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Una nuova generazione di piante che emettono luce

Affinata al Mit una tecnologia studiata dal 2017: nanoparticelle fosforescenti permettono a piante vive di immagazzinare e riemettere luce con maggiore intensità e per più tempo

Una nuova generazione di piante che emettono luce

Riuscite a immaginare di leggere un libro “al chiaro” di un basilico? O di sostituire i lampioni stradali con delle piante orecchio di elefante gigant

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Riuscite a immaginare di leggere un libro “al chiaro” di un basilico? O di sostituire i lampioni stradali con delle piante orecchio di elefante gigante della Thailandia? Al Mit di Boston già ci riescono e stanno lavorando per renderlo realtà in futuro.
Dopo aver creato le prime piante capaci di emettere luce come le lucciole nel 2017, adesso i ricercatori statunitensi hanno sviluppato un nuovo sistema per aumentare l’intensità della luce e prolungarne la durata. Come? Con un condensatore a nanoparticelle fosforescenti.

Le nanoparticelle delle piante luminose (Mit)

La prima generazione

Nel 2017 il team diretto da Michael Strano, docente di ingegneria chimica al Mit, aveva dimostrato di poter ingegnerizzare le foglie di diverse piante per far emettere loro luce. I ricercatori perfondevano le piante con una soluzione di nanoparticelle che contenevano molecole chimiche (luciferina, luciferasi e coenzima A) che, reagendo fra loro, emettevano luce. La stessa reazione di luminescenza tipica delle lucciole. Il sistema funzionava, ma la luce emessa dalle foglie era molto fioca e la reazione si esauriva in fretta.

Nuova generazione

Così gli scienziati si sono messi a pensare a un’alternativa: volevano piante in grado sì di emettere luce ma anche di assorbirla e di immagazzinarla per emetterla in modo graduale. Insomma, avevano bisogno di un condensatore.

La soluzione che hanno trovato è quella di creare nanoparticelle di alluminato di stronzio, una sostanza che ha proprietà simili al fosforo e che può quindi assorbire la luce, “caricarsi” e riemettere un segnale luminoso fosforescente (appunto) in un secondo momento. Per evitare che potessero danneggiare le cellule delle piante, le nanoparticelle sono state rivestite di silicio.

Infuse attraverso gli stomi (cioè delle microscopiche aperture che consentono lo scambio di gas e di vapore acqueo), le nanoparticelle si distribuiscono nel tessuto spugnoso delle foglie (mesofillo) e vanno a costituire un sottile film che, stando ai test dei ricercatori, non danneggia la pianta, che continua a fare fotosintesi.

Se esposte a un led blu per soli 10 secondi, queste piante possono emettere luce per circa un’ora. L’intensità della luce, benché superiore a quella ottenuta dalla prima generazione, scema nel tempo ma con l’ausilio di obiettivi amplificatori gli scienziati intravedono già un’alternativa sostenibile per l’illuminazione pubblica. Inoltre, le nanoparticelle possono essere recuperate al 60% e riutilizzate su altre piante.

Il prossimo passo, dicono dal Mit, sarà quello di integrare le due tipologie di nanoparticelle, quelle con la luciferasi e i condensatori, per arrivare ad avere piante che producano e emettano luce ancora più brillante e per tempi ancora più lunghi.

Fonte: Wired.it

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