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L’impianto canadese di Shell per la cattura della CO2 inquinerebbe più del previsto. A dirlo è il report di una ONG

Secondo quanto emerso da un’indagine di Global Witness, la produzione d’idrogeno nello stabilimento canadese di Shell non sarebbe ecosostenibile, a differenza di quanto era stato dichiarato dalla Big Oil.

L’impianto canadese di Shell per la cattura della CO2 inquinerebbe più del previsto. A dirlo è il report di una ONG

Un’inchiesta condotta dall’organizzazione non governativa internazionale Global Witness getta ombra sull’operato dell’impianto canadese per la cattura

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Un’inchiesta condotta dall’organizzazione non governativa internazionale Global Witness getta ombra sull’operato dell’impianto canadese per la cattura dell’anidride carbonica «Quest carbon capture and storage», di proprietà della compagnia petrolifera olandese Royal Dutch Shell. Secondo quanto riportato, il quantitativo di CO2 catturato nel corso dei processi produttivi sarebbe inferiore rispetto a quello dichiarato dallo stabilimento.

I portavoce del colosso petrolifero hanno ribattuto che le rilevazioni di Global Witness non riflettono il vero, in quanto la ONG avrebbe fatto confusione su alcuni dati inerenti progetti differenti. La notizia ha destato un certo clamore a livello internazionale, in considerazione del fatto che l’impianto di Shell è uno dei pochi al mondo a utilizzare la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CSS), grazie alla quale è possibile produrre idrogeno e petrolio sintetico da sabbie bituminose.

Stabilimento Shell in Canada: le caratteristiche principali

Inaugurato nel 2015 nei pressi di Edmonton, capitale della provincia canadese dell’Alberta, lo stabilimento di Shell è attivo nella produzione dell’idrogeno blu, termine con il quale si indica l’elemento ottenuto mediante l’elettrolisi – la scissione delle molecole d’acqua grazie all’apporto di energia elettrica – correlata all’utilizzo di combustibili fossili.

A differenza di quanto si possa pensare, l’elemento prodotto nel sito canadese non è destinato al consumo come carburante alternativo, bensì si impiega nella raffinazione delle sabbie bituminose (conosciute anche come «Oil sands» in lingua inglese). Questo è il nome attribuito ad alcuni depositi petroliferi non convenzionali dei quali è ricco il Canada settentrionale. Raffinando le sabbie con l’idrogeno è possibile ottenere petrolio sintetico, e l’anidride carbonica emessa nel corso del processo produttivo viene immagazzinata nel sottosuolo.

Cosa emerge dal report di Global Witness?

Come anticipato, l’indagine condotta dall’ONG rivelerebbe dei retroscena non incoraggianti circa l’effettiva efficacia del lavoro svolto da Shell nel suo sito dell’Alberta: in 5 anni sarebbero state emesse 7,5 tonnellate di CO2, a fronte di sole 5 tonnellate catturate e immagazzinate. Nel report di Global Witness si legge inoltre che il 52% dell’anidride carbonica generata in seguito alla produzione d’idrogeno e petrolio viene disperso nell’ambiente, di conseguenza il tasso di cattura non supera il 48%; gli attivisti sottolineano che Royal Dutch Shell si era prefissata un obiettivo non inferiore al 90%.

La compagnia petrolifera olandese ha prontamente replicato alle accuse avanzate dagli attivisti e ha precisato che lo stabilimento in oggetto era stato ideato per trattenere non più del 33% delle emissioni nocive prodotte. Di conseguenza, le stime fornite dall’organizzazione non governativa confermerebbero che la cattura della CO2 sta andando meglio del previsto, secondo l’opinione di Shell.

In un secondo momento la società ha anche ipotizzato che gli attivisti avessero fatto confusione con gli obiettivi stabiliti per il progetto «Polaris», che sarà lanciato entro il 2025 nel medesimo polo produttivo in Canada e che prevede l’abbattimento del 90% dell’anidride carbonica prodotta.

Quale sarà il futuro dell’idrogeno blu?

Per gli ambientalisti la vicenda di Shell può spingere molti governi e società energetiche ad abbandonare i piani per lo sviluppo della tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio, in favore di quei progetti che prevedono l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili per la produzione dell’idrogeno o di carburanti alternativi.

“I governi non possono lasciare che la lana venga tirata sugli occhi per investire fondi pubblici vitali in progetti che non forniranno ciò che è necessario per evitare il disastro climatico. Invece, dovrebbero usare quei soldi per porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili e indirizzarla verso alternative rinnovabili.”

Questo è quanto ha affermato il Senior Gas Campaigner di Global Witness Dominic Eagleton in un suo recente intervento.

Fonte: Money.it

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