Le autorità americane hanno pubblicato una bozza dei rimedi antitrust che potrebbero chiedere a Google, dopo la sentenza che ad agosto ha stabilito ch
Le autorità americane hanno pubblicato una bozza dei rimedi antitrust che potrebbero chiedere a Google, dopo la sentenza che ad agosto ha stabilito che quello della società è un monopolio illegale. A novembre la lista dettagliata dei provvedimenti. La replica di Google: richieste radicali e dannose per gli utenti
Lo spezzatino di Google non è più solo una remota ipotesi. Il Dipartimento di Giustizia (Doj) degli Stati Uniti ha scritto in un documento, presentato martedì 8 ottobre, che potrebbe ordinare lo smantellamento dell’impero di Mountain View. In particolare, la società potrebbe essere costretta a cedere alcune attività, come il browser Chrome e il sistema operativo Android. Se le cose andassero così, sarebbe il primo tentativo di spezzare una big tech dopo quello valutato nei confronti di Microsoft all’inizio degli anni Duemila. Google, secondo la giustizia americana, ha utilizzato Chrome e Android (oltre ad accordi miliardari con Apple) per instaurare un monopolio illegale nella ricerca online. Così almeno ha stabilito una sentenza di portata storica ad agosto, anche se Google farà ricorso.
I rimedi antitrust
Partendo dal presupposto che Google elabora il 90% delle ricerche effettuate su Internet negli Stati Uniti, il Doj sta preparando dei rimedi che «impedirebbero a Google di utilizzare prodotti come Chrome, Play e Android per avvantaggiare la ricerca Google e i prodotti e le funzionalità correlati alla ricerca Google, inclusi i nuovi punti di accesso e funzionalità di ricerca emergenti come l’intelligenza artificiale, a discapito dei rivali». Una lista dettagliata di interventi sarà presentata a novembre. «Rimediare a questi danni richiede non solo di porre fine al controllo di distribuzione di Google oggi, ma anche di garantire che Google non possa controllare la distribuzione del domani», ha dichiarato il Dipartimento di Giustizia.
Il faro sull’AI
L’azione dell’antitrust Usa si articola in due direzioni: da un lato punta a ripristinare la concorrenza nel campo delle ricerche online, dall’altro vuole evitare che Google crei nuovi monopoli in settori ancora in via di sviluppo. A partire dall’AI. In questo campo il Dipartimento di Giustizia ha detto che sta valutando di chiedere a Google di rendere disponibili ai rivali gli indici, i dati e i modelli che utilizza per le funzioni di ricerca assistita dall’AI. Altri possibili provvedimenti includono impedire a Google di stipulare accordi che limitino l’accesso di altri concorrenti all’AI e la possibilità per i siti web di scegliere di non utilizzare i loro contenuti per addestrare i modelli di intelligenza artificiale.
Google: richieste radicali e dannose per i consumatori
La replica di Google non si è fatta attendere ed è arrivata tramite un post che definisce «radicali» le ipotesi contenute nella bozza del Doj. Le richieste, sostiene Google, avrebbero «conseguenze significative e indesiderate per consumatori, aziende e la competitività americana». In particolare, secondo Mountain View, forzare la condivisione di query e risultati di ricerca con i concorrenti metterebbe a rischio la privacy degli utenti. Ostacolare l’AI di Google, invece, potrebbe «frenare l’innovazione».
Infine, lo spauracchio della separazione di Chrome o Android «li distruggerebbe»: «Abbiamo investito miliardi di dollari in Chrome e Android», scrive Google. «Chrome è un browser sicuro, veloce e gratuito, e il suo codice open-source costituisce la base per numerosi browser concorrenti. Android è un sistema operativo sicuro, innovativo e open-source gratuito che ha consentito un’ampia scelta nel mercato degli smartphone, contribuendo a mantenere bassi i costi dei telefoni. […] Poche aziende avrebbero la capacità o l’incentivo di mantenerli open-source o di investire in loro allo stesso livello. Separarli cambierebbe i loro modelli di business, aumenterebbe il costo dei dispositivi e comprometterebbe la concorrenza tra Android e Google Play con l’iPhone di Apple e l’App Store»
di Sara Bichicchi
Fonte MilanoFinanza