveter” (Rosy la Rivettatrice), e diventò il simbolo, autentica icona nazionale dei sei milioni di donne americane che avevano sostituito nelle fabbriche di aerei, carri e cannoni, gli uomini andati in guerra. Il ritratto più famoso lo fece il pittore, illustratore, Norman Rockell, che ritrasse la modella Mary Doyle Keefe, raffigurandola come una poderosa Rosie, in jeans con i bordi arrotolati e maglietta blu mentre si riposa, mangiando un panino e tenendo un compressore sulle ginocchia, come se fosse un mitra.

Fino al conflitto il jeans rimane un abito da lavoro, usato dai ricercatori d’oro e dai minatori, dai cowboy, dagli operai e dai contadini, dai meccanici e dai muratori, per poi diventare, nel dopoguerra, un indumento da tempo libero.

L’arrivo in Europa

In Europa il jeans arriva alla fine della Guerra, insieme al prestigio delle truppe armate americane vincitrici, che li usavano nel tempo libero e con i turisti americani. I primi Levi’s sarebbero stati commercializzati nel 1959. Nel 1962 la Blue Bell, oggi Wrangler, aprì la sua prima fabbrica in Belgio, e nel 1964, ancora in Belgio, cominciò a funzionare il primo stabilimento della Lee. In seguito, sempre in Belgio (nelle Fiandre) avrebbe aperto un proprio centro anche la Levi Strauss.

Eppure qualche jeans autenticamente europeo era in circolazione già da tempo. In Francia, la giovane imprenditrice Rica Levy aveva fondato nel 1928 quella che sarebbe diventata poi la Rica Lewis. All’inizio nella sua azienda venivano confezionati capi d’abbigliamento (anche in denim) per le Forze Armate, poi, dal 1945, si fecero anche i jeans. In Germania il marchio Mustang risale al 1932. Adesso il suo logo rappresenta un doppio cavallo al galoppo, ma all’inizio c’era un elefantino. In Inghilterra i Lee Cooper sono comparsi invece nel 1937, ma il marchio è nato addirittura nel 1908. A dare un aiuto alla diffusione del jeans fu paradossalmente proprio la penuria di stoffe che si era verificata nel corso della Seconda Guerra Mondiale, e nei tempi immediatamente successivi. Come altri beni, i tessuti erano razionati e potevano essere acquistati grazie a particolari «buoni». “Ogni inglese aveva a disposizione 30 coupon all’anno per vestirsi, ma correva il rischio di esaurirli in fretta: per un abito da uomo ci volevano infatti 26 tagliandi, per un vestito da donna 16. Ma gli abiti da lavoro e i jeans si potevano avere in cambio di un solo coupon! Ovvio che questi ultimi andassero a ruba”.

Anni ’50

James Dean nel 1955 sul set di Gioventù bruciata. Poco dopo con il cinema americano degli anni cinquanta i jeans conquistano il mondo dei giovani ed entrano nelle loro case insieme ai primi idoli del cinema e del rock and roll: sono indossati color blu scuro da James Dean in Gioventù bruciata con giacca a vento rossa, t-shirt bianca e sigaretta, quelli neri Levi’s 501 button fly (cioè con i bottoni e non con la cerniera lampo) da Marlon Brando in Il selvaggio (film che ebbe un grande successo, e definì il modello estetico del “bad boy”) in sella ad una potente motocicletta con giubbino di pelle nera Schott NYC Perfecto 618, maglietta bianca e da Elvis Presley e Bob Dylan durante i loro concerti. Grazie anche alla loro pettinatura moderna con la brillantina, questi personaggi diventano un’icona dell’immaginario giovanile. In questo periodo le aziende produttrici si impegnano a pubblicizzare il prodotto e a rimuovere in qualche modo quell’associazione negativa tra jeans e il mondo eversivo delle subculture giovanili che li rendevano non accettabili agli occhi delle fasce medie, borghesi dei consumatori.

Nel 1957 i jeans in Unione Sovietica

I primi jeans comparvero nell’allora Urss nel 1957, in occasione Mosca del Festival Internazionale della Gioventù e degli Studenti che fu ospitato a Mosca, permettendo così al popolo sovietico di conoscere per la prima volta il denim. I jeans divennero ben presto qualcosa di più di un semplice capo di abbigliamento diventando un simbolo di libertà e successo. All’epoca la gente poteva vestire come voleva, tuttavia, possedere nel proprio armadio un paio di jeans di marca significava essere in buone condizioni economiche. Il governo cercò di contrastare la loro diffusione. Essi vennero proibiti e chi li indossava poteva rischiare persino di essere espulso dall’università o perdere il posto di lavoro. Queste misure non fecero, tuttavia, che accrescere l’interesse per questo capo.

I primi a sfoggiarli furono i marinai, i figli di diplomatici e i piloti. Li importavano direttamente dall’estero: spesso dovevano indossarne direttamente diverse paia, sotto larghi pantaloni di tela, per poterli fare entrare nel paese. Più tardi cominciarono a essere associati alla cultura hippie e la gente iniziò a cucirvi nella parte inferiore dei triangoli di stoffa così da trasformarli in moderni pantaloni a zampa d’elefante.

I contrabbandieri furono i primi “squali del mercato libero” nell’Urss. La propaganda sovietica li rese praticamente i principali nemici del cittadino sovietico. A causa della loro attività rischiavano non solo di cadere nell’ostracismo sociale, ma anche di finire in carcere. Spesso, per evitare problemi con la legge, invece di rivendere la loro merce si limitavano a scambiarla con altri beni altrettanto difficili e rari da trovare sul mercato. Il baratto, infatti, non era vietato nell’Urss (a differenza delle operazioni con valute estere). Molti dei maggiori imprenditori russi di oggi, da Tinkov ad Aizenshpis, iniziarono la loro carriera dedicandosi proprio al contrabbando di jeans. Nel 1961 due contrabbandieri, Rokotov e Faybishenko, furono condannati alla pena di morte. Uno dei capi d’accusa era: traffico di jeans. Questa storia viene tuttora ricordata dal momento che in loro onore in America è comparsa una marca di jeans con i loro nomi: Rokotov&Fainberg.

La marca più popolare di jeans negli ultimi anni dell’Urss era Montana. Questo marchio esiste realmente in Germania, dove è stato registrato nel 1976, tuttavia gli storici della moda non sono concordi sull’origine dei jeans Montana sovietici. Venivano con ogni probabilità fabbricati clandestinamente nel Sud dell’Urss e poi distribuiti sul mercato. Ciò che di più piaceva di questi jeans era il fatto che erano talmente rigidi e duri che rimanevano letteralmente in piedi in un angolo. Altre marche popolari erano Levi’s, Wrangler, Lee e Jesus, nonostante i loro jeans fossero piuttosto costosi, costando infatti 100 rubli, l’equivalente di uno stipendio di un ingegnere sovietico, continuavano a rappresentare l’oscuro oggetto del desiderio. Gran parte della popolazione comprava invece jeans provenienti dall’India o dalla Polonia. La marca era ciò che provava la qualità dei jeans. Gli amanti della moda, tuttavia, si divertivano a cambiare loro le etichette. Alla fine degli anni ’80 si iniziarono a diffondere anche le prime marche di jeans sovietiche, come Tver e Vereya, nonostante la loro qualità non fosse delle migliori, giacché per la loro produzione non veniva nemmeno utilizzato il denim. Grande diffusione ottennero poi anche i cosiddetti samostrok, jeans personalizzati che venivano cuciti direttamente in casa.

Anni ’60

Controcultura degli anni 1960. Negli anni sessanta della “contestazione globale”, dalle rivolte studentesche del 1968 in poi, i blue jeans, anche per la semplicità e l’essenzialità delle loro forme, espressero in maniera concreta il rifiuto, da parte soprattutto del mondo giovanile, delle convenzioni sociali, dell’abbigliamento formale e alla moda che rispecchiava le differenze esistenti fra le diverse classi sociali e i differenti ruoli sociali: i blue jeans si trasformarono quasi in un un’uniforme del mondo giovanile e divennero il simbolo per eccellenza dell’”antimoda”, della spinta egualitaria presente nelle nuove generazioni e che univa in un progetto ideale comune tanto gli studenti che gli operai”. Il jeans assume quindi una valenza politica diventando il simbolo di contro cultura, di contestazione diventando una divisa per gli aderenti ai movimenti per i diritti civili ed il simbolo della ribellione giovanile, delle bande, della voglia dei giovani di prendere le distanze dall’ipocrisia del mondo adulto. È l’epoca dei cortei contro la guerra del Vietnam. “Man mano, infatti, che i blue-jeans divennero un indumento di massa persero in parte le originarie caratteristiche di comodi capi di abbigliamento da usare durante faticosi lavori manuali e seguirono, pur essendo simboli dell’ “antimoda”, i dettami della moda che, come è noto, non sempre coincidono con le esigenze di praticità e comodità dell’abbigliamento”.

Solo in questo periodo i teenager, entrano nei negozi d’abbigliamento e, per la prima volta, chiedono di vedere un paio di “blue jeans”. Nasce così, dopo quasi un secolo dal suo debutto ufficiale, il neologismo che da allora distingue questo capo di vestiario. I ragazzi puntavano ad ottenere dai loro pantaloni un aspetto sexy e per questa ragione, anche a scapito della libertà di movimento o di un uso funzionale, desiderano ridurre al minimo la distanza fra l’epidermide e la loro “seconda pelle” di denim, eliminando il più possibile ogni strato di biancheria. “Shrink to fit” è stato lo slogan pubblicitario utilizzato dalla Levi’s durante questa moda “flesh-squeezing” (stringi-carne), durante la quale i blue-jeans divennero attillati, molto aderenti al corpo, quasi una seconda pelle tesa ad evidenziare i contorni degli organi sessuali e che comportava anche un processo di vestizione complicato e a tratti doloroso.

Anni ’70

Alla fine degli anni settanta, col declino della contestazione, le varie griffe si impadroniscono del jeans, quale capo di abbigliamento elegante. In questo periodo il famoso pantalone si diffonde tra i giovani di tutto il mondo e diventa il loro pantalone preferito, il più portato in assoluto. Con la “creatività” hippy si diffondono i jeans sfrangiati e dipinti, larghi al polpaccio e stretti in alto “a zampa d’elefante” (che era allora preferita nel campo dell’abbigliamento) o al contrario larghi in alto e stretti sul polpaccio “alla cavallerizza”, tutti larghi o “giusti”.

Anni ’80-’90

A partire dagli anni ottanta qualsiasi ditta di abbigliamento produce una propria linea di jeans prêt-à-porter visto che sono preferiti quelli firmati come vuole la tendenza yuppie, diventando non più solo un capo per i giovani e per il tempo libero, ma un oggetto di lusso. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 i blue-jeans vengono riscoperti ed assumono sempre più le caratteristiche del denim, che riveste concretamente in tutte le sue sfumature il tempo libero individuale e che può essere interpretato in maniera personalizzata, con l’aggiunta di decorazioni, materiale di vario tipo (perline, brillantini, spille). I jeans, tuttavia, in un certo senso sono già nati «personalizzati» o «firmati» (con il marchio di un noto stilista): il consumatore era abituato all’etichetta cucita sulla tasca posteriore destra dei blue-jeans di produzione Levi-Strauss. Con il passare degli anni l’etichetta è diventata un elemento caratteristico, imprescindibile, di quel capo; applicare un’etichetta firmata di uno stilista ai jeans, quindi, può essere considerato, un uso coerente con l’immagine tradizionale di questi pantaloni.

Negli anni novanta in seguito alla comparsa della fibra elastan (o lastex) si ottennero sempre gli effetti di esibizione sessuale degli anni’60, ma con più naturalezza e minori sacrifici. E i jeans furono riportati alla loro immagine originaria, in cui il restringimento sul corpo “shrink to fit” er era importante sì, ma senza eccessi.

Jeans non denim

Oltre ai tradizionali jeans in denim adatti per un uso sportivo ed informale e non per certi usi e circostanze, per le persone che pur indossando pantaloni di tessuto più pregiato non vogliono rinunciare al comfort e alla resistenza dei jeans essendo così liberi nei movimenti senza il rischio di strappi, sono stati creati jeans in tessuto non denim. Essi sono indossati specialmente dalle persone più adulte, in occasioni più formali e di lavoro dove è richiesto un abbigliamento più elegante e sono principalmente in fustagno, in twill, tra cui i chinos, in gabardine e in velluto.

La filosofia

 

 

  • Riprodurre un originale pezzo di storia di grande qualità e tradizione, tutta italiana.
  • Pregiatissimi esemplari, unici e rivoluzionari per la selezione dei materiali, per lavorazione fedeli alle maestri
  • Ogni jeans è un “Capolavoro” ma anche un “Capo da lavoro”.
  • Quando Cultura, Qualità e Tradizione si mescolano, la Storia diventa un Mito.

 

Fonte: Faro di Roma

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