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Banche: la posizione processuale dell’istituto di credito

Banche: la posizione processuale dell’istituto di credito

Un problema più volte postosi all’attenzione della giurisprudenza pratica riguarda la prova del credito bancario in sede di opposizione a decreto ingi

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Un problema più volte postosi all’attenzione della giurisprudenza pratica riguarda la prova del credito bancario in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.
Accade sovente che la banca ottenga un decreto di ingiunzione in danno di un proprio correntista e quest’ultimo presti opposizione al decreto ingiuntivo, negando l’esistenza del credito preteso dalla banca. Detta istanza trova fondamento, tipicamente, nella doglianza avanzata dal risparmiatore, tesa a far valere che il credito azionato dalla banca troverebbe la propria fonte nella capitalizzazione di interessi anatocistici, illegittimamente operata dall’istituto di credito, piuttosto che nella applicazione della commissione di massimo scoperto e di altre spese fisse non dovute dal cliente. L’istituto di credito, dunque, si trova nella necessità di dover dimostrare in giudizio i fatti costitutivi del proprio credito.
Nondimeno, una simile prova può essere ardua da fornire per la banca, perché magari comporta la esibizione di estratti conto di cui la banca non dispone più.
La giurisprudenza di legittimità chiamata a risolvere simili problemi prende le mosse dalla composizione del credito bancario relativamente alla parte che il correntista ritiene illegittima, magari perché si tratta di interessi anatocistici piuttosto che di commissioni non dovute all’istituto di credito, come la commissione di massimo scoperto.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la banca deve provare di aver comunicato gli estratti conto al debitore ingiunto. In altre parole, non è sufficiente la mera produzione degli estratti conto; è altresì onere della banca provare la avvenuta comunicazione di essi al correntista ingiunto: Il motivo sembra essere fondato solo per quel che concerne la violazione dell’art. 2697 c.c., disciplinante il principio dell’onere della prova, secondo cui spetti a chi vuole far valere un diritto in giudizio l’onere di provarne i fatti costitutivi. Ebbene tale principio opera anche nel giudizio di cognizione ordinario eventualmente introdotto a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, comportando, per la parte opposta, l’onere di individuare in giudizio i fatti costitutivi della propria pretesa.
Nel caso in oggetto si osserva in atti che nella fase monitoria la banca A. avesse prodotto l’estratto saldaconto, documentazione avente una valenza probatoria sufficiente, in quella sede, per l’ottenimento del decreto ingiuntivo.

Nel giudizio di opposizione successivo, invece, il giudice valutava la produzione del contratto di conto corrente e di tutti gli estratti conto emessi durante il rapporto, documenti contabili, questi ultimi, che costituiscono un elemento più analitico per verifi care l’esistenza del credito vantato, poiché certifi cano in dettaglio le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo contabile con le condizioni attive e passive praticate dalla banca al cliente. La valenza probatoria degli estratti conto è indubbiamente più forte rispetto a quella del saldaconto che esprime, invece, il saldo riassuntivo dei rapporti di conto intercorsi tra la banca e il correntista.
Ebbene, ai fi ni della prova costitutiva del diritto di credito, oltre alla produzione dei singoli estratti conto analitici la banca avrebbe dovuto fornire prova anche dell’avvenuta comunicazione, preventivamente al giudizio, dei medesimi all’odierno ricorrente, per porlo nelle condizioni di effettuare, se del caso, le contestazioni. Al contrario, sembra evincersi dagli atti che il ricorrente abbia potuto contestare le voci della documentazione contabile solo in sede di giudizio; la Corte d’Appello di Bari ha ritenuto si trattasse di attività tardiva e, pertanto, nel respingere la relativa eccezione di parte, ha dichiarato fondata nel merito la domanda creditoria.
L’errore in cui è incorsa la corte territoriale, tradottosi nella violazione dell’art. 2697 c.c., è stato quello di pronunciarsi in accoglimento della domanda senza disporre di tutti gli elementi costitutivi del credito, che avrebbero dovuto ricomprendere anche la prova della comunicazione degli estratti conto che spettava alla banca fornire”.

La giurisprudenza di legittimità

Alla luce di questa premessa, la giurisprudenza analizza le rispettive doglianze delle parti, premurandosi di dare rilievo anche alla posizione processuale delle parti.È noto, infatti, come nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo il debitore sia attore in senso solo formale. Trattasi, ha chiarito la dottrina (1), di un’inversione meramente formale, perché secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente, di legittimità come di merito, i poteri e gli oneri processuali competono al creditore opposto, non già al debitore opponente.
Al riguardo, per la giurisprudenza della Suprema Corte stabilisce che:
“L’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non costituisce azione d’impugnazione della validità del decreto stesso, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto (che assume la posizione sostanziale di attore) e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (che assume la posizione sostanziale di convenuto). Sicché, mentre l’opposto non può proporre domande diverse da quella fatta valere con l’ingiunzione, all’opponente è dato di proporre con l’atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali e di integrare la propria difesa, rispetto alla pretesa fatta valere dall’ingiungente, nello sviluppo del processo, proponendo eccezioni nuove fi no alla rimessione della causa al collegio e perfino in appello”.

Fonte : www.diritto.it

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